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"La coscienza del cristiano è impegnata a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo" ____________________________________________________________________________________________________________________

mercoledì 31 dicembre 2008

Hamas: tra servizi sociali, religione e terrorismo

Accanto ai due comunicati stampa sotto riportati e dopo aver trangugiato l'informazione radiotelevisiva, dominata dalla scandalosa parzialità di Claudio Pagliara (che questa mattina ha ricevuto in diretta su Rai Uno i complimenti per la straordinaria obiettività da quell'altro campione di coerenza che è Capezzone...!), ripropongo un articolo scritto un paio di anni fa, quando Hamas vinse le democratiche elezioni palestinesi, ma i democratici paesi dell'Occidente rifiutarono ogni rapporto di dialogo e collaborazione, accodandosi alla politica israeliana. Forse può aiutare a ridare un minimo di comprensione a ciò che accade, senza nascondere che una frangia di Hamas è a favore del terrorismo antisraeliano e della guerra totale (suicida); ma che il terreno di cultura della crescita dell'estremismo è stata propiro l'ottusa politica di chiusura e intransigenza e del governo israeliano e dei governi dell'Occidente, con a ragion del vero, un'unica eccezione (subito isolata) che è quella del nostro ex ministro degli Esteri, Massimo D'Alema.

Un nuovo spettro s’aggira per l’Occidente: la vittoria di Hamas nelle elezioni palestinesi. I commenti, più o meno inorriditi si sono sprecati; i proclami colmi di fermezza si sono inseguiti da una Cancelleria all’altra; i cordoni delle borse si sono chiusi; i “fini” diplomatici nostrani si sono armati di piccone abbandonando le sottigliezze da penne d’oca che la diplomazia ha sempre usato. Obtorto collo tutti hanno dovuto sussurrare che però è stata una vittoria della democrazia: tutti gli osservatori hanno riconosciuto la correttezza e la piena legalità del voto palestinese. Eppure erano suonate grosse campane nei mesi scorsi, non solo campanelli: nelle elezioni amministrative che si sono svolte nelle città palestinesi Hamas era già emerso come forza politica determinante; possibile che nessuno si sia accorto che addirittura a Betlemme (che come altre dieci città palestinesi – tra cui Ramallah – ha per diritto e per decreto dell’Autorità Palestinese il sindaco cristiano) anche un gran numero di cristiani ha votato per Hamas? Se l’avessero rilevato forse tutti avremmo capito che non basta una lettura giornalistica per decifrare la realtà di questa organizzazione così composita e complessa da non poter essere ridotta alla semplificazione “Hamas = terroristi”. Perché Hamas non è certo un’associazione di boy scout, ma organizza anche i boy scout; non è un’associazione culturale, ma organizza e gestisce buona parte delle attività culturali; non è un ente di beneficenza, ma distribuisce molti fondi in soccorso di emergenza e in beneficenza; non è un organismo religioso islamico, anche se ha una forte ispirazione religiosa; predica la jihad, ma solo nei confini della Palestina e contro un ben individuato nemico, lo Stato di Israele; non è un assessorato ai servizi sociali, ma organizza mense, ambulatori, scuola e doposcuola, associazioni e attività sportive nelle zone più disastrate, reperimento di alloggi a chi è senza tetto; non è un esercito, ma ha un certo numero di armati; non è un gruppo terroristico anche se ha organizzato attentati terroristici contro la popolazione israeliana… Di più, per Hamas vale l’equivalenza: Hamas sta ad Israele come Bin Laden (o Saddam Hussein) sta agli Stati Uniti; nel senso che negli anni ‘70 e ‘80 Hamas era ufficialmente registrato e riconosciuto in Israele; fu Begin, appena eletto Primo ministro per il Likud nel 1977, a dare l’assenso alla registrazione in Israele della “Associazione Islamica”, movimento collegato ai Fratelli Musulmani e fondato dalla sceicco cieco Ahmed Yassin, estremista religioso della striscia di Gaza. E sebbene Israele non abbia mai sostenuto direttamente Hamas, le permise di esistere per opporsi al movimento laico al-Fatah di Yasser Arafat. Il gruppo si astenne dalla politica du-rante gli anni ‘70 e i primi anni ‘80, concentrandosi su problemi morali e sociali come attacchi alla corruzione, l’amministrazione di fondazioni pie e organizzando progetti comunitari. Verso la metà degli anni ‘80, tuttavia, Ahmed Yassin cominciò a predicare la violenza immediata, e per questo motivo venne arrestato da Israele; fu rilasciato quando promise di fermare la predicazione, e sotto questa premessa lo Stato ebraico permise a Hamas di continuare le sue attività.
Hamās è l’acronimo per Harakat al-Muqāwwama al-Islāmiyya, (Movimento di Resistenza Islamico), e il nome è la parola araba usata comunemente per “entusiasmo”. La sua ala militare usa spesso nomi differenti. Lo Statuto di Hamas, scritto nel 1988, dichiara che il suo obiettivo è di “sollevare la bandiera di Allah sopra ogni pollice della Palestina”, cioè di eliminare lo stato di Israele, e di rimpiazzarlo con una teocrazia islamica. Rispetto ai movimenti cosiddetti integralistici musulmani che propugnano la lotta in tutto il mondo islamico, Hamas limita rigidamente, per Statuto, la sua attività di lotta alla sola Palestina. L’acronimo “Hamas” apparve per la prima volta nel 1987 in un volantino che accusava i servizi segreti israeliani di minare la fibra morale dei giovani palestinesi, anche con la diffusione della droga, per poterli reclutare come collaborazionisti. L’uso della forza da parte di Hamas apparve quasi contemporaneamente alla prima Intifada, iniziando con “azioni punitive contro i collaborazionisti”, progredendo verso obiettivi militari israeliani ed infine con azioni terroristiche che prendevano di mira i civili, poiché per Hamas anche i civili israeliani sono “bersagli militari” in virtù del fatto di appartenere ad uno Stato altamente militarizzato con la coscrizione obbligatoria per tutti, con richiami in servizio fino ai quarant’anni.
Ma io credo che la netta vittoria di Hamas sia alla fine il frutto di una “perversa” dal punto di vista della possibilità di pace) strategia politica del governo israeliano e della miopia occidentale: l’una e l’altra hanno fatto sì che Hamas, fino a due o tre anni fa forte, ma circoscritto a Gaza, abbia esteso la sua influenza anche nei Territori occupati della Cisgiordania. Come dice un amico palestinese di Gerusalemme: «Hamas l’hanno costruita e finanziata gli israeliani, l’hanno sostenuta fino ad oggi e hanno contribuito alla corruzione dell’Anp (=Autorità Nazionale Palestinese). Adesso hanno tutte le carte in regola per fare, di nuovo, esattamente tutto quello che gli pare. Non mi sorprenderei se tornassero a bombardare Nablus, Jenin, o magari Hebron. Quello che è sicuro è che i palestinesi non ce la fanno più. Vivono da decenni in una situazione di guerra, stretti tra il diritto internazionale e il diritto di Israele non tanto ad esistere, ma a completare il proprio piano sionista di costruzione di uno stato ebraico che vada dal Giordano al Mediterraneo. Vivono abbandonati al loro destino senza che nessuno si curi di ripristinare il loro diritto di popolo ad esistere. Sono stanchi anche della politica dell’Anp, corrotta e fatta di belle macchine, ville di lusso, dollari e cocktail, mentre i campi profughi vomitano fango e povertà». Del resto è noto che il Casinò di Gerico, che fino alla seconda Intifada (settembre 2000), introitava un milione di dollari a sera per 365 sere all’anno, è stato costruito e gestito con una partecipazione israeliana (tra cui uno dei figli di Sharon!). E la persistente miopia occidentale che ragiona solo per ultimatum, invece di far leva sulle contraddizioni interne al movimento stesso, invece di sostenere i moderati e i pragmatici di Hamas, invece di favorire l’inquadramento paramilitare degli armati di Hamas nelle forze di sicurezza palestinesi, ora feudo di al-Fatah, invece di sforzarsi di capire che per un orientale forti ed estreme affermazioni verbali accompagnate da un contrastante comportamento nei fatti serve soprattutto “per non perdere la faccia”, continua a minacciare la fine degli aiuti economici che vorrebbe dire fame per la popolazione, continua a non capire che in questo modo finirà per spingere Hamas e molti suoi seguaci, vecchi e nuovi, nelle braccia dell’estremismo islamico: Iran, Siria, Emirati, Arabia Saudita diventerebbero gli unici finanziatori e condizionatori, anche in senso ideologico, di un popolo che dal suo “padre fondatore”, Yasser Arafat, è stato “educato” ad una rigorosa e tollerante “laicità”. Gli stessi Stati che hanno steso una coltre di silenzio e di indifferenza sulle risoluzioni Onu, che hanno tollerato e giustificato la persistente illegittimità e illegalità nei comportamenti del governo di Israele, non hanno ora certamente titoli di credito nei confronti dei palestinesi; gli Stati che hanno alzato la loro voce, giustamente, per condannare l’uccisione di 1500/1800 israeliani e hanno taciuto sulla morte di molte migliaia di palestinesi (bambini, giovani, adulti, vecchi, quasi tutti civili come le vittime israeliane). Ritengo invece significativo quanto detto in un comunicato di Amnesty International, che indica vie percorribili verso la pace se c’è l’impegno di tutti: «Dirigenti e portavoce di Hamas hanno spesso condannato gli attacchi israeliani contro i palestinesi come violazioni del diritto internazionale. Al contempo, però, hanno cercato di giustificare l'uccisione di civili israeliani come modalità di resistenza all'occupazione. Hamas deve riconoscere che il proprio comportamento rappresenta a sua volta violazione del diritto internazionale, sia quando agisce contro la popolazione israeliana che contro quella palestinese… Hamas dovrà inoltre presentare proposte concrete, in linea con gli standard del diritto internazionale, per porre fine alla violenza tra le fazioni e spezzare il ciclo dell'impunità che da troppo tempo protegge gli autori di uccisioni e di altri abusi dei diritti umani, e impegnarsi a emanare leggi che portino giustizia e rafforzino i diritti umani della popolazione palestinese… Contemporaneamente, le autorità israeliane dovranno impegnarsi a rispettare il diritto internazionale e la comunità internazionale, comprese le Nazioni Unite e l'Unione europea, dovrà fare i passi necessari per assicurare che ciò accada. In particolare, Israele dovrà porre fine alle esecuzioni extragiudiziali e alle altre uccisioni illegali di palestinesi, alla distruzione e alla confisca di case e terreni palestinesi, all'espansione degli insediamenti, alla costruzione del muro o recinzione di 600 chilometri attraverso la Cisgiordania, alle chiusure e ai blocchi che limitano in modo arbitrario il movimento dei palestinesi nei Territori Occupati e il loro accesso al lavoro, all'educazione e ai servizi sanitari. La comunità internazionale non può continuare a ignorare il fatto che queste violazioni alimentano il ciclo della violenza. Subordinare i diritti umani a considerazioni politiche finirà solo per compromettere la prospettiva di una pace e di una sicurezza durature tra israeliani e palestinesi». dwf

1 commento:

Anonimo ha detto...

Un pochettino sbilanciato contro Israele, poco cristiano, forse (chi sono io per giudicare?), ma insomma attribuire sgozzamenti, leggi che sono per la crocifissione ela shariah, gambizzazioni e massacro di Al Fatah, almeno 5000 razzi lanciati sul "nemico"... solo a Israele e all'Occidente è un poco troppo. Forse informarsi anche sulle ragioni dell'altra parte non sarebbe male.