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"La coscienza del cristiano è impegnata a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo" ____________________________________________________________________________________________________________________

venerdì 29 maggio 2009

Meglio educati da Silvio che da Dario

Ripropongo l'editoriale pubblicato oggi su giornal.it di Alessandria a firma eb, ovverossia Efrem Bovo, giornalista ed esponente di Comunione e Liberazione. Quello dell'educazione era ed è uno dei temi forti dell'impegno di CL. Ora sappiamo anche quali sono le linee guida. Comprendiamo anche che tema fondamentale che copre tante altre magagne è la posizione a riguardo dei "DICO" o come si chiamano ora. Che la donna sia ridotta ad oggetto da usare (come è nelle proprie possibilità...), non importa... Che ciò che conta sia l'aspetto fisico (o pensando alla Gelmini, almeno la proprietà nell'abbigliamento e nel profumo) poco importa dal punto di vista educativo... Che Berlusconi abbia già ampiamente educato i figli degli italiani, compresi i figli dei ciellini, e gli italiani sic et simpliciter, ciellini compresi, dovrebbe essere chiaro a tutti. Ai tempi di Tangentopoli un amico ciellino sosteneva: "Non importa da dove vengono i soldi; l'importante è come si usano!". La "Compagnia delle Opere" ed i suoi affari valgono una scelta di campo e soprattutto valgono la scelta di Berlusconi come educatore! dwf


Si, affiderei l'educazione dei miei figli a Silvio Berlusconi. Non a Dario Fransceschini, il pretino del Partito Democratico che ha fatto dell'attacco personale al Premier la sua unica vera (ma non efficace) arma di lotta politica. In tempo di guerra (elettorale), pensa Don Dario, ogni arma è lecita, pur di cercare di recuperare consensi. Se i bambini votassero Franceschini descriverebbe Silvio come l'orco cattivo che mangia i pargoli, dimenticando che erano i rossi a farlo.
Il democristiano ferrarese non ha trovato di meglio che copiare lo slogan anti-Nixon del Watergate (“Comprereste un'auto usata da quest'uomo?”) aggiungendo una caduta di stile da antologia, per aver chiamato in causa la prole berlusconiana, educata così male da gestire con profitto e successo le aziende di famiglia. Meglio il maestro Silvio: idee chiare, voglia di fare, ma anche capace di stemperare le tensioni con una battuta di spirito.
L'insegnante dell'ora di religione, quella del relativismo etico, Dario, invece, ha confermato più volte l'indecisionite acuta del centrosinistra e gli equilibrismi moraleggianti cui è costretto per tenere insieme un partito diviso internamente e incoerente nelle scelte.
Dico, testamento biologico, fecondazione assistita. Se il TeoDem nato dagli insuccessi di Veltroni vuole parlare di etica, ci spieghi le sue posizioni in merito. La "libertà di coscienza" sempre invocata, è la maschera dell'incoerenza tra le proprie convinzioni e la disperazione nella consapevolezza di dover rinunciarvi per evitare lo sfacelo del PD.
Fareste educare i vostri figli da chi non ha il coraggio di dire apertamente cosa pensa dei Dico, senza paura di perdere le persone del suo partito che ancora lo stanno a sentire?

Una conversazione tra il card. Martini e don Luigi Verzé

Carlo Maria Martini – Non so se sono sveglio o sto sognando. So che mi trovo completamente al buio, mentre un lento sciabordio mi fa pensare che sono su una barca che scivola via sull´acqua. Cerco a tastoni di stabilire meglio il luogo in cui mi trovo emi accorgo che vicino ame vi è un albero, forse l´albero maestro dell´imbarcazione. A poco a poco mi avvicino così da potermi aggrappare a esso con le mani, per avere un po´ di sicurezza e di stabilità nei sempre più frequenti moti della barca sulle onde. In questo tentativo incontro qualcosa che mi sembra come una mano d´uomo. Forse è un altro passeggero che sta cercando anche lui di appoggiarsi all´albero maestro. Non so chi sia, come non so io stesso come mi sia trovato su questa barca. Ma il tocco di quella mano mi dà fiducia: mi spingo avanti così da poterla stringere ed esprimere la mia solidarietà con qualcuno in quell´oscurità che mette i brividi. Vorrei anche tentare di dire qualcosa, pur non sapendo se il mio compagno di barca capisce l´italiano.
Ma nel frattempo lui inizia a farmi qualche breve domanda, a cui sono lieto di rispondere. Si tratta di una persona che non conoscevo, ma di cui avevo sentito parlare. Mi colpiva il suo interesse per me in quel momento difficile, in cui ciascuno avrebbe voglia di pensare solo a se stesso. Dialogando così nella notte fonda, in quel momento di incertezza e anche di pericolo si videro a poco a poco spuntare le prime luci dell´alba. Riconobbi il luogo in cui mi trovavo: eravamo noi due soli in barca. E usando alcuni remi che trovammo in fondo a essa, ci mettemmo a remare verso la riva, fermandoci ogni tanto per assaporare la tranquillità del lago. Ci siamo detti molte cose in quelle ore. È venuto chiaramente alla luce durante la conversazione che eravamo tanto diversi l´uno dall´altro. Ma ci rispettavamo come persone e ci amavamo come figli di Dio. Anche il fatto di trovarci sulla stessa barca ci permetteva di comprenderci e di accoglierci, così come eravamo. Tra le prime cose che ci siamo detti c´è naturalmente un poco di autopresentazione. Così ho appreso che il mio interlocutore aveva nientemeno che ottantanove anni, mentre io ne avevo ottantadue. Don Luigi Verzé (tale appresi poi essere il nome di colui che viaggiava con me) presentava la sua vita come quella di uno che aveva vissuto sessantuno anni di sacerdozio. (…)

Luigi Maria Verzé – Quanto è cambiata ora la valutazione etica ecclesiastica, rispetto a quella imposta ai tempi della mia infanzia. D´altra parte, poiché la moralità è imperativo categorico, la gente si fa una propria etica laica e la Chiesa resta con un´etica cristiana incongruente perché incondivisa dagli stessi devoti. Ricordo, per esempio, che nella mia visita alle favelas del Brasile frequentemente mi incontravo con povere donne senza marito con un bimbo in seno, un altro in braccio e una sfilza di altri che le seguivano, tutti prodotti di diversi mariti. Era giocoforza concludere che la pillola anticoncezionale andava consigliata e fornita. Il Brasile, totalmente cattolico fino agli anni Ottanta, ora è disseminato di chiese e chiesuole semicristiane, organizzate però sui bisogni anche spiccioli della gente. La Chiesa cattolica è troppo lontana dalla realtà, e le fiumane di gente, quando arriva il Papa, hanno più o meno il valore delle carnevalate e delle feste per la dea Iemanjà, l´antica Venere cui tutti, compreso il prefetto cristiano, gettano tributi floreali. La Chiesa, più che vivere, sopravvive sulle ossa degli eroici primi missionari. E poiché siamo in tema di morale pratica, che cosa dice, Eminente Padre, della negazione dei sacramenti a devotissimi divorziati? Io penso che anche ai sacerdoti dovrebbe essere presto tolto l´obbligo del celibato, poiché temo che per molti il celibato sia una finzione. E non sarebbe più vantaggioso che la consacrazione dei vescovi avvenisse su acclamazione del popolo di Dio, oggi così estraneo ai fatti della Chiesa? Forse non si è ancora maturi per tutto questo, ma Lei non crede che siano temi ai quali si dovrebbe pensare pregando lo Spirito?

Carlo Maria Martini – Oggi ci sono non poche prescrizioni e norme che non sempre vengono capite dal semplice fedele. Per questo, la Chiesa appare un po´ troppo lontana dalla realtà. Purtroppo sono d´accordo che le fiumane di gente che vanno a manifestazioni religiose non sempre le vivono con profondità. Occorre prepararle, e occorre dopo dare un seguito di riflessione nell´ambito della parrocchia o del gruppo. Non credo, però, che si possa dire che in Paesi come il Brasile, la Chiesa non vive ma sopravvive soltanto sulle ossa dei primi eroici missionari. La Chiesa vive là anche su gente semplice, umile, che fa il proprio dovere, che ama, che sa comprendere e perdonare. È questa la ricchezza delle nostre comunità. Tanti laici di queste nazioni e anche tanti laici vicino a noi sono seri e impegnati. Lei mi chiede che cosa penso della negazione dei sacramenti a devotissimi divorziati. Io mi so no rallegrato per la bontà con cui il Santo Padre ha tolto la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani. Penso, però, con tanti altri, che ci sono moltissime persone nella Chiesa che soffrono perché si sentono emarginate e che bisognerebbe pensare anche a loro. E mi riferisco, in particolare, ai divorziati risposati. Non a tutti, perché non dobbiamo favorire la leggerezza e la superficialità, ma promuovere la fedeltà e la perseveranza.
Ma vi sono alcuni che oggi sono in stato irreversibile e incolpevole. Hanno magari assunto dei nuovi doveri verso i figli avuti dal secondo matrimonio, mentre non c´è nessun motivo per tornare indietro; anzi, non si troverebbe saggio questo comportamento. Ritengo che la Chiesa debba trovare soluzioni per queste persone. Ho detto spesso, e ripeto ai preti, che essi sono formati per costruire l´uomo nuovo secondo il Vangelo. Ma in realtà debbono poi occuparsi anche di mettere a posto ossa rotte e di salvare i naufraghi. Sono contento che la Chiesa mostri in alcuni casi benevolenza e mitezza, ma ritengo che dovrebbe averla verso tutte le persone che veramente la meritano. Sono, però, problemi che non può risolvere un semplice sacerdote e neppure un vescovo. Bisogna che tutta la Chiesa si metta a riflettere su questi casi e, guidata dal Papa, trovi una via di uscita. Dopo di ciò Lei affronta un problema molto importante, dicendo che ai sacerdoti andrebbe tolto l´obbligo del celibato. È una questione delicatissima. Io credo che il celibato sia un grande valore, che rimarrà sempre nella Chiesa: è un grande segno evangelico. Non per questo è necessario imporlo a tutti, e già nelle chiese orientali cattoliche non viene chiesto a tutti i sacerdoti. Vedo che alcuni vescovi propongono di dare il ministero presbiterale a uomini sposati che abbiano già una certa esperienza e maturità (viri probati). Non sarebbe, però, opportuno che fossero responsabili di una parrocchia, per evitare un ulteriore accrescimento del clericalismo. Mi pare molto più opportuno fare di questi preti legati alla parrocchia come un gruppo che opera a rotazione. Si tratta in ogni caso di un problema grave.
E credo che quando la Chiesa lo affronterà avrà davanti anni davvero difficili. Non mancheranno coloro che diranno di aver accettato il celibato unicamente per arrivare al sacerdozio. D´altra parte, sono certo che ci saranno sempre molti che sceglieranno la via celibataria. Perché i giovani sono idealisti e generosi. Inoltre ci sono nel mondo alcune situazioni particolarmente difficili, in alcuni continenti in particolare. Penso però che tocchi ai vescovi di quei Paesi fare presente queste situazioni e trovarne le soluzioni. Lei si domanda anche se non sarebbe più vantaggioso che la consacrazione dei vescovi avvenisse su acclamazione del popolo di Dio. L´elezione dei vescovi è sempre stato un problema difficile nella Chiesa. Nelle situazioni antiche in cui partecipava maggiormente il popolo, si verificavano litigi e molte divisioni. Oggi forse è stata portata troppo in alto loco. Mi ricordo che un canonista cardinale intervenne in una riunione per dire che non era giusto che la Santa Sede facesse due processi per la stessa persona: uno dovrebbe essere fatto in loco e il secondo dal Nunzio. Quanto alla partecipazione della gente, vi sono alcune diocesi in Svizzera e in Germania che lo fanno, ma è difficile dire che le cose vadano senz´altro meglio. In conclusione, si tratta di una realtà molto complessa. Però l´attuale modo di eleggere i vescovi deve essere migliorato. Sono temi sui quali si dovrebbe riflettere molto, e parlare anche di più. Nei sinodi qualcosa emergeva, ma poi non veniva mai approfondito. Il problema, però, esiste e deve potersi fare una discussione pubblica a questo proposito.

CARLO MARIA MARTINI e LUIGI MARIA VERZÉ
Corriere della Sera 19 maggio 2009

Tettamanzi, l’Expo e la solidarietà: «Milano smarrita, torni capitale morale»

(di Giangiacomo Schiavi, Corriere della Sera, 20 maggio 2009)

Una città smarrita, frantumata, in cattivita. Cadono i miti in questa Milano con poco orgoglio e molte paure. Era la città dell’accoglien za. Oggi si discute di apartheid in metrò. Soffia un vento di intolleranza: e a volte il Duomo sembra un fortino assediato. Tempo fa sventolava uno striscione della Lega: «Vescovo di Kabul». C’è chi esagera, anche con le minacce. Il cardinale Dionigi Tettamanzi considera gli immigrati una risorsa e parla a una città che ha perso un po’ della sua anima. «La diversità è sempre un problema — dice — ma noi dobbiamo avere la vista lunga dei profeti, preparare il domani. L’integrazione è più avanti di quel che si pensi: basta imparare dal mondo dei ragazzi, recuperare un po’ della loro saggezza». C’è una paura che nasce dal l’egoismo, dall’assenza di visione. «Alla Milano di oggi manca la consapevolezza del suo ruolo, della sua responsabilità verso i propri abitanti e il Paese, della sua vocazione europea». Non c’è futuro senza solidarietà, gli ha scritto una giovane studentessa. La lettera è diventata il titolo del suo ultimo libro. Con la crisi bisogna ritessere tessuti sociali sfilacciati, riscoprire la sobrietà, lavorare per una convivenza più umana. «Dobbiamo assumerci tutti le nostre responsabilità — spiega — chi non lo fa non è solo inutile, è anche dannoso». La notte di Natale ha messo a disposizione dei nuovi poveri e di chi ha perso il posto qualcosa di suo e poi ha detto: ai poveri le case dei preti. Certi immobili del clero sono troppo grandi, possono essere usati da chi ha più bisogno. È il concetto del buon samaritano. Si sono perse queste pratiche solidali nella città di Milano? «No. La solidarietà non si è persa a Milano. Ne ho prove concrete. Il Fondo Famiglia-Lavoro ha raccolto in poco più di quattro mesi 4,3 milioni di euro tra la gente. E al tempo stesso nelle parrocchie sono state donate ingenti quantità di denaro per i terremotati d’Abruzzo, in Quaresima dalle mille comunità della Diocesi sono scaturiti senza clamore altrettanti rivoli di solidarietà che hanno dissetato i bisogni di tanti poveri assistiti dai missionari ».

Questo è un Paese che riesce a dare il meglio nei momenti di difficoltà. Milano è risorta dalle macerie con un progetto di speranza e di accoglienza…
«Ricordo quei giorni, c’erano le macerie ma an che molti fermenti positivi. Oggi vedo tanta generosità, nonostante la crisi. Ma c’è una condizione che fonda la solidarietà: come si può essere solidali se non a partire da una prossimità offerta e da una condivisione sperimentata? È l’individualismo a minare la solidarietà. Questa forma di solitudine genera in sequenza paura, chiusura, rifiuto dell’altro, specie se portatore di una diversità. Come purtroppo accade verso gli immigrati».

Trova una maggior difficoltà nella borghesia di oggi a donare un po’ del superfluo per chi ha bisogno?
«Da sempre l’esercizio della carità — un esercizio discreto, silenzioso, evangelico — è patrimonio per tante famiglie di ogni estrazione sociale. È un modo per essere responsabili verso la società. Piuttosto mi domando se esista ancora la borghesia della Milano dei decenni scorsi…».

Dov’è Milano e dove sono i milanesi è una domanda ricorrente in questi giorni. Qual è la Milano che si vede dalla stanza del cardinale?
«Milano è una città che sfugge alle semplificazioni immediate e chiede tempo e perspicacia per essere conosciuta e amata. Io vedo una Milano generosa nell’aiutare ma talora diffidente ad aprirsi e a intrecciare legami di conoscenza e arricchimento reciproco, specie se l’altro è portatore di qualche diversità. Vedo anche una città piena di energia, di creatività, di risorse, con la fatica però a fare sistema, a dare piena espressione alle proprie potenzialità attraverso progetti concreti e condivisi di grande respiro e di corale coinvolgimento. L’Expo rappresenta, in questo senso, una grande chance».

Tra polemiche e ritardi, la partenza però non è stata incoraggiante. Bisognerebbe spiegare a Milano cos’è Milano, riunire le tante radici positive in un disegno comune…
«Ci sono oggi tante città impenetrabili: la città della fiera, la città della moda, della finanza, di un gruppo etnico, le periferie, il centro storico… Ma solo una città che ritrova l’ambizione della propria identità civica — pensata come sintesi viva delle sue tante originalità — può tornare a fare appassionare al bene comune e a suscitare il desiderio di una partecipazione responsabile. Una città così ritiene dovere fondamentale garantire un’abitazione decorosa ai suoi abitanti, si preoccupa di tutelare tutti e in modo particolare i deboli. Se invece si alimentano le contrapposizioni questa identità non si realizza, l’atteggiamento della corresponsabilità decresce e scompare, ad alcune categorie di persone non vengono riconosciuti tutti i diritti».

Esiste una vocazione per la Milano del futuro?
«Milano può e deve ritrovare la sua vocazione di capitale morale del Paese, di crocevia dei popoli e di laboratorio italiano della metropoli postmoderna».

Oggi sono più i segnali di allarme o quelli di speranza?
«Io dico che c’è una speranza Milano che può contagiare il Paese intero. Incontro la speranza visitando le parrocchie, seguendo il lavoro pastorale dei miei preti, delle associazioni, del volontariato. Ma questa speranza perché non ha visibilità? Perché non fa notizia? Perché anche i media non si assumono la responsabilità di far circolare la speranza? Servono occhi di speranza per ricono­scere quanto c’è di positivo e anche per suscitarlo».

Che cosa chiede il cardinale a chi governa una città complessa?
«Di stare vicino alla gente, alle necessità materiali e spirituali del vivere quotidiano; ma insieme di coltivare una grande apertura al senso alto della politica. Occorre ricondurre tutte le scelte amministrative ad una grande, organica visione di città, consapevoli che Milano è parte e protagonista del sistema Paese. La responsabilità della vita della città e del territorio non può ricadere solo sui suoi amministratori. Tutti sono responsabili di tutto. Ma è compito degli amministratori mettere i cittadini e le associazioni nelle condizioni di dare il proprio insostituibile contributo a beneficio di tutti ».

C’è a suo giudizio un rallentamento del processo di integrazione influenzato da calcoli elettorali?
«C’è una fatica della nostra società a confrontarsi con l’immigrazione, una realtà che è un problema ma che resta una opportunità. È all’immigrazione che Milano deve non poco della sua fortuna: questa città è frutto di ripetuti e successivi processi di integrazione. È una memoria da recuperare, una memoria che è incarnata anche dalla sapienza biblica nel libro del Levitico: ‘Tratterete lo straniero, che abita fra voi, come chi è nato fra voi; tu lo amerai come te stesso; poiché anche voi foste stranieri’ ».

Come dovrebbe essere la politica dell’accoglienza nella legalità?
«Occorre intervenire per regolare doverosamente il fenomeno migratorio, garantendo la legalità, attivandosi di concerto con le altre nazioni e le istituzioni sovranazionali, sempre nel rispetto dell’inviolabile dignità di ogni persona. Una dignità spesso umiliata nei paesi d’origine degli immigrati: non possiamo dimenticare da quali condizioni fuggono coloro che bussano alle nostre porte. La politica deve muoversi — ma qui le lacune sono evidenti — sul piano della progettazione, per immaginare e realizzare modelli di convivenza e di integrazione, aggregando tutte quelle forze sociali, culturali, educative, istituzionali che ne hanno competenza. Chiesa compresa».

In una recente omelia ha detto che da questa crisi si può uscire migliori. Ne è ancora convinto?
«Cito una frase dell’economista Marco Vitale che mi ha colpito. ‘Se la crisi aiuterà questa mutazione dovremo essere grati alla crisi, perché ci avrà aiutato a trasformare la paura in energia’. Sperimentiamo la paura perché sentiamo venir meno le facili certezze sulle quali abbiamo fondato tanto della nostra vita. Aiutare a trasformare la paura in energia è anche compito delle Istituzioni, della politica, delle agenzie educative, della Chiesa. E la solidarietà è un’energia che si sta già sprigionando. Vorrei che lasciasse il segno».

mercoledì 27 maggio 2009

Berlusconi è un pericolo per l'Italia

Dopo le patetiche scene di ieri sera a Ballarò, il canonico - ops, scusate - il ministro Bondi livido nella sua difesa della "purezza" dell'intrepido cavaliere senza macchia e senza paura, il dipendente Belpietro che come sempre parlava da politico in campagna elettorale e non come giornalista, mi stupisco che non sia balenata nè a Franceschini nè al Direttore di Repubblica una semplice obiezione: a detta dei due moralizzatori di cui sopra il giovane ex fidanzato di Noemi non sarebbe un testimone attendibile perchè ha avuto una condanna a due anni e sei mesi... Bene. Quanto sono attendibili e degni di stare in Parlamento la settantina di deputati e senatori della Destra che hanno condanne ben più gravi passate in giudicato, o svariati reati per cui sono inquisiti? E il Grande Corruttore è persona attendibile? Lui che si è salvato dalle condanne perchè si è fatto un cumulo di leggi che lo hanno salvato da tutti i processi, ma non dalle condanne di riflesso (vedi processo Mills-Berlusconi)! O che si è salvato perchè i suoi avvocati sono riusciti a far naufragare i processi nella prescrizione. Che sua moglie definisce, evidentemente già prima del caso Noemi, una "persona malata" che ha bisogno di essere aiutata?... L'ira funesta del Grande Corruttore si scatenerà ora anche sul Financial Times - di cui ripropongo l'editoriale -, come già su Repubblica e su tutti quelli che vede come ostacolo alla sua megalomania. Ciò non toglie che l'analisi sia giusta e condivisibile, ancorchè integrabile da una lunga serie di altri elementi. Odio contro Berlusconi? Lascio alla sua coscienza (se ce l'ha ancora) le valutazioni. Io non da oggi, ma da quindici anni affermo che lui è il Grande Corruttore di ogni spirito etico nel popolo italiano, prima con la cultura da ventre e sottoventre propugnata dal suo impero televisivo e poi con il potere acquisito. Ma ritengo anche che chi è amorale o immorale nella vita privata non può essere morale nella vita pubblica. Al massimo è un ipocrita! dwf

Probabilmente il fascismo non è il futuro dell’Italia. Vale la pena accennarlo perché è quello che da alcuni viene previsto. Molti affermano che la crisi finanziaria più Silvio Berlusconi diano come risultato il ritorno al fascismo. Dopotutto, in effetti il fascismo iniziò proprio con una crisi.
Ma oggi il ritorno del regime è un risultato improbabile. Nei primi anni ’20, quando Benito Mussolini salì al potere, l’Italia era uscita traballante dalla brutale vittoria di Pirro sugli austriaci del 1918, dal degrado della classe politica e dalla minaccia sempre più incombente del totalitarismo di sinistra. Certamente Berlusconi non è Mussolini: lui ha squadre di starlet, non di camicie nere.
Il vero pericolo si trova da un’altra parte. Durante i 15 anni della sua carriera politica – sempre come primo ministro o come leader dell’opposizione – Berlusconi ha avuto un’ampia e incondizionata occasione di spostare gli animi nazionali verso destra. E tutto questo l’ha fatto non con una rigida propaganda, ma con la regolare concentrazione di sfoggio, di sbrilluccichio e ragazze, e dello stile iperbolico dei media, ormai adattati alla retorica che vede tutta l’opposizione come comunista e lui stesso come la vittima.
Ora, mentre vengono poste stringenti domande sul suo rapporto con un’adolescente aspirante starlet – sollevate innanzitutto dalla moglie – Berlusconi si sta scagliando contro il più ostinato dei suoi interrogatori, il quotidiano di centro-sinistra “La Repubblica”, e ha lanciato una minaccia velata attraverso un suo collega e ha cercato di rendere invalide le domande perché sarebbero politicamente contaminate.
Berlusconi ha dimostrato la stessa belligeranza contro i magistrati – che hanno giudicato che il premier ha pagato l’avvocato inglese David Mills per non essere accusato di corruzione – chiamandoli “attivisti di sinistra” , nonostante il Parlamento lo abbia reso immune dalle azioni giudiziarie.
Non soddisfatto neanche di un Parlamento così utile, lo ha pure chiamato “inutile” e ha affermato che dovrebbe essere ridotto drasticamente a 100 membri e dovrebbero essere aumentati i suoi poteri. E’ riuscito a risvegliare le masse a suo favore incoraggiando un’ “iniziativa popolare” per raccogliere le 500mila firme necessarie per fare la riforma.
Ma il vero pericolo di Berlusconi è di diverso ordine rispetto a quello di Mussolini. Il pericolo è che i media indeboliscano il contenuto serio della politica e lo sostituiscano con il divertimento. Il pericolo è quello di demonizzare senza pietà i nemici e di rifiutarsi di garantire una base indipendente ai poteri in competizione. Il pericolo è di mettere una fortuna al servizio della creazione di un’immagine smisurata, composta da affermazioni di successo senza fine e di sostegno popolare.
Il fatto che Berlusconi sia così dominante è colpa, in parte, di una sinistra vacillante; di istituzioni deboli e, talvolta, politicizzate; di un giornalismo che troppo spesso ha accettato uno status subalterno. Ma soprattutto è colpa di un uomo ricchissimo, potentissimo e sempre più spietato. Non è fascista, ma è comunque un pericolo in primo luogo per l’Italia e, per tutti, un esempio deleterio.
(Traduzione di Fabrizia B. Maggi)

venerdì 22 maggio 2009

La deriva di Israele - Ebrei contro l'occupazione


Noi della rete Ebrei Contro l’Occupazione denunciamo la deriva illiberale e razzista dello Stato di Israele, che molto preoccupa chi abbia a cuore giustizia, libertà e pace. Dopo la strage compiuta a Gaza dall’esercito israeliano, sotto la guida del governo del partito Kadima presieduto da Olmert, la deriva militaresca, razzista ed illiberale di Israele è proseguita con il nuovo governo della coalizione di destra, presieduta da Netanyahu. I propositi decisamente razzisti sono ora apertamente dichiarati, soprattutto dal ministro degli affari esteri, il signor Lieberman, e sembrano diffusi largamente tra i giovani delle scuole medie superiori, quelli che si apprestano ad entrare nell’esercito.
Due fatti particolarmente gravi:
1) la persecuzione dell’associazione pacifista New Profile, di cui alcuni membri sono stati fermati e perquisiti ed i loro computers sequestrati. Dopo liberati, sono stati diffidati dal comunicare tra loro e con altri.
2) la preannunziata legge che proibisce il racconto e la commemorazione della Nakba (la Catastrofe), la cacciata di oltre 700mila palestinesi dalle loro case e dalle loro terre avvenuta nel 1948-49, e, a diversa intensità, in tutti gli anni successivi fino ai nostri giorni. Il ricordo della Nakba viene vietato a tutti, Israeliani Arabi (il 20% circa della popolazione) ed Ebrei, l’80% circa. La pena prevista per i contravventori sarà di tre anni di carcere! Si vuole cioè stabilire che la fondazione dello Stato Ebraico, che ha coinciso con la cacciata dei Palestinesi arabi dalle loro case e la completa distruzione di centinaia dei loro villaggi (detta, a buona ragione, El Nakba dai Palestinesi) è una festa per i vincitori, e gli sconfitti e chi difende i loro diritti non debbono aver libertà di parola, per non rovinare la festa. Questo atteggiamento inumano, e le leggi atrocemente ingiuste che lo attuano, suscitano la indignazione nostra e di chiunque abbia senso di giustizia, e desiderio di veder la pace finalmente instaurata tra il Mediterraneo ed il Giordano.
L’avvento della pace richiederà comunque molto tempo, forse generazioni, dopo tanti decenni di ingiustizie, guerre e persecuzioni: per questo crediamo che sia urgente iniziare il disarmo delle inimicizie e del disprezzo subito: subito dare inizio al cambiamento radicale di atteggiamento umano verso le vittime delle ingiustizie da parte dei persecutori.
Non è certo negando queste elementari verità, e peggio ancora togliendo la libertà di parola a chi le proclama, che Israele potrà esser considerato un Paese civile e tantomeno potrà vivere in pace.

giovedì 21 maggio 2009

Una lettera con 5 miliardi di firme...

"Cari lombardi ed emiliani, bianchi cristiani ed ariani, forse è meglio parlarvi con chiarezza prima che accada l’irreparabile. Noi siamo cinque miliardi. Yoruba e pashtun, azeri e moldavi, tamoul e roma, banghal e dogon guarani e alawit. Insomma negri, ma tanti. E non smettiamo di crescere di numero mentre voi lombardi ed emiliani bianchi cristiani ed ariani tendete verso l’estinzione, quanto a numero forza e intelligenza.
Abbiamo sentito il viso pallido che avete scelto come dittatore, dichiarare che l’Italia non è un paese multietnico. La stirpe italiana di pura razza ariana non deve contaminarsi? Spiace dovervelo dire, ma le vostre nonne e bisnonne hanno già concepito milioni di figli con saraceni libanesi e turchi. Ma non è questo il punto. In realtà quello che vi spaventa è l’idea di spartire la ricchezza che avete accumulato nei vostri forzieri e nei vostri frigoriferi con noi, che siamo cinque miliardi e abbiamo fame.
Negli ultimi cinquecento anni avete invaso le nostre terre, sequestrato i nostri figli per farli lavorare come schiavi nei campi di cotone o nelle fabbriche, avete bruciato le nostre capanne e violentato le nostre donne. Ci avete sfruttati rapinati e uccisi e sulla nostra miseria e morte avete costruito la vostra civiltà. Ma non vogliamo rinvangare il passato. Facciamo finta di niente. Parliamo di adesso.
Adesso le frontiere sono aperte per i vostri capitali, che vengono nei nostri paesi a farci lavorare duro per salari di fame, e in cambio a noi non resta niente perché il profitto va nelle vostre banche. Noi avevamo capito che le frontiere fossero aperte anche per gli esseri umani, invece ci arrestate appena arriviamo nella vostra terra, ci chiudete in campi di concentramento, addirittura ci respingete in mare, senza rispettare neppure le vostre leggi, e ci mandate a morire in qualche campo di sterminio.
Allora abbiamo deciso di scrivervi questa lettera.
Ci sono due possibilità a questo punto.
La prima è che facciamo uno sforzo di comprensione reciproca. Noi siamo disposti a venire nei vostri paesi per lavorare con le nostre braccia giovani dato che voi non siete più in grado neppure di reggervi in piedi. Siamo disposti a occuparci dei vostri vecchi che perdono la memoria e il senno in numero crescente. Siamo disposti a collaborare per rendere la convivenza più civile, siamo disposti a scambiarci esperienze e conoscenze, a imparare la vostra lingua se ci permettete di frequentare le vostre scuole, siamo disposti a rispettare le vostre regole se tengono conto del fatto che ci siamo noi, e che abbiamo gli stessi diritti che avete voi.
Ma se non riuscite a capirlo rapidamente, se insistete nel volerci sfruttare senza darci in cambio neppure un letto, un permesso di soggiorno, il diritto alla scuola e alle cure mediche, se continuate a comportarvi come dei nazisti, che è esattamente quel che sta facendo il vostro presidente del consiglio e quella banda di razzisti analfabeti che vanno in giro con le camicie verdi, se continuate a diffondere odio razzista ed ammazzare i nostri fratelli, allora le cose andranno a finire molto male. Finora siamo stati pazienti perché sappiamo che gli italiani sono poveracci che fino a qualche anno fa emigravano come noi, ma da qualche tempo vi siete montati la testa e credono tutti di essere diventati divi della TV, mentre non siete che foruncolosi miserabili coglioni terrorizzati perché sapete bene di essere solo i più poveri tra i ricchi, o forse i più ricchi tra noi poveri.
Se volete la guerra l’avrete, ma sappiate che noi siamo abituati a soffrire, a vivere in condizioni difficili, a tollerare il caldo e il freddo, a sopportare cose che nessuno di voi sa neppure immaginare. Se volete la guerra molti di noi moriranno, ma molti di noi stanno già morendo adesso. Voi non siete abituati a quello che potrà capitarvi, e non ci soffermiamo sui particolari.
Ritirate le vostre leggi razziste, aprite le vostre frontiere a chi è costretto a fuggire dai territori che il colonialismo ha devastato. Concedete agli stranieri che lavorano un permesso di soggiorno. E fate presto perché il vostro tempo sta per scadere.."
Seguono cinque miliardi di firme

lunedì 18 maggio 2009

Berlusconi candidato al Nobel per la pace!

Leggo su Virgilio news: "Non è una boutade. Il premio Nobel per la pace a Silvio Berlusconi "per il suo impegno umanitario in campo nazionale ed internazionale". Non è una vignetta di Vauro, nè una battuta impertinente di Crozza. E' l'obiettivo del Comitato per la candidatura del presidente del Consiglio al prestigioso premio, costituito il 30 aprile scorso e guidato dall'avvocato Emanuele Verghini, proveniente dal Movimento dei Popolari-liberali di Carlo Giovanardi. Verrebbe da dire, anche l'eccesso di zelo ha dei limiti.
Perché una candidatura al Nobel per il Cavaliere? "Ha rinsaldato - viene spiegato tra l'altro nella lettera che sta per partire alla volta dei 'palazzi della politica - il legame con gli Stati Uniti, ha mediato nella crisi in Georgia dell'agosto 2008 (impegno garantito dal calciatore-politologo Kahka Kaladze), e tra Usa e Libia (degli amici Gheddafi e Bush); ha svolto un ruolo riconosciuto e autorevole per giungere a una pace duratura tra Israele e palestinesi; ha ricreato tra Stati Uniti e Federazione Russa (è noto il legame personale con l'amico Vladimir) lo stesso clima di dialogo e di amicizia che era sfociato nel vertice di Pratica di Mare del 2003 e che pose definitivamente fine alla Guerra Fredda". Insomma il corifeo di un nuovo francescanesimo a livello planetario, e attenti a pensarla diversamente, si potrebbe essere portatori di una strategia dettata nientemeno che da ''invidia e odio''. Parola di comitato ecumenico."
E pensare che io mi vergogno da dirmi italiano quando vado all'estero da quando Lui ci governa! Fortunatamente incontro solo gente intelligente che mi rasserena dicendomi che un conto sono "tanti" italiani (non posso dire "gli" italiani) e altro è chi li governa, considerato poco meno di un protagonista di una farsetta teatrale...

domenica 17 maggio 2009

Quando i negri eravamo noi

Riprendo da "Controvento", il blog di Ettore Grassano - ottimo e libero Direttore di http://www.corriereal.it, quanto segue! Nulla è cambiato! Anche oggi i barconi portano sulle nostre coste "persone senza arte nè parte", di più, anche "malvestite e maleodoranti" come ci istruisce il piccolo genio (incompreso) di Arcore...

Ognuno di noi è sempre il negro di qualcun altro, e la storia si ripete spesso, magari senza insegnare gran che.

Da una relazione dell’Ispettorato per l’immigrazione del Congresso americano (ottobre 1912):
“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano anche perché tengono lo stesso vestito per molte settimane.
Si costruiscono baracche di legno e alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi o petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti fra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro. I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare fra coloro che entrano nel nostro Paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali”.
“Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano pur che le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell’Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione”.

giovedì 14 maggio 2009

"Ero straniero e mi avete accolto" (Mt 25,35)


"Ero straniero e mi avete accolto" (Mt 25,35). La Parola di Cristo porta a compimento la logica conviviale della Scrittura dal Levitico 19,33-34 - "Tratterete lo straniero che risiede fra voi come colui che è nato fra voi; tu l'amerai come te stesso", al Deutoronomio 10,19 - "Amate lo straniero perchè anche voi foste stranieri nel paese d'Egitto", alla Lettera agli Ebrei 13,2 - "Non dimenticate l'ospitalità, perchè alcuni, praticandola, hanno ospitato senza saperlo degli angeli".
Alcuni eventi drammatici concomitanti interpellano fortemente la nostra fede cristiana e il nostro laico civile impegno:
- il ripetuto "respingimento" di migranti intercettati nel canale di Sicilia e rispediti alla Libia, che non aderisce alla Convenzione internazionale dei diritti umani, presentato come "svolta storica" dal Ministro dell'Interno ma respinto come preoccupante da organismi dell'Onu e già sanzionato dalla Corte europea nel 2005;
- il suicidio di Mabrouka Mimoni nel Centro di identificazione e di espulsione di Ponte Galeria a Roma, sconvolta per il rimpatrio in Tunisia;
- il decreto sicurezza, ritoccato rispetto alla stesura originale, ma pesantemente inquinato dal reato di clandestinità, quindi dall'idea del povero come delinquente e dalla povertà come delitto, con ricadute pesanti, anche mortali, su molte famiglie e sui loro bambini;
- la tragicomica proposta di uno dei capolista della Lega Nord alle elezioni europee, noto per aver paragonato i rom ai topi da "derattizzare" e per l'attacco costante alla logica del dialogo promossa dall'arcivescovo di Milano, di carrozze della metropolitana riservate solo ai milanesi;
- in generale, il linguaggio aggressivo, violento e volgare presente in questo e in altri campi della vita politica e sociale.
Siamo alle prove di apartheid. Non possiamo tollerare l'idea che esistano esseri umani di seconda e terza serie e che dentro e fuori l'Italia si formi un popolo di "non-persone". Per noi le normative in atto e allo studio violano la Dichiarazione universale dei diritti umani basata sul principio non negoziabile della dignità umana e sulla prospettiva della fratellanza (art. 1), così come la Costituzione italiana, gli articoli 2, 3, 4, 10, 11, soprattutto quelli che prevedono il nostro conformarci alle norme del diritto internazionale e la promozione delle organizzazioni internazionali dei diritti umani. Disposizioni così cattive e incivili, oltre che controproducenti ai fini della pace e della sicurezza, hanno a che fare con il nostro essere credenti e cittadini.
Il Concilio Vaticano II ci invita a esercitare la nostra funzione profetica, sacerdotale e regale ("Lumen gentium" 31-36), ad affermare "la dignita' e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo spirito Santo come in un tempio" ("Lumen gentium" 9). Parlando della "grande responsabilità della comunità ecclesiale, chiamata ad essere casa ospitale per tutti, segno e strumento di comunione per l'intera famiglia umana", il papa Benedetto XVI ritiene importante che ogni comunità cristiana intervenga per "aiutare anche la societa' civile a superare ogni possibile tentazione di razzismo, di intolleranza e di esclusione" e per "organizzarsi con scelte rispettose della dignita' di ogni essere umano. Una delle grandi conquiste dell'umanità è, infatti, proprio il superamento del razzismo [...]. Solo nella reciproca accoglienza di tutti è possibile costruire un mondo segnato da autentica giustizia e pace vera" (angelus 17 agosto 2008).
A tal fine, riteniamo utile riprendere le indicazioni episcopali degli anni '90 sulla cittadinanza responsabile ("Educare alla legalita'", "Educare alla socialità", "Educare alla pace") sviluppando con coerente determinazione i percorsi aperti dalla dottrina sociale della Chiesa.
Oggi per noi si pone seriamente la questione se la comunità cristiana non debba sfidare le diffuse tendenze xenofobe e razziste con la disobbedienza civile.
Il cristiano rispetta la legge ma sa che la pienezza della legge e' l'amore (Rom 13,1-10), pensa quindi che debba opporsi a leggi ingiuste e a sistemi che opprimono l'essere umano, fatto a immagine di Dio, e che colpiscono i piu' deboli (Is 10,1-4 e Ger 7,1-7).
E' necessario reinventare o aggiornare la tradizione biblico-cristiana del diritto d'asilo, di essere cioè "santuario di protezione e difesa" (movimento presente negli Stati Uniti e in altri paesi) per i poveri e i deboli sottoposti ad abusi o che rischierebbero la vita se rimandati in alcuni paesi d'origine. Secondo il diritto internazionale nessun respingimento è possibile prima di valutare le singole situazioni dei migranti.
Come credenti cittadini del mondo, dell'Europa e dell'Italia, intendiamo riaffermare la civilta' del diritto tramite il fare creativo della nonviolenza. E' urgente realizzare l'articolo 10 della Costituzione riguardante la legge sul diritto d'asilo e istituire finalmente la Commissione nazionale indipendente per la promozione e la protezione dei diritti umani che puo' essere sostenuta e accompagnata da realtà associate nei modi previsti dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui difensori dei
diritti umani (risoluzione 53/144 dell'8 marzo 1999), il cui articolo 1 dice che "tutti hanno il diritto, individualmente ed in associazione con altri, di promuovere e lottare per la protezione e la realizzazione dei diritti umani e delle liberta' fondamentali a livello nazionale ed internazionale".
Utile strumento puo' diventare al riguardo il progetto delle Citta' dei diritti umani in un mondo libero promosso, tra gli altri, dalla Tavola della pace, dal Coordinamento degli enti locali per la pace e i diritti e da Libera, realta' dove Pax Christi e' variamente presente. In tal modo può anche camminare il progetto dell'"Onu dei popoli" e molte scuole, fin dal prossimo anno scolastico, con la definizione delle attivita' di "Cittadinanza e Costituzione", potrebbero chiamarsi Scuole delle Nazioni Unite, promotrici di diritti umani nelle loro città.
Invitiamo, quindi, tutti gli operatori di pace, cominciando da noi stessi, dagli aderenti ai punti pace di Pax Christi, a mobilitarsi per costruire la pace nella vita quotidiana e nelle nostre città spesso prigioniere di solitudini, governate dalla paura e coinvolte in progetti tribali e autoritari dove si gioca il futuro della cittadinanza. Nessuna cultura della pace è possibile se non si realizzano il disarmo delle menti, la smilitarizzazione dei cuori e dei territori, se non si promuove il cantiere della cittadinanza attiva che è fatto di buone pratiche sociali e amministrative orientate al bene comune e alla sicurezza comune, alla liberazione dalle paure, all'educazione ai conflitti per una positiva loro gestione, al fiorire di spazi e momenti di riconoscimento reciproco, di integrazione-interazione, di contemplazione e di preghiera.
Nessuno ci è straniero anche perchè la distanza che ci separa dallo straniero è quella stessa che ci separa da noi stessi e la nostra responsabilità di fronte a lui è quella che abbiamo verso la famiglia umana amata da Dio, verso di noi, pronti a testimoniare la profezia del Risorto che annuncia la pace e ci dice di non temere perchè sarà con noi "tutti i giorni, sino alla fine del mondo" (Mt 28,20).
Pescara 10 maggio 2009
Consiglio nazionale di Pax Christi

mercoledì 13 maggio 2009

Centenario della nascita di Giuseppe Lazzati

Il prossimo mese ricorrerà il centenario della nascita di Giuseppe Lazzati, importante figura della cultura e del mondo cattolico italiano. Lo ricorda un bell'editoriale di p. Bartolomeo Sorge sul numero di maggio di Aggiornamenti Sociali. L'attualità della figura di Lazzati risiede nella sua concezione della laicità, ancora oggi non pienamente recepita nella Chiesa.

Lazzati fu uno studioso eminente. Negli scritti, nelle lezioni e nelle conferenze non temeva di confrontarsi con gli argomenti più impegnativi. Le sue riflessioni più innovative, però, rimangono forse quelle relative alla laicità. In particolare insisteva su due acquisizioni teologiche del Concilio Vaticano II: a) la «secolarità» come spiritualità specifica del laico cristiano; b) il principio dell'«unità dei distinti» nell'evangelizzazione.

a) La specificità della vocazione laicale
La prima riflessione teologica, sulla quale Lazzati insistette molto, fu il riconoscimento che i laici partecipano a pieno titolo all'unica missione evangelizzatrice della Chiesa. Tra Gerarchia e semplici fedeli, cioè, non vi è differenza di dignità e identiche sono la missione e la vocazione alla perfezione; diversa invece è la funzione: i membri della Gerarchia «per volontà di Cristo sono costituiti dottori e dispensatori dei misteri e pastori per gli altri» (Lumen gentium, n. 32), mentre i laici, vivendo nel secolo e implicati negli affari temporali, «sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo» (ivi, n. 31). Un impegno genuinamente «secolare» - ripeté mille volte a voce e nei suoi scritti - deve evitare gli errori opposti in cui molti oggi cadono: da un lato, i nostalgici della «cristianità», che rimpiangono il tempo quando il trono e l'altare, la spada e la croce si sovrapponevano (prospettiva ormai superata non solo storicamente, ma anche teologicamente); dall'altro, coloro che, scoraggiati dalla crisi dei valori e della fede, cercano rifugio in uno spiritualismo disincarnato.
Quante battaglie abbiamo combattuto insieme per fare luce su questo problema, divenuto centrale negli anni del postconcilio! Esso fu lo scoglio principale contro il quale urtò anche il Convegno «Evangelizzazione e promozione umana». Conservo una lunga lettera dei leader di Comunione e Liberazione (datata 10 febbraio 1977 e sottoscritta da don Luigi Negri, don Angelo Scola, Rocco Buttiglione e Roberto Formigoni) critica nei confronti del Convegno ecclesiale di Roma. Secondo i firmatari, i gruppi di CL non potevano riconoscersi nelle conclusioni del Convegno, per il fatto di non avere «ricevuto dal Convegno [come invece si attendevano] la conferma che il problema oggi è quello del recupero di una identità ecclesiale di fronte al mondo, e quindi quello di un apporto specificatamente cristiano ed ecclesiale alla soluzione dei problemi umani della nostra società».
«Si tratta - scriverà Lazzati - di atteggiamenti ancor oggi molto diffusi, alla base dei quali sta appunto una non chiara impostazione circa le modalità che devono ispirare l'azione dei laici cristiani nelle realtà temporali. A essi - è il caso di precisare - non è chiesto, in prima istanza, di convertire il mondo, ma di rimanere fedeli nel pensiero, nell'azione e nel metodo, alle esigenze della propria vocazione, se vogliono rendere efficace la loro presenza nel mondo quale sale e lievito del mondo stesso» (LAZZATI G., Laicità e impegno cristiano nelle realtà temporali, AVE, Roma 1985, 70).
In altre parole - egli spiega - si tratta di dare senso alle stesse realtà temporali, rispettando la loro legittima autonomia e laicità. Non si può fare un uso religioso o confessionale della politica, dell'economia, della scienza, delle arti. Dio creatore ha dato alle realtà «secolari» fini, valori, leggi e strumenti propri, che non si deducono dalla fede e dalla rivelazione. Questo significa animare da cristiani le realtà temporali nella loro «laicità». Da qui - conclude Lazzati - deriva la necessità per il laico cristiano di realizzare l'«unità dei distinti», attraverso una duplice fedeltà: al battesimo (e agli impegni assunti con esso) e all'indole secolare del suo essere laico. L'una fedeltà è complementare all'altra. La loro sintesi, mentre non snatura ciò che è proprio di ciascuna, rende efficace la testimonianza dei fedeli laici nel mondo.

b) Il principio dell'«unità dei distinti» nell'evangelizzazione
A tale principio Lazzati dedicò un'attenzione del tutto particolare. In base al criterio dell'unità - spiegava - va rigettato il dualismo che alcuni introducono tra piano temporale e piano religioso, quasi che la vita sociale, professionale, politica non abbia nulla a che vedere con la vita di fede. In base al criterio della distinzione va rigettata la confusione tra i due piani, temporale e religioso, quasi che la fede si possa identificare con la cultura e con la politica. Non è lecito strumentalizzare le realtà temporali a fini religiosi, né la fede a fini politici.
Partendo da questo principio, Lazzati si adoperò a spiegare che la chiara distinzione dei due piani non significa affatto indifferenza o disinteresse dei credenti e della Chiesa nei confronti della cultura, della politica e della costruzione della «città dell'uomo». Al contrario: i fedeli laici realizzeranno pienamente la loro vocazione e la loro missione vivendo la propria spiritualità di uomini immersi nel mondo, che dall'impegno secolare sono aiutati a mantenere vivo il contatto con Dio nella preghiera e nelle attività quotidiane.
Si spiega dunque perché Lazzati abbracciò subito con convinzione la «scelta religiosa», che negli anni '70 la Chiesa italiana fece sotto la guida di Paolo VI, assecondato dall'Azione Cattolica di Vittorio Bachelet. La «scelta religiosa» non fu mai sinonimo di fuga dalle realtà temporali, non doveva portare i fedeli laici a rinchiudersi in sacrestia; spingeva piuttosto la Chiesa intera a farsi presente in ogni campo dell'impegno temporale, restando però sul piano religioso ed etico che le è proprio: annunziando la Parola, comunicando la vita divina con i sacramenti, testimoniando la fede nel cuore dei problemi dell'uomo attraverso la diaconia della carità. La «scelta religiosa», cioè, rispondeva a un'esigenza pastorale molto sentita: dopo che il Concilio aveva fortemente sottolineato la natura essenzialmente religiosa (non politica, economica o sociale) della Chiesa e della sua missione, si avvertiva la necessità che la Chiesa italiana ricuperasse la piena libertà evangelica, dopo l'esperienza del collateralismo con la Democrazia Cristiana, durato anni a causa di circostanze storiche straordinarie.

lunedì 4 maggio 2009

Tre ore d'amore ogni notte!

Non voglio aggiungere commenti sulla vicenda Lario-Berlusconi. Solo riprendo la dichiarazione, come sempre intelligente, di Rosy Bindi. Che il premier chieda il rispetto della privacy è ridicolo! Le sue televisioni fanno sciacallaggio nel privato più intimo di tanta gente, hanno ingigantito la figura della donna oggetto, meglio della donna cosa, hanno solleticato in tutti i modi possibili i pruriti "sotto il cinto dell'epa" degli italiani con la cultura del "Grande fratello" (la cultura dei "guardoni"), ha osteso sulla pubblica piazza la sua vita sessuale (tre ore di sonno, tre ore di amore e tutto il resto al lavoro per gli italiani!)... Peccato che di quelle tre ore d'amore la moglie non ne sapesse nulla, visto che di solito lei sta a Macherio e lui a Roma o ad Arcore...! Che squallore!

«Berlusconi chiede il silenzio sulle sue vicende private. Però parla con i giornali e ripete la favola di una montatura della sinistra, condita anche con battute pesanti sulla mia persona. Non è la prima volta e anche se ci sono gli estremi per esigere le scuse non mi interessa. Non è né la mia carica né la mia persona che oggi devono essere risarcite. Il presidente del Consiglio ha un dovere di trasparenza e verità verso gli italiani a cui non può sottrarsi con depistaggi mediatici». Lo dice la vicepresidente della Camera ed esponente del Pd, Rosy Bindi.
«Non siamo stati noi - aggiunge - a interrogarci sulla moralità della vita privata del presidente del Consiglio. La ha fatto sua moglie che ha detto 'basta' e con coraggio ha chiesto a tutti di riflettere sul degrado della vita pubblica, sull'immoralità del potere e una politica trasformata in avanspettacolo. La signora Lario ha ragione, non possiamo far finta di nulla e nel Paese non possono restare i dubbi sulla natura dei rapporti tra il capo del Governo e una minorenne. Il presidente Berlusconi deve fare chiarezza e stavolta non basterà dire che era tutto uno scherzo. In qualunque altro Paese questa vicenda provocherebbe un sussulto di dignità delle istituzioni. Per molto meno - conclude Bindi - un presidente degli Stati Uniti ha dovuto rendere ragione ai suoi concittadini».

venerdì 1 maggio 2009

Identità ed appartenenze

UNUM MULTIPLEX - a cura di Pasquale Ferrara: Identita' ed appartenenze

Riprendo dal blog, che consiglio di visitare, di Pasquale Ferrara, questa riflessione che condivido totalmente e che ho anch'io più e più volte espresso in tanti miei interventi, articoli, tavole rotonde, conferenze.
In un tempo in cui c'è la corsa a difendere la "propria identità" - compresa l'identità cristiana - mi pare una riflessione urgente, necessaria: l'identità è diventata una "clava", un'arma letale. E' lo strumento per chiudere ogni spazio al dibattito e alla "critica" (nel senso etimologico del termine!). Si attua una identificazione tra la politica e identità, così che chi critica la politica americana è anti-americano, chi critica la politica del governo di Israele è anti-semita, chi critica certe "politiche ecclesiastiche" o è semplicemente anti-cattolico o si mette in dubbio la sua fede e il suo amore per la Chiesa!