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"La coscienza del cristiano è impegnata a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo" ____________________________________________________________________________________________________________________

lunedì 26 ottobre 2009

Tradizioni per una identità

Benedetta identità! Sembra che se ne discuta senza venirne a capo; sembra che tutti ne vogliano dire senza la possibilità di un confronto: quasi che la questione fosse arenata sul confine di una cristallizzata incomunicabilità. Succede soprattutto per il Partito democratico (PD). Molti ribattono che ci vuole un progetto, che urge un programma, che necessita un metodo di organizzazione. Tutto vero; resta il fatto che per un qualunque progetto, un qualunque programma e per una linea di organizzazione, sarà necessaria la priorità dell’esserci: per fare bisogna esistere e non si esiste senza un’identità che, soprattutto in politica, non può essere che di distinzione.
Non sono nuovo a questi ragionamenti, perché ho sempre sostenuto che nelle culture politiche di un possibile PD, assolutamente plurali e di tradizione non priva di elementi inconciliabili, c’era tuttavia un collante: la proposta della solidarietà come elemento fondante la promozione democratica. Aggiungevo che era necessaria la coniugazione di tale proposta con quella della sussidiarietà, capace di responsabilizzare individui, soggetti collettivi e istituzionali, nella libertà.
Non mi ripeterò, ma date le attuali circostanze e tenuto conto delle surrettizie motivazioni che stravolgono nello scontro un confronto politico, molto spesso insensato e urlato, mi proverò a proporre altre ragioni di un’augurabile identità. Anche perché mi chiedo, quasi a margine del ragionamento: se non la troviamo, se non la fondiamo in modo condiviso questa benedetta identità, come lo facciamo il PD? E senza PD, quale alternativa sufficiente da confrontare e contrapporre al centro/destra? E senza questa alternativa, senza dialettica a quale fisiologia democratica si può pensare? In soldoni: dove finisce la democrazia?
Giratela come volete: ne va di mezzo il sistema democratico!
Provo allora a richiamare tre questioni che sento con particolare urgenza, anche per effetto dei miei (scarsi, molto scarsi!) riferimenti formativi.
C’è una prima osservazione, richiamata da molti, ma non sufficientemente recepita. Si dice (e lo dice soprattutto il sovrano della maggioranza): non devo rendere conto se non al popolo ed all’elettorato, le regole della istituzione democratica sono di impedimento; e ne trae una conseguenza immediata: in politica la rappresentanza si esprime nell’interpretazione diretta della volontà popolare, i partiti sono inutili soggetti di rissa e di freno.


Una posizione non compatibile con la tradizione democratica che fonda la nostra Repubblica; per un presidente del consiglio non c’è male.
Non voglio incorrere, però, nelle ire di chi urla all’intiberlusconismo; il problema è di ben altra natura: per tutte le tradizioni di cultura politica che hanno ispirato la Carta costituzionale, l’esistenza dei partiti è funzionale ed indispensabile almeno per due motivi: la possibilità data ai cittadini di organizzarsi liberamente per concorrere alla politica nazionale, lo spazio per il confronto dialettico fra parti contrapposte. Non stupisce, di conseguenza, che qualcuno voglia chiudere con la Costituzione.
Eppure qui sta un primo problema identitario per un possibile PD: le culture politiche che lo dovrebbero costruire credono tutte quante in una fondazione della politica sulle parti, sui partiti; ci crede sicuramente anche la componente liberal/democratica, tanto che il riferimento a tale componente da parte della destra italiana o ad una ampia frangia di essa mi pare del tutto improprio.
Per quanto riguarda la mia formazione aggiungerò un’ ulteriore riflessione. Proprio Sturzo ha sostenuto con forza l’idea di politica come divisione, come rappresentanza di interessi settoriali, capaci di confronto e legittimazione di interessi concorrenti e dialettici. Mi dicono i cattolici schierati nel centro/destra, come fanno ad accordarsi con il loro capo carismatico, quando affermano di essere loro (!?) gli eredi di Sturzo? La loro scelta va considerata e, per quanto mi riguarda la considero, del tutto legittima, ma come possono conciliare la loro eredità sturziana con l’idea di una politica che vuol fare a meno delle regole e delle parti in dialettica fra di loro?
Lasciamo stare; la conclusione che mi interessa sul punto è molto semplice: l’identità di un possibile PD trova su questo comune filone tradizionale, la democrazia come possibilità di confronto tra le parti, un terreno fondamentale.
Veniamo alla seconda, breve osservazione. Stando così le cose la politica necessita di reciproca legittimazione: soprattutto la legittimazione di chi non la pensa come noi. Confronto sì, lotta di idee e programmi sì; delegittimazione no! Anche qui farei riferimento alla mia componente di proposta politica; proprio De Gasperi, anticomunista nei programmi e nelle scelte di governo, resistette con l’appoggio delle istanze democratiche del socialismo e con le forze liberal/democratiche ad ogni tentativo di delegittimazione del PCI degli anni quaranta/cinquanta e ciò gli fu imputato a colpa non irrilevante da “fonti autorevoli”. Lotta al programma del PCI sì, delegittimazione di una parte che raccoglieva parecchi milioni di voto popolare, no!
Anche qui una piccola domanda ai cattolici schierati col centro/destra; come conciliare la tradizione degasperiana con un attacco sistematico, quanto incomprensibile, al comunismo ed alla sua residuale (ma dove?) esistenza. Come fanno a dichiararsi su questo preciso versante, gli eredi di De Gasperi?
Resta inteso, in ogni caso, che interessa prima di tutto, ed anche su questo versante, la constatazione di una comune possibile esperienza per un augurabile decollo del PD.
E vengo ad un’ultima osservazione che non attiene tanto il presente dello scontro politico, quanto un dibattito che viene ribadito nelle più diverse sedi del cattolicesimo contemporaneo, con il coinvolgimento stesso della Chiesa. Si tratta di capire quanto possano contribuire alcune componenti della modernità per la costruzione della “Città dell’uomo”, e cosa vogliamo fare di tali componenti. Da parecchi anni il giudizio, su aspetti di pensiero essenziali alla modernità, risulta particolarmente negativo; sembra escluso lo spazio per una comprensione più complessa ed articolata. Eppure, proprio De Gasperi, per ritornare ad una tradizione a me vicina, sottolineava che il trinomio del 1789 francese, “libertà, fraternità, uguaglianza” fondava nello spirito del Vangelo la sua ispirazione di fondo. Spogliate certe esperienze, a cominciare dalla Rivoluzione francese, dai suoi eccessi giacobini e dalle derive della violenza, le componenti del trinomio introducono nella modernità un’ispirazione religiosa che potrebbe contribuire, ed in alcuni passaggi ha contribuito, alla organizzazione di una società più giusta, anche nei processi democratici.
C’è la possibilità di un recupero corretto e fisiologico dei valori, legati al trinomio enfatizzato da De Gasperi? Ed anche qui chi saranno i possibili eredi nella costruzione della città dell’uomo?
Agostino Pietrasanta