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"La coscienza del cristiano è impegnata a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo" ____________________________________________________________________________________________________________________

sabato 11 dicembre 2010

Forte presa di posizione del Vescovo di Novara contro la costruzione e l'assemblaggio degli aerei da combattimento F35

Mons. Renato Corti ha presieduto sabato 27 novembre in Cattedrale la Veglia di Preghiera per la vita nascente che Benedetto XVI aveva proposto a tutta la Chiesa al fine di mettere in evidenza quanto sia fondamentale per i credenti in Cristo avere uno sguardo nuovo sull’uomo, uno sguardo di fiducia e di speranza che si trasformi in un atteggiamento che fin dal concepimento della vita sia decisamente a favore della creatura umana insidiata dalla piaga dell’aborto. Se la Veglia d’inizio Avvento e l’intervento di Mons. Corti in Cattedrale ricalcavano così uno dei temi più cari alla sensibilità cattolica come la difesa della vita dal suo concepimento, una vera sorpresa è stata l’omelia che lo stesso Mons. Corti ha svolto nel Seminario di Novara il lunedì seguente durante il conferimento dei Ministeri del Lettorato e dell’Accolitato a otto giovani chierici. Prendendo lo spunto dal celebre brano di Isaia in cui si legge: “Forgeranno le loro spade in vomeri e le loro lance in falci, un popolo non alzerà più la spada su un altro popolo e non si eserciteranno più nell’arte della guerra” ha espressamente rivolto un invito ad essere costruttori di pace proprio per realizzare il “Sogno di Isaia” ai giorni nostri. Entrando nel vivo di quello che in terra novarese è un nervo scoperto che lacera anche il tessuto diocesano, ovvero il problema dell’assemblaggio degli F35: aerei da combattimento predisposti al trasporto di ogive nucleari, Mons. Corti ha ribadito la contrarietà già espressa in precedenza da Mons. Fernando Charrier a questo progetto. Ricordiamo che la Commissione Diocesana Giustizia e Pace di Novara il 1° gennaio del 2007 aveva stilato una nota in cui partendo dalle affermazioni del Magistero esprimeva la propria contrarietà al progetto della costruzione degli F35, di cui l’Italia si era impegnata ad acquistarne 131 esemplari al costo di oltre cento milioni di euro l’uno! Con un’enorme sperpero di soldi pubblici, soldi sottratti alle spese sociali, alla sanità e all’istruzione, settori certamente più bisognosi di finanziamenti. Mons. Charrier allora presidente della Commissione Regionale della Pastorale del lavoro, aveva fatto proprio quel documento trasformandolo in una presa di posizione della Commissione regionale del Piemonte. Il vescovo di Novara riprendendo quella nota ha sottolineato la propria posizione riaffermando come pastore della comunità novarese: “la necessità di opporsi alla produzione e alla commercializzazione degli strumenti concepiti per la guerra, in particolare alla problematica sorta recentemente sul territorio novarese relativa alla costruzione degli F35”. Ha poi proseguito dicendo che: “Abbiamo la speranza che si arrivi ad un ripensamento, che fin’ora non è avvenuto, che permetta una riflessione più allargata e approfondita capace di incidere nella mentalità delle persone e delle Istituzioni”. Su un argomento così delicato, Mons. Corti in questi anni non ha mai fatto mancare il proprio sostegno alla Commissione Giustizia e Pace di Novara che dovendo esprimersi sull’argomento, si è trovata il più delle volte sola in queste prese di posizione. Il fatto che, pur nella pacatezza dei termini, Mons. Corti si sia espresso con molta chiarezza in una celebrazione pubblica contro il progetto degli F35, parificando l’impegno in difesa della vita all’impegno per la promozione della giustizia e della pace, lascia intravedere prospettive pastorali nuove tutte da percorrere, ma tutte significativamente degne di essere assunte e promosse dai credenti e dagli uomini di buona volontà.
Don Mario Bandera
Responsabile Commissione Giustizia e Pace della diocesi di Novara

mercoledì 1 dicembre 2010

Scuola e democrazia

A proposito di riforma Gelmini...

Non riesco a capire che cosa succeda alla scuola; meglio, non riesco a comprendere che cosa vogliano fare del sistema scolastico. Il governo, ogni tanto, dice che serve una riforma. Siamo dello stesso parere, lo hanno affermato tanti altri governi, non esclusi quelli della cosiddetta “Prima Repubblica” e non si contano i fallimenti. Ora però non capisco proprio che cosa abbiano in testa; non mi raccapezzo perché non posso credere che intendano per riforma il taglio degli organici, la banalizzazione degli insegnamenti, il “dirottamento” nella formazione professionale di alunni, ritenuti non interessati alla scuola, per farli completare l’obbligo scolastico. Questi, quand’anche fossero condivisibili, e non lo sono affatto, sarebbero da considerarsi interventi scoordinati, certamente non funzionali ai fini di una riforma. Ed invece si tratta di atti assolutamente peggiorativi del già traballante sistema scolastico, incapace, allo stato, di dare a tutti i cittadini la formazione indispensabile per essere tali; ed ovviamente mi limito a pensare al settore scuola, non entro nel merito degli interventi sull’Università.
Ribadisco non c’è neppure l’idea di un progetto, ma mi viene il dubbio che un’intenzione implicita a tutti gli interventi ci sia. In fondo distruggendo il sistema formativo si rende possibile lo scardinamento della democrazia concreta o, se si vuole la democrazia semplicemente. Da una parte si afferma, in nome della sovranità popolare che le regole sono di intralcio all’azione di governo, dall’altra si rende la volontà popolare omogenea agli interessi, non già della classe dirigente che non esiste, ma solamente delle “famiglie” dominanti.
Si arriva così ad una ferita mortale alla democrazia, vuoi delle regole, vuoi della concreta capacità del cittadino di usarne; non si tratta più di limitare la democrazia alla sua concezione liberale (magari!), ma di scardinare del tutto l’impianto democratico, la cui fondazione trova nella scuola un presupposto costitutivo. In fondo se la democrazia (troppe volte lo abbiamo richiamato) necessita prima del consenso popolare, della dialettica dei progetti e dei programmi e se di tale dialettica i protagonisti sono tutti i cittadini, costoro devono essere in grado di confrontarsi con consapevolezza nella costruzione della città dell’uomo, devono essere posti nella condizioni di partecipare al confronto delle varie opzioni possibili alla formazione (successiva!) del consenso.
Di qui il contributo essenziale della scuola, costitutivo dell’impianto democratico: la dialettica consapevole, contro la dittatura dell’omologazione. Si tratta, sia detto di sfuggita, dell’unico totalitarismo oggi temibile: la dittatura che crea ossequio, al posto del consapevole confronto. Altro che dittatura del relativismo!
Ed allora: o scuola organica ad una formazione funzionale al confronto dialettico (relativismo o libertà concretamente realizzata?) o fine dell’impianto democratico dello Stato.
Ci sono in ogni caso dei problemi. Non c’è dubbio che anche i governi della “Prima Repubblica” hanno, in gran parte, eluso il problema di un sistema scolastico fondativo della democrazia. Tuttavia, mi pare, lo hanno avuto presente e qualcosa sembrano aver tentato. Intanto, sia pur tra molte difficoltà, hanno realizzato la scuola media unica, tra altre difficoltà hanno pensato alla formazione dei diversamente abili, tra le contraddizioni dell’ideologia hanno creato alcune (poche in verità) condizioni favorevoli ai capaci e meritevoli; penso al famoso, sia pure inadeguato presalario. Resta il fatto che alcune riserve vanno poste, perché alcune contraddizioni mi sembrano cariche di effetti negativi sul lungo periodo.
Mi spiego con un esempio, fra i tanti possibili. Certamente si ricorda le tesi sostenuta da molti movimenti ed associazioni scolastiche, di diversa estrazione culturale, della pari dignità degli insegnamenti e delle discipline. Su questo roboante assioma si è caricata la scuola di ogni possibile impegno. Ora, per farla breve, io non credo che la scuola sia l’unica responsabile dell’educazione stradale, penso invece che la scuola sia l’unica garante dell’insegnamento del leggere e dello scrivere. Sarà anche bello che a scuola si impari a cantare (magari “la vispa Teresa”), ma penso più formativo l’insegnamento della matematica. Sarà sicuramente importante dare spazio all’osservazione dei fenomeni, ma è compito imprescindibile della scuola far ragionare su quanto osservato. Insomma giratela come volete: c’è disciplina che deve essere affrontata, c’è insegnamento che sarebbe opportuno affrontare; c’è una graduatoria. Di conseguenza, quando si è alle strette, magari sul piano finanziario bisogna privilegiare le discipline indispensabili alla formazione e rimandare a tempi migliori quelle opportune. Una riforma non può non tenere conto di questo presupposto perché ne derivi un impianto disciplinare conseguente.
C’è di più. Ho parlato delle contraddizioni che hanno ritardato la promozione del merito; ribadisco ciò che tante volte mi è capitato di affermare: l’ideologia ha confuso l’egualitarismo con la pari opportunità data a tutti i cittadini di pervenire ai gradi più alti degli studi. Ora mi preme chiarire con qualche osservazione più puntuale e ricorro al metodo contrastivo.
Mi spiego. La classe dirigente risorgimentale e poi lo stesso fascismo avevano affidato alla scuola un duplice compito: formare la classe dirigente e in parallelo socializzare le masse per un adeguato controllo e, in funzione di questo secondo fine, la formazione doveva puntare al minimo indispensabile di indottrinamento, anche attraverso l’insegnamento del leggere e dello scrivere. In ogni caso classe dirigente e masse popolari dovevano essere ben distinte, già nei primi passi della formazione. Il fascismo, rispetto alle elite liberal/risorgimentali, con la riforma Gentile, seppe dare al progetto una realizzazione organica. Nel sistema repubblicano (qui c’è il vero contrasto) il sistema formativo non può limitarsi al minimo indispensabile, per di più in funzione dei piani della classe dirigente, ma deve puntare al massimo possibile di formazione, in considerazione delle capacità di tutti e di ciascuno. Ne deriva che tutti hanno diritto, costituzionalmente garantito, al massimo possibile, in ragione delle proprie capacità personali. E non solo per un principio personalistico, ma per una ragione di natura costitutiva della convivenza civile in cui le migliori risorse umane, adeguatamente promosse, vanno poste al servizio della comunità.
Da queste premesse la promozione del merito, a qualsiasi costo, perché ne va di mezzo lo stesso fisiologico processo della democrazia realizzata.
Ci sono state delle contraddizioni sempre, ma ora, non so fino a che punto ci sia reale capacità di capire ciò che si sta facendo (lo sa Maria Stella?), si vuole scardinare lo stesso impianto culturale di una scuola a servizio di tutti. La consapevole partecipazione alla vita della nazione, con le capacità personali promosse al massimo possibile, è precisamente il contrario all’omologazione dei comportamenti, indotta dalla tirannide mediatica, dalla dittatura del conformismo; altro che dittatura del relativismo!
Un’ultima osservazione, proprio per concludere. La promozione del merito, attraverso il sistema formativo, è possibile solo se la didattica viene aggiornata ai risultati della ricerca; in caso contrario l’insegnamento, obsoleto e manualistico, non promuove né il merito, né le capacità più sofisticate.
Per questo (e so di ripetermi, ma lo esige la completezza del ragionamento) l’aggiornamento degli insegnanti va posto come elemento costitutivo della professione, ma va realizzato in stretto rapporto coi risultati della ricerca. L’alternativa è la ripetizione manualistica, e magari per l’intera vicenda personale di ogni docente, di ciò che si è appreso all’Università; al massimo con l’aggiunta (ma, oggi mi pare senza più quello) di qualche trovata da metodologismo didattico, sempre caro ai burocrati dell’Istituzione.
Ora non mi angoscio più di tanto, ma un tempo, quando sentivo parlare di didattica delle discipline, ero quanto mai interessato, ma stavo attento al possibile trucco.
Agostino Pietrasanta

lunedì 29 novembre 2010

Il testamento di Padre Christian De Chergé

Testamento di Padre Christian De Chergè, priore dell’Abbazia di Tibhirine, ucciso con 6 monaci trappisti da fondamentalisti islamici in Algeria, probabilmente il 21 maggio 1996. Alla vicenda di padre Christian De Chergè e dei suoi confratelli è stato dedicato il film Les hommes et les Dieux, malamente tradotto in Italia con Uomini di Dio.

Se mi capitasse un giorno - e potrebbe essere oggi - di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia, si ricordassero che la mia vita era “donata” a Dio e a questo paese.
Che essi accettassero che l’unico Signore di ogni vita non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale.
Che pregassero per me: come essere trovato degno di una tale offerta?
Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato.
La mia vita non ha valore più di un’altra. Non ne ha neanche meno. In ogni caso non ha l’innocenza dell’infanzia.
Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca. Venuto il momento, vorrei poter avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nello stesso tempo di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito.
Non potrei augurarmi una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo. Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi del fatto che questo popolo che io amo venisse indistintamente accusato del mio assassinio.
Sarebbe pagare a un prezzo troppo alto ciò che verrebbe chiamata, forse, la “grazia del martirio”, doverla a un Algerino, chiunque sia, soprattutto se egli dice di agire in fedeltà a ciò che crede essere l’Islam.
So di quale disprezzo hanno potuto essere circondati gli Algerini, globalmente presi, e conosco anche quali caricature dell’Islam incoraggia un certo islamismo. E’ troppo facile mettersi la coscienza a posto identificando questa via religiosa con gli integrismi dei suoi estremismi.
L’Algeria e l’Islam, per me, sono un’altra cosa, sono un corpo e un anima.
L’ho proclamato abbastanza, mi sembra, in base a quanto ho visto e appreso per esperienza, ritrovando così spesso quel filo conduttore del Vangelo appreso sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima Chiesa proprio in Algeria, e, già allora, nel rispetto dei credenti musulmani.
La mia morte, evidentemente, sembrerà dare ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo, o da idealista: “Dica, adesso, quello che ne pensa!”.
Ma queste persone debbono sapere che sarà finalmente liberata la mia curiosità più lancinante. Ecco, potrò, se a Dio piace, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i Suoi figli dell’Islam così come li vede Lui, tutti illuminati dalla gloria del Cristo, frutto della Sua Passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre di stabilire la comunione,giocando con le differenze.
Di questa vita perduta, totalmente mia e totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera per questa gioia, attraverso e nonostante tutto.
In questo “grazie” in cui tutto è detto, ormai della mia vita, includo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, insieme a mio padre e a mia madre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, e a loro, centuplo regalato come promesso!
E anche te, amico dell’ultimo minuto che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo “grazie”, e questo “a-Dio” nel cui volto ti contemplo.
E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in Paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due.
Amen! Inch’Allah.
Algeri, 1 dicembre 1993
Tibhrine, 1° gennaio 1994

Sfascio Italia

da Adista - Segni nuovi - 27 novembre 2010

Se ci fosse bisogno di un’immagine simbolo della miserevole condizione dell’Italia di questi tempi, la natura stessa si è incaricata di fornircela: il crollo della Casa dei Gladiatori a Pompei, le alluvioni in Veneto e in Campania, i cumuli di monnezza a Napoli, le manifestazioni anti-discariche, gli immigrati “appesi” ad una gru a Brescia o a una ciminiera a Milano... Oppure le foto delle varie D’Addario, Noemi, Ruby...
L’Italia sta vivendo uno dei suoi momenti più bui. Il peggio è che non se ne vede la
fine, nonostante il precipitare degli eventi degli ultimi giorni con le prese di posizione di Fini, le contestazioni sempre più diffuse al premier, la perdita della prosopopea e arroganza dei ministri berlusconiani, le sempre più frequenti manganellate delle polizia a contestatori e manifestanti di diverso colore politico o senza alcun colore! Si fatica a immaginare un futuro migliore in tempi ragionevoli.
Già questa commistione tra azione di governo o, meglio, “inazione” di governo, e vita privata di Berlusconi è un’anomalia. Un governo dovrebbe essere giudicato per ciò che fa, non per la vita privata del premier. Ma da troppo tempo Berlusconi ha passato il segno. Si dice che molto di buono il governo ha fatto e fa, e questo “buon fare” avrebbe due nomi: Maroni e Tremonti. Che ha fatto Tremonti? Ha usato la “crisi” come strumento per aumentare gli squilibri sociali, per dare ai ricchi e togliere ai poveri, ha messo le mani sui fondi provenienti dal 5 per mille che gli italiani hanno destinato al cosiddetto Terzo settore, ma nel frattempo ha trovato i soldi per le scuole private, in gran parte cattoliche. Nulla da eccepire sul diritto della Chiesa di avere una sua proposta educativa attraverso scuole private ma, in una visione evangelica, testimonianza vera sarebbe in questo dissestato momento, dissestato economicamente e moralmente, un “No, grazie! Aspettiamo tempi migliori e decisioni non strumentali!”. E Maroni? Resta il principale artefice della “fortezza Italia”, il gestore del pacchetto sicurezza costruito sulle paure della gente, sapientemente create ad arte, il teorico di una sostanziale “nuova schiavitù”, colui che rende criminali i poveri e disperati.
Ma poi, è proprio vero che la vita privata di Berlusconi non c’entra con l’azione di governo? Quando un capo di governo difende e rivendica il suo stile di vita immorale e amorale secondo ogni giudizio etico, non solo di un’etica “religiosa”, e lo sbandiera come un “bel vivere” e come esempio di vita riuscita e realizzata, questo è un atto politico! E se il bel vivere si misura dalla volgarità del linguaggio e dei giudizi (barzellette sulle donne condite magari di bestemmie, contestualizzate, per carità, come chiede un illustre prelao della nostra Chiesa); dalle frequentazioni di escort (in chiaro: prostitute!), di minorenni, di personaggi almeno discussi e discutibili, dall’ostentazione offensiva della ricchezza, (sulla cui origine tanti dubbi, anche giudiziari, permangono); dal potere gestito con superficialità e spregiudicatezza, alla maniera dei sultani ottomani o dei “padroni delle ferriere”, tutto questo non è politica? Chi è immorale e amorale nella vita privata inesorabilmente è immorale e amorale anche nella vita pubblica. E la sua immoralità e amoralità diventano costume, diventano l’ethos di un popolo intero abbagliato e manipolato con un uso sapiente e spregiudicato dei mezzi di comunicazione, operazione che il Nostro ha ben condotto a partire dagli anni ‘80.
Di certo, sarà più facile ricostruire la Casa dei Gladiatori che ridare un’anima all’Italia.
Walter Fiocchi

domenica 28 novembre 2010

PELLEGRINAGGIO DI PACE E GIUSTIZIA IN TERRASANTA dal 28 febbraio al 7 marzo 2011

Noi siamo quelli dell’Europa. È vecchia, ma spesso si dimentica che è ancora piccina rispetto a «mamma Gerusalemme». Chi ha già fatto l’esperienza di uno dei nostri pellegrinaggi nella Terra del Santo sa che non ci accontentiamo di incontrarci con la fonte della fede attraverso ciò che sta sotto la terra: gli scavi, l’archeologia, la memoria. Nemmeno di ciò che sta sopra: i santuari, i luoghi santi, le celebrazioni. Ci interessiamo di chi vive nella terra: le pietre vive! Ci stiamo rendendo conto che in oriente, il passato che ci accomuna e il presente con la sua complessità, sono così importanti che disgiungerli significherebbe perdere qualcosa di fondamentale, proprio di ciò che andiamo cercando, ogni volta che andiamo a questa fonte. Spesso i pellegrini tornano mancanti, fruitori di una esperienza di turismo religioso, sinceri nel loro atto di fede, sicuramente toccati in qualche modo dallo Spirito ma con il rischio che «non sono stati dei veri pellegrini», non hanno incontrato la fonte, oppure ne hanno bevuto ben poco rispetto a quello che avrebbero potuto (la fonte è anche il testo, la Bibbia, e il rischio è di incontrare la terra della Bibbia anche senza aprirla nemmeno!). Abbiamo avviato uno stile di peregrinare, con una continuità dopo il viaggio. Abbiamo dei contatti con le pietre vive, per essere ponti, per avviare, promuovere e poi custodire forme di condivisione. Vogliamo far crescere i contatti con le risorse locali e positive di ciascuna delle religioni rivelate, per imparare a sentirci ospitati da tutti, per sentire voci differenti, perché la Terra del Santo non è la nostra terra, non la possiamo frequentare da «europei», esportare uno stile incompatibile con quella terra: essa è abitata non solo da minoranze e da una maggioranza, essa è del Santo sia per chi ci abita, sia per chi ci passa. La terra è ricca di colori e suggestioni, di memorie e di tradizioni, la terra è luogo di complessità e conflitto, ma anche ricca di possibilità, di testimoni, di fede, di tanta fede vissuta in modalità che non riusciamo mai a conoscere fino in fondo, eppure ne rimaniamo evangelizzati. Questo modo di viaggiare fa bene ai nostri pellegrini, e fa bene a chi abita la Terra del Santo, a chi ci accoglie con tanta gioia e si racconta. Da una parte questi ultimi non si sentono abbandonati, dall’altra i pellegrini si aprono al mondo dei fratelli nella fede di Gesù, o di Abramo, per accorgerci di un mondo altrimenti sconosciuto, per non tornare uguali a come si è partiti. Il pellegrinaggio è occasione ecumenica, occasione per conoscere quella situazione in una giusta prospettiva, per dare sostegno, incontrare le pietre vive, per uscire dai parametri di un certo turismo religioso, anche nelle scelte più concrete che spesso si fanno. Ci sono pellegrinaggi frutto di «pacchetti già pronti», un «mordi e fuggi» a volte dal prezzo insidioso, allettante, ma che sono mossi solo da interessi economici che non sfiorano nemmeno le tematiche di attualità. È «pellegrinaggio» un viaggio organizzato così? È il viaggio per incontrare le pietre vive o il viaggio per forgiare i mattoni della torre di Babele? C’è il rischio di andare in Medio Oriente, organizzati, poco essenziali, spesso disinteressati alla situazione locale, e molto interessati alle pietre morte, a trattare la terra come un museo. In questo caso siamo rischiamo di essere figli della torre di Babele; rischiamo di essere come quei mattoni, tutti uguali; se questi sono i mattoni che abbiamo a disposizioni per costruire la storia, allora non possiamo che parlare di una storia fallimentare. Possiamo, invece, ascoltare un invito dal Medio Oriente, sentirlo vivo, dove le comunità locali sono pronte ad accoglierci con il loro stile, con le loro risorse, con il loro entusiasmo, con la storia, l’archeologia, la memoria, la parola fatta carne proprio presso la terra, ma ancora pulsante proprio nei volti, nella gente: non solo eco di una’esperienza legata alla memoria del passato, ma eco di incontri con la realtà presente, religiosa, sociale e politica.
don Walter
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PROGRAMMA

1° GIORNO – 28 febbraio – lunedì
Alessandria / Milano / Tel Aviv / Betlemme
Partenza in pullman riservato per l’aeroporto di Milano Malpensa. Volo ElAl per Tel Aviv. Arrivo a Tel Aviv. Partenza per Betlemme, sistemazione in hotel, cena e pernottamento.

2° GIORNO – 1 marzo – martedì
Betlemme / Hebron / Betlemme
Visita della Basilica della Natività. S. Messa. Pranzo. Nel primo pomeriggio trasferimento a Hebron e visita alle Tombe dei Patriarchi. Rientro a Betlemme. Cena e pernottamento.

3° GIORNO – 2 marzo – mercoledì
Gerusalemme / Monte Sion / Betlemme
A Gerusalemme Visita della Spianata delle Moschee e Muro Occidentale (“Muro del Pianto”), poi visita al “Monte Sion Cristiano”: Cenacolo, Dormizione e S. Pietro in Gallicantu. Pranzo.
Nel pomeriggio Chiesa di S. Anna, Flagellazione, Via Dolorosa. Santo Sepolcro. Messa al Santo Sepolcro. Cena e pernottamento a Betlemme.

4° GIORNO – 3 marzo – giovedì
Betlemme/ Ramallah / Gerico / Betlemme
Partenza per Ramallah. Visita al Centro di Ricamo. Pranzo. Nel pomeriggio alla parrocchia di Taibeh, unico villaggio interamente cristiano, dove incontreremo don Raed Abusahlia, il parroco della comunità. Messa a Taibeh. Rientro a Betlemme per cena e pernottamento.

5° GIORNO – 4 marzo – venerdì
Betlemme / Sebastia / Nablus / Betlemme
Partenza per Sebastia: è la città fondata da Erode il Grande, sul luogo dell’antica Samaria, in onore dell’imperatore Augusto. Sull’acropoli di Sebastia oggi sono ancora visibili i resti della città romana, parzialmente scavata nel secolo scorso, tra cui il foro e la basilica, il teatro, il tempio ad Augusto, la strada colonnata e parte delle mura. Nel periodo bizantino, sopra un luogo di sepoltura romano fuori dalle mura, sotto l’attuale moschea, fu costruita una chiesa, a ricordo della sepoltura di Giovanni Battista che le fonti cristiane della Terra Santa ricordano in questo luogo sin dal IV secolo. L’edificio attuale fu ricostruito dai Crociati quando giunsero in Terra Santa nella seconda metà del XII secolo ed era secondo in grandezza solo alla Chiesa del S. Sepolcro. Pranzo.
Visita di Nablus: conosciuta anche come Sichem è una delle più grandi città della Palestina. È situata a circa sessanta chilometri a nord di Gerusalemme tra le montagne di Ebal e Garizim molto vicino alla biblica Sichem. La popolazione è in grande maggioranza araba. La città fu fondata dai romani nel 72 e venne chiamata Flavia Neapolis (nuova città dell'imperatore Flavio). Dopo la conquista araba avvenuta nel 636, venne chiamata Nablus. I crociati la chiameranno Napoli e diventerà una delle principali città del Regno di Gerusalemme. Nel 1202 verrà distrutta dai crociati stessi. In seguito riedificata da parte degli Arabi. Rientro a Betlemme, cena e pernottamento.

6° GIORNO - 5 marzo – sabato
Betlemme / Gerusalemme / Yad Vashem / Betlemme
Mattinata dedicata alla visita di Gerusalemme. Monte degli Ulivi, Dominus flevit con Messa, Getsemani e Tomba della Vergine. Pranzo.
Visita allo Yad Vashem (Museo della Shoah) e al Museo del Libro. Rientro a Betlemme. Cena e pernottamento.

7° GIORNO – 6 marzo – domenica
Betlemme / Gerico / Betlemme
Trasferimento a Gerico. Visita al luogo del Battesimo di Gesù. Tour in Città. Visita al Mosaic Centre. Messa nella parrocchia cristiana del “Buon Pastore”. Saluto al Sindaco della Città gemellata con Alessandria. Pranzo. Nel pomeriggio visita di Qumran e sosta al Mar Morto. Cena e pernottamento a Betlemme.

8° GIORNO - 7 marzo – lunedì
Gerusalemme / Tel Aviv / Milano / Alessandria
Al mattino tempo libero. Pranzo. Partenza per Lod e visita della Chiesa che custodisce la tomba di San Giorgio. Trasferimento all’aeroporto di Tel Aviv. Imbarco con volo ElAl. Arrivo a Milano Malpensa. Rientro ad Alessandria.

QUOTA DI PARTECIPAZIONE
In camera doppia € 1.290,00
Supplemento camera singola € 270,00

ISCRIZIONI: telefonare al più presto a don Walter (335 5818204) per la preiscrizione.
Per la conferma (entro il 20 di dicembre) è richiesta una caparra di € 400
(Fino al 31 gennaio i posti cancellati saranno soggetti a penale di Euro 150; dal 1° al 10 febbraio, i posti cancellati saranno soggetti a penalità di Euro 400,00; dal 20 febbraio al giorno della partenza, penalità totale per ogni cancellazione).

LA QUOTA DI PARTECIPAZIONE COMPRENDE:
- Trasferimento in pullman per/da l’aeroporto di Milano Malpensa; passaggi aerei con voli ElAl; tasse aeroportuali e di dogana in Israele e percentuali di servizio; kg. 20 bagaglio in franchigia; assistenza aeroportuale in Italia e all’estero; sistemazione in albergo di buona categoria in camere doppie con servizi; trattamento di pensione completa, dalla cena del primo giorno al pranzo dell'ultimo; escursioni, tours, entrate, come da programma; mance, facchinaggi ed extra in genere; Bus Gt con autista; Guida autorizzata parlante italiano per tutta la durata del tour; Assicurazione medico - bagaglio Mondial Assistance; omaggio ad ogni partecipante.

LA QUOTA DI PARTECIPAZIONE NON COMPRENDE:
- Assicurazione integrativa facoltativa annullamento MONDIAL ASSISTANCE: 3,50% del costo del pacchetto (contratto 2008); tutto quanto non espressamente menzionato nel programma.

Documenti
Per i cittadini italiani e' richiesto il passaporto regolarmente bollato ed in corso di validità di almeno 6 mesi dalla data di inizio del viaggio.

Modifiche al programma potranno essere necessarie per condizioni ed esigenze che si presentino in Terrasanta e comunicate successivamente o in loco. I luoghi delle celebrazioni sono solo indicativi.


Organizzazione tecnica: "Eteria" s.r.l. - Fidenza
Condizioni generali come da catalogo Eteria 2010

sabato 6 novembre 2010

La difficile identità

Da ttp://www.cittafutura.al.it/web2009/_pages/sommario.php?URL=cittafutura.al.it&LNG=IT&L=2&C=11&T=news&D=IT%7BC9D016CA-A0E1-E0C7-826C-AB55861F66A5%7D&A=0

Le opinioni concordi ritengono che Berlusconi sia al capolinea e ritengono che la maggioranza di centro/destra sia ormai alla dissoluzione finale. Il giudizio è sul serio quello delle “campane a morto”; per altro a fronte di un’assenza totale di scelte razionali dell’esecutivo, che tira a campare nell’emergenza, di fronte all’evidente protrarsi di problemi di cui si era decantata la rapida soluzione (i rifiuti nel centro di Napoli e non solo!), di fronte ad una condotta censurabile del premier, che dalla sfera del privato invade la stessa correttezza istituzionale, di fronte alle evidenti indebite ingerenze dell’esecutivo in tutti gli ambiti della vita della nazione non si fa fatica a prevedere una svolta, nonostante i toni da resistenza del cavaliere e dei suoi cristallizzati fedelissimi cortigiani.
Tuttavia accanto alle campane a morto rivolte non solo all’esecutivo, ma molto spesso alla stessa esperienza di un centro/destra, tanto populista quanto privo di cultura delle regole e di fisiologica fondazione democratica, si rileva la stupore di larga parte degli opinionisti sulla inefficienza e sulla latitanza dei protagonisti di una possibile (?) alternativa, vuoi dell’opposizione (Bersani in particolare), vuoi dell’area che si sta opponendo, ormai da mesi, all’interno del centro/destra alla deriva delle regole democratiche (Fini per l’appunto).
Sinceramente (si tratta ovviamente di un’opinione) penso ormai inutili le analisi critiche e credo invece urgente un’indicazione di eventuali alternative in positivo. Queste risentono di una macroscopica carenza; ed il motivo, sicuramente complesso, deriva in ogni caso dalla mancata o abortita costituzione di un partito di centro/sinistra. Le stesse valutazioni che si sono confrontate in questa sede rilevano una difficoltà che sembra insormontabile: trovare obiettivi comuni e programmi condivisi dagli eredi di tradizioni diverse.
Dico subito che, quando parlo di convergenza tra tradizioni diverse, non intendo affatto riproporre improbabili soggetti centristi o post/democristiani che qualcuno sembra temere: potrebbero forse servire a chiudere l’infausta esperienza berlusconiana, ma poi? come si procederebbe nel governo del Paese?
Sono certo di ripetermi, ma il problema, fino a soluzione (se sarà praticabile) rimane aperto. Io continuo a ritenere che l’esperienza del cattolicesimo/democratico e quello della sinistra italiana possano e debbano intendersi su due pilastri fondamentali: in alternativa non vedo che una deriva antidemocratica, peraltro già in atto.
I due pilastri attengono la laicità e l’autonomia della politica e l’incontro tra gli obiettivi della solidarietà e quelli del merito.
La laicità. C’è una forte componente di pensiero popolare cattolico che ha sempre sostenuto l’autonomia della politica dalla religione e la non compromissione del livello religioso con quello della dialettica tra le parti. Grazie a questa componente la legittimazione delle parti politiche (i partiti) non è mai stata posta in discussione ed i tentativi di formazione di uno Stato cattolico e dunque non pluralistico sono stati bloccati. Eppure i tentativi messi in opera da settori importanti della Chiesa nel secondo dopo/guerra erano stati di notevole rilievo. Resta indubbio merito della D.C. aver salvato lo spirito laico della Costituzione sul punto specifico e di aver convogliato lo stesso consenso elettorale in senso democratico, quando avrebbe potuto orientarsi, a fronte di una presenza prestigiosa (per una serie di motivi in quegli anni era fuori discussione: ed è riconosciuto da una storiografia autorevolissima) della Chiesa su versanti filo/autoritari.
Ricuperare questa tradizione dopo averla riconosciuta, anziché limitarsi a valutare la funzione anti/comunista del partito di cattolici, significa concorrere alla fondazione di una laicità indispensabile alla vita delle istituzioni democratiche e significa cogliere la componente filo/costituzionalista della D.C. anche dopo la Costituente, nonostante la caduta di stile in alcuni passaggi della storia repubblicana. Certo si tratta forse di una componente minoritaria nella presenza dei cattolici nella vita politica: minoritaria, ma culturalmente più cospicua e, per diversi aspetti vincente.
Solidarietà e merito. Anche qui so di ripetermi, ma siamo in presenza della questione più urgente. Troppi ritengono ancora che la solidarietà significhi egualitarismo: su questi presupposti non si arriva ad alcuna convergenza e ad alcuna identità di un partito riformista di sinistra.
Inviterei i difensori dello spirito e della lettera della Carta costituzionale a rivedere l’importanza ed i compiti che dalle nostre istituzioni viene data alla promozione del merito come essenziale ai rapporti di solidarietà; li inviterei a tener conto delle possibilità date a tutti se i capaci e meritevoli sono messi a servizio della nazione.
Di qui nascono obiettivi essenziali e programmi coerenti per una presenza riformista ed innovativa. In caso contrario resta inutile la critica, in sé giusta, ad un governo che bistratta il sistema formativo, che permette organici di cattedre per trentacinque allievi, che sopprime di fatto le borse di studio (l’ineffabile Maria Stella, ossequiente e fedele al ministro del Tesoro!), che taglia la già esigua risorsa della ricerca (e qui sì che ci sono anche responsabilità di tanti governi democristiani) che manda a spasso i giovani in tutti i rami della cultura (ed ovviamente non solo!).
Non c’è alternativa: o si promuove la ricerca ed una formazione attenta ai risulti della ricerca o non si diventa competitivi, a fronte di una globalizzazione che apre ai mercati internazionali solo se migliori degli altri; qualcuno propone di alzare le barriere!
Il Partito democratico, sullo specifico, è in grado di una proposta capace di programmi di governo? Per ora non abbiamo visto nulla: l’unica preoccupazione, al livello nazionale, ma anche a quello locale attiene gli assetti di potere, uniti a confluenze trasformistiche scandalose.
Agostino Pietrasanta

sabato 23 ottobre 2010

Messaggio al Popolo di Dio dal Sinodo per il Medio Oriente

Ecco il testo del Messaggio al Popolo di Dio a conclusione dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, approvato venerdì pomeriggio dai Padri sinodali in occasione della quattordicesima Congregazione generale.

* * *

“La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola” (At 4, 32)

Ai nostri fratelli presbiteri, diaconi, religiosi, religiose, alle persone consacrate e a tutti i nostri amatissimi fedeli laici e a ogni persona di buona volontà.

Introduzione

1. La grazia di Gesù nostro Signore, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con voi.

Il Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente è stato per noi una novella Pentecoste. «La Pentecoste è l’avvenimento originario, ma anche un dinamismo permanente. Il Sinodo dei Vescovi è un momento privilegiato nel quale può rinnovarsi il cammino della Chiesa e la grazia della Pentecoste» (Benedetto XVI, Omelia della Messa d’apertura del Sinodo, 10.10.2010).
Siamo venuti a Roma, noi Patriarchi e vescovi delle Chiese cattoliche in Oriente con tutti i nostri patrimoni spirituali, liturgici, culturali e canonici, portando nei nostri cuori le preoccupazioni dei nostri popoli e le loro attese.
Per la prima volta ci siamo riuniti in Sinodo intorno a Sua Santità il Papa Benedetto XVI con i cardinali e gli arcivescovi responsabili dei Dicasteri romani, i presidenti delle Conferenze episcopali del mondo toccate dalle questioni del Medio Oriente, e con rappresentanti delle Chiese ortodosse e comunità evangeliche, e con invitati ebrei e musulmani.
A Sua Santità Benedetto XVI esprimiamo la nostra gratitudine per la sollecitudine e per gli insegnamenti che illuminano il cammino della Chiesa in generale e quello delle nostre Chiese orientali in particolare, soprattutto per la questione della giustizia e della pace. Ringraziamo le Conferenze episcopali per la loro solidarietà, la presenza tra noi durante i pellegrinaggi ai Luoghi santi e la loro visita alle nostre comunità. Li ringraziamo per l’accompagnamento delle nostre Chiese nei differenti aspetti della nostra vita. Ringraziamo le organizzazioni ecclesiali che ci sostengono con il loro aiuto efficace.
Abbiamo riflettuto insieme, alla luce della Sacra Scrittura e della viva Tradizione, sul presente e l’avvenire dei cristiani e dei popoli del Medio Oriente. Abbiamo meditato sulle questioni di questa parte del mondo che Dio, nel mistero del suo amore, ha voluto fosse la culla del suo piano universale di salvezza. Da là, di fatto, è partita la vocazione di Abramo. Là, la Parola di Dio si è incarnata nella Vergine Maria per l’azione dello Spirito Santo. Là, Gesù ha proclamato il Vangelo della vita e del regno. Là, egli è morto per riscattare il genere umano e liberarlo dal peccato. Là è risuscitato dai morti per donare la vita nuova a ogni uomo. Là, è nata la Chiesa che da là è partita per proclamare il Vangelo fino alle estremità della terra.
Il primo scopo del Sinodo è di ordine pastorale. È per questo che abbiamo portato nei cuori la vita, le sofferenze e le speranze dei nostri popoli e le sfide che si devono affrontare ogni giorno, convinti che « la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5, 5). È per questo che vi rivolgiamo questo messaggio, amatissimi fratelli e sorelle, e vogliamo che sia un appello alla fermezza della fede, fondata sulla Parola di Dio, alla collaborazione nell’unità e alla comunione nella testimonianza dell’amore in tutti gli ambiti della vita.

I. La Chiesa nel Medio Oriente: comunione e testimonianza attraverso la storia
Cammino della fede in Oriente


2. In Oriente è nata la prima comunità cristiana. Dall’Oriente partirono gli Apostoli dopo la Pentecoste per evangelizzare il mondo intero. Là è vissuta la prima comunità cristiana in mezzo a tensioni e persecuzioni, « perseverante nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere » (At 2, 42). Là i primi martiri hanno irrorato con il loro sangue le fondamenta della Chiesa nascente. Alla loro sequela gli anacoreti hanno riempito i deserti col profumo della loro santità e della loro fede. Là vissero i Padri della Chiesa orientale che continuano a nutrire con i loro insegnamenti la Chiesa d’Oriente e d’Occidente. Dalle nostre Chiese partirono, nei primi secoli e nei secoli seguenti, i missionari verso l’estremo Oriente e verso l’Occidente portando la luce di Cristo. Noi ne siamo gli eredi e dobbiamo continuare a trasmettere il loro messaggio alle generazioni future.
Le nostre Chiese non hanno smesso di donare santi, preti, consacrati e di servire in maniera efficace in numerose istituzioni che contribuiscono alla costruzione delle nostre società e dei nostri paesi, sacrificandosi per l’uomo creato all’immagine di Dio e portatore della sua immagine. Alcune delle nostre Chiese non cessano ancora oggi di mandare missionari, portatori della Parola di Cristo nei differenti angoli del mondo. Il lavoro pastorale, apostolico e missionario ci domanda oggi di pensare una pastorale per promuovere le vocazioni sacerdotali e religiose e assicurare la Chiesa di domani.
Ci troviamo oggi davanti a una svolta storica: Dio che ci ha donato la fede nel nostro Oriente da 2000 anni, ci chiama a perseverare con coraggio, assiduità e forza, a portare il messaggio di Cristo e la testimonianza al suo Vangelo che è un Vangelo di amore e di pace.

Sfide e attese

3.1. Oggi siamo di fronte a numerose sfide. La prima viene da noi stessi e dalle nostre Chiese. Ciò che Cristo ci domanda è di accettare la nostra fede e di viverla in ogni ambito della vita. Ciò che egli domanda alle nostre Chiese è di rafforzare la comunione all’interno di ciascuna Chiesa sui iuris e tra le Chiese cattoliche di diversa tradizione, inoltre di fare tutto il possibile nella preghiera e nella carità per raggiungere l’unità di tutti i cristiani e realizzare così la preghiera di Cristo: « perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato » (Gv 17, 21).

3.2. La seconda sfida viene dall’esterno, dalle condizioni politiche e dalla sicurezza nei nostri paesi e dal pluralismo religioso.
Abbiamo analizzato quanto concerne la situazione sociale e la sicurezza nei nostri paesi del Medio Oriente. Abbiamo avuto coscienza dell’impatto del conflitto israelo-palestinese su tutta la regione, soprattutto sul popolo palestinese che soffre le conseguenze dell’occupazione israeliana: la mancanza di libertà di movimento, il muro di separazione e le barriere militari, i prigionieri politici, la demolizione delle case, la perturbazione della vita economica e sociale e le migliaia di rifugiati. Abbiamo riflettuto sulla sofferenza e l’insicurezza nelle quali vivono gli Israeliani. Abbiamo meditato sulla situazione di Gerusalemme, la Città Santa. Siamo preoccupati delle iniziative unilaterali che rischiano di mutare la sua demografia e il suo statuto. Di fronte a tutto questo, vediamo che una pace giusta e definitiva è l’unico mezzo di salvezza per tutti, per il bene della regione e dei suoi popoli.

3.3. Nelle nostre riunioni e nelle nostre preghiere abbiamo riflettuto sulle sofferenze cruente del popolo iracheno. Abbiamo fatto memoria dei cristiani assassinati in Iraq, delle sofferenze permanenti della Chiesa in Iraq, dei suoi figli espulsi e dispersi per il mondo, portando noi insieme con loro le preoccupazioni della loro terra e della loro patria.
I padri sinodali hanno espresso la loro solidarietà con il popolo e che Chiese in Iraq e hanno espresso il voto che gli emigrati, forzati a lasciare i loro paesi, possano trovare i soccorsi necessari là dove arrivano, affinché possano tornare nei loro paesi e vivervi in sicurezza.

3.4. Abbiamo riflettuto sulle relazioni tra concittadini, cristiani e musulmani. Vorremmo qui affermare, nella nostra visione cristiana delle cose, un principio primordiale che dovrebbe governare queste relazioni: Dio vuole che noi siamo cristiani nel e per le nostre società del Medio Oriente. Il fatto di vivere insieme cristiani e musulmani è il piano di Dio su di noi ed è la nostra missione e la nostra vocazione. In questo ambito ci comporteremo con la guida del comandamento dell’amore e con la forza dello Spirito in noi.
Il secondo principio che governa queste relazioni è il fatto che noi siamo parte integrale delle nostre società. La nostra missione basata sulla nostra fede e il nostro dovere verso le nostre patrie ci obbligano a contribuire alla costruzione dei nostri paesi insieme con tutti i cittadini musulmani, ebrei e cristiani.

II. Comunione e testimonianza all’interno delle Chiese cattoliche del Medio Oriente
Ai fedeli delle nostre Chiese


4.1. Gesù ci dice: «Voi siete il sale della terra, la luce del mondo» (Mt 5, 13.14). La vostra missione, amatissimi fedeli, è di essere per mezzo della fede, della speranza e dell’amore nelle vostre società, come il «sale» che dona sapore e senso alla vita, come la «luce» che illumina le tenebre e come il «lievito» che trasforma i cuori e le intelligenze. I primi cristiani a Gerusalemme erano poco numerosi. Nonostante ciò, essi hanno potuto portare il Vangelo fino alle estremità della terra, con la grazia del « Signore che agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano » (Mc 16, 20).

4.2. Vi salutiamo, cristiani del Medio Oriente, e vi ringraziamo per tutto ciò che voi avete realizzato nelle vostre famiglie e nelle vostre società, nelle vostre Chiese e nelle vostre nazioni. Salutiamo la vostra perseveranza nelle difficoltà, pene e angosce.

4.3. Cari sacerdoti, nostri collaboratori nella missione catechetica, liturgica e pastorale, vi rinnoviamo la nostra amicizia e la nostra fiducia. Continuate a trasmettere ai vostri fedeli con zelo e perseveranza il Vangelo della vita e la Tradizione della Chiesa attraverso la predicazione, la catechesi, la direzione spirituale e il buon esempio. Consolidate la fede del popolo di Dio perché essa si trasformi in una civiltà dell’amore. Dategli i sacramenti della Chiesa perché aspiri al rinnovamento della vita. Radunatelo nell’unità e nella carità con il dono dello Spirito Santo.
Cari religiosi, religiose e consacrati nel mondo, vi esprimiamo la nostra gratitudine e ringraziamo Dio insieme con voi per il dono dei consigli evangelici – della castità consacrata, della povertà e dell’obbedienza – con i quali avete fatto dono di voi stessi, al seguito del Cristo cui desiderate testimoniare il vostro amore e predilezione. Grazie alle vostre iniziative apostoliche diversificate, siete il vero tesoro e la ricchezza delle nostre Chiese e un’oasi spirituale nelle nostre parrocchie, diocesi e missioni.
Ci uniamo in spirito agli eremiti, ai monaci e alle monache che hanno consacrato la loro vita alla preghiera nei monasteri contemplativi, santificando le ore del giorno e della notte, portando nella loro preghiera le preoccupazioni e i bisogni della Chiesa. Con la testimonianza della vostra vita voi offrite al mondo un segno di speranza.

4.4. Fedeli laici, noi vi esprimiamo la nostra stima e la nostra amicizia. Apprezziamo quanto fatte per le vostre famiglie e le vostre società, le vostre Chiese e le vostre patrie. State saldi in mezzo alle prove e alle difficoltà. Siamo pieni di gratitudine verso il Signore per i carismi e i talenti di cui vi ha colmato e con i quali voi partecipate per la forza del Battesimo e della Cresima al lavoro apostolico e alla missione della Chiesa, impregnando l’ambito delle cose temporali con lo spirito e i valori del Vangelo. Vi invitiamo alla testimonianza di una vita cristiana autentica, a una pratica religiosa cosciente e ai buoni costumi. Abbiate il coraggio di dire la verità con obbiettività.
Portiamo nelle nostre preghiere voi, sofferenti nel corpo, nell’anima e nello spirito, voi oppressi, espatriati, perseguitati, prigionieri e detenuti. Unite le vostre sofferenze a quelle di Cristo Redentore e cercate nella sua croce la pazienza e la forza. Con il merito delle vostre sofferenze, voi ottenete per il mondo l’amore misericordioso di Dio.
Salutiamo ciascuna delle nostre famiglie cristiane e guardiamo con stima la vocazione e la missione della famiglia, in quanto cellula viva della società, scuola naturale delle virtù e dei valori etici e umani, e chiesa domestica che educa alla preghiera e alla fede di generazione in generazione. Ringraziamo i genitori e i nonni per l’educazione dei loro figli e dei loro nipoti, sull’esempio del fanciullo Gesù che « cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini » (Lc 2, 52). Ci impegniamo a proteggere la famiglia con una pastorale familiare grazie ai corsi di preparazione al matrimonio e ai centri d’accoglienza e di consultazione aperti a tutti e soprattutto alle coppie in difficoltà e con le nostre rivendicazioni dei diritti fondamentali della famiglia.
Ci rivolgiamo ora in modo speciale alle donne. Esprimiamo la nostra stima per quanto voi siete nei diversi stati di vita: come ragazze, educatrici, madri, consacrate e operatrici nella vita pubblica. Vi elogiamo perché proteggete la vita umana fin dall’inizio, offrendole cura e affetto. Dio vi ha donato una sensibilità particolare per tutto ciò che riguarda l’educazione, il lavoro umanitario e la vita apostolica. Rendiamo grazie a Dio per le vostre attività e auspichiamo che voi esercitiate una più grande responsabilità nella vita pubblica.
Guardiamo a voi con amicizia, ragazzi e ragazze, come ha fatto Cristo con il giovane del Vangelo (cf. Mc 10, 21). Voi siete l’avvenire delle nostre Chiese, delle nostre comunità, dei nostri paesi, il loro potenziale e la loro forza rinovatrice. Progettate la vostra vita sotto lo sguardo amorevole di Cristo. Siate cittadini responsabili e credenti sinceri. La Chiesa si unisce a voi nelle vostre preoccupazioni di trovare un lavoro in funzione delle vostre competenze; ciò contribuirà a stimolare la vostra creatività e ad assicurare l’avvenire e la formazione di una famiglia credente. Superate la tentazione del materialismo e del consumismo. Siate saldi nei vostri valori cristiani.
Salutiamo i capi delle istituzioni educative cattoliche. Nell’insegnamento e nell’educazione ricercate l’eccellenza e lo spirito cristiano. Abbiate come scopo il consolidamento della cultura della convivialità, la preoccupazione dei poveri e dei portatori di handicap. Malgrado le sfide e le difficoltà di cui soffrono le vostre istituzioni, vi invitiamo a mantenerle vive per assicurare la missione educatrice della Chiesa e promuovere lo sviluppo e il bene delle nostre società.
Ci rivolgiamo con grande stima a quanti lavorano nel settore sociale. Nelle vostre istituzioni siate al servizio della carità. Noi vi incoraggiamo e sosteniamo in questa missione di sviluppo, che è guidata dal ricco insegnamento sociale della Chiesa. Attraverso il vostro lavoro, voi rafforzate i legami di fraternità tra gli uomini, servendo senza discriminazione i poveri, i marginalizzati, i malati, i rifugiati e i prigionieri. Voi siete guidati dalla parola del Signore Gesù: « tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me » (Mt 25, 40).
Guardiamo con speranza i gruppi di preghiera e i movimenti apostolici. Sono scuole di approfondimento della fede per viverla nella famiglia e nella società. Apprezziamo le loro attività nelle parrocchie e nelle diocesi e il loro sostegno ai pastori in conformità con le direttive della Chiesa. Ringraziamo Dio per questi gruppi e questi movimenti, cellule attive della parrocchia e vivai per le vocazioni sacerdotali e religiose.
Apprezziamo il ruolo dei mezzi di comunicazione scritta e audio-visiva. Ringraziamo voi, giornalisti, per la vostra collaborazione con la Chiesa per la diffusione dei suoi insegnamenti e delle sue attività, e in questi giorni per aver diffuso le notizie dell’Assemblea del Sinodo sul Medio Oriente in tutte le parti del mondo.
Ci felicitiamo del contributo dei media internazionali e cattolici. Per il Medio Oriente merita una menzione particolare il canale Télé Lumière-Noursat. Speriamo che possa continuare il suo servizio di informazione e di formazione alla fede, il suo lavoro per l’unità dei cristiani, il consolidamento della presenza cristiana in Oriente, il rafforzamento del dialogo inter-religioso e la comunione tra gli orientali sparsi in tutti i continenti.

Ai nostri fedeli nella diaspora

5. L’emigrazione è divenuta un fenomeno generale. Il cristiano, il musulmano e l’ebreo emigrano e per le stesse cause derivate dall’instabilità politica ed economica. Il cristiano, inoltre, comincia a sentire nell’insicurezza, benché a diversi gradi, nei paesi del Medio Oriente. I cristiani abbiano fiducia nell’avvenire e continuino a vivere nei loro cari paesi.
Vi salutiamo amatissimi fedeli nei vostri differenti paesi della diaspora. Chiediamo a Dio di benedirvi. Noi vi domandiamo di conservare vivo nei vostri cuori e nelle vostre preoccupazioni il ricordo delle vostre patrie e delle vostre Chiese. Voi potete contribuire alla loro evoluzione e alla loro crescita con le vostre preghiere, i vostri pensieri, le vostre visite e con diversi mezzi, anche se ne siete lontani.
Conservate i beni e le terre che avete in patria; non affrettatevi ad abbandonarli e a venderli. Custodite tali proprietà come un patrimonio per voi e una porzione di quella patria alla quale rimanete attaccati e che voi amate e sostenete. La terra fa parte dell’identità della persona e della sua missione; essa è uno spazio vitale per quelli che vi restano e per quelli che, un giorno, vi ritorneranno. La terra è un bene pubblico, un bene della comunità, un patrimonio comune. Non può essere ridotta a interessi individuali da parte di chi la possiede e che da solo decide a proprio piacimento di tenerla o di abbandonarla.
Vi accompagniamo con le nostre preghiere, voi figli delle nostre Chiese e dei nostri Paesi, forzati a emigrare. Portate con voi la vostra fede, la vostra cultura e il vostro patrimonio per arricchire le vostre nuove patrie che vi procurano pace, libertà e lavoro. Guardate all’avvenire con fiducia e gioia, restate sempre attaccati ai vostri valori spirituali, alle vostre tradizioni culturali e al vostro patrimonio nazionale per offrire ai paesi che vi hanno accolto il meglio di voi stessi e il meglio di ciò che avete. Ringraziamo le Chiese dei paesi della diaspora che hanno accolto i nostri fedeli e che non cessano di collaborare con noi per assicurare loro il servizio pastorale necessario.

Agli immigrati nei nostri paesi e nelle nostre Chiese

6. Salutiamo tutti gli immigrati delle diverse nazionalità, venuti nei nostri paesi per ragione di lavoro.
Noi vi accogliamo, amatissimi fedeli, e vediamo nella vostra fede un arricchimento e un sostegno per la fede dei nostri fedeli. È con gioia che vi forniremo ogni aiuto spirituale di cui voi avete bisogno.
Noi domandiamo alle nostre Chiese di prestare un’attenzione speciale a questi fratelli e sorelle e alle loro difficoltà, qualunque sia la loro religione, soprattutto quando sono esposti ad attentati ai loro diritti e alla loro dignità. Essi vengono da noi non soltanto per trovare mezzi per vivere, ma per procurare dei servizi di cui i nostri paesi hanno bisogno. Essi ricevono da Dio la loro dignità e, come ogni persona umana, hanno dei diritti che è necessario rispettare. Non è permesso a nessuno di attentare a tale dignità e diritti. È per questo che invitiamo i governi dei paesi di accoglienza a rispettare e difendere i loro diritti.

III. Comunione e testimonianza con le Chiese ortodosse e le Comunità evangeliche nel Medio Oriente

7. Salutiamo le Chiese ortodosse e le Comunità evangeliche nei nostri paesi. Lavoriamo insieme per il bene dei cristiani, perché essi restino, crescano e prosperino. Siamo sulla stessa strada. Le nostre sfide sono le stesse e il nostro avvenire è lo stesso. Vogliamo portare insieme la testimonianza di discepoli di Cristo. Soltanto con la nostra unità possiamo compiere la missione che Dio ha affidato a tutti, malgrado la diversità delle nostre Chiese. La preghiera di Cristo è il nostro sostegno, ed è il comandamento dell’amore che ci unisce, anche se la strada verso la piena comunione è ancora lunga davanti a noi.
Abbiamo camminato insieme nel Consiglio delle Chiese del Medio Oriente e vogliamo continuare questo cammino con la grazia di Dio e promuovere la sua azione, avendo come scopo ultimo la testimonianza comune alla nostra fede, il servizio dei nostri fedeli e di tutti i nostri paesi.
Salutiamo e incoraggiamo tutte le istanze di dialogo ecumenico in ciascuno dei nostri paesi.
Esprimiamo la nostra gratitudine al Consiglio Mondiale delle Chiese e alle diverse organizzazioni ecumeniche, che lavorano per l’unità della Chiesa, per il loro sostegno.

IV. Cooperazione e dialogo con i nostri concittadini ebrei

8. La stessa Scrittura santa ci unisce, l’Antico Testamento che è la Parola di Dio per voi e per noi. Noi crediamo in tutto quanto Dio ha rivelato, da quando ha chiamato Abramo, nostro padre comune nella fede, padre degli ebrei, dei cristiani e dei musulmani. Crediamo nelle promesse e nell’alleanza che Dio ha affidato a lui. Noi crediamo che la Parola di Dio è eterna.
Il Concilio Vaticano II ha pubblicato il documento Nostra aetate, riguardante il dialogo con le religioni, con l’ebraismo, l’islam e le altre religioni. Altri documenti hanno precisato e sviluppato in seguito le relazioni con l’ebraismo. C’è inoltre un dialogo continuo tra la Chiesa e i rappresentanti dell’ebraismo. Noi speriamo che questo dialogo possa condurci ad agire presso i responsabili per mettere fine al conflitto politico che non cessa di separarci e di perturbare la vita dei nostri paesi.
È tempo di impegnarci insieme per una pace sincera, giusta e definitiva. Tutti noi siamo interpellati dalla Parola di Dio. Essa ci invita ad ascoltare la voce di Dio «che parla di pace»: «ascolterò che cosa dice Dio, il Signore: egli annunzia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con tutto il cuore» (Sal 85, 9). Non è permesso di ricorrere a posizioni teologiche bibliche per farne uno strumento a giustificazione delle ingiustizie. Al contrario, il ricorso alla religione deve portare ogni persona a vedere il volto di Dio nell’altro e a trattarlo secondo gli attributi di Dio e i suoi comandamenti, vale a dire secondo la bontà di Dio, la sua giustizia, la sua misericordia e il suo amore per noi.

V. Cooperazione e dialogo con i nostri concittadini musulmani

9. Siamo uniti dalla fede in un Dio unico e dal comandamento che dice: fa il bene ed evita il male. Le parole del Concilio Vaticano II sul rapporto con le religioni pongono le basi delle relazioni tra la Chiesa Cattolica e i musulmani: «La Chiesa guarda con stima i musulmani che adorano il Dio uno, vivente […] misericordioso e onnipotente, che ha parlato agli uomini» (Nostra aetate 3).
Diciamo ai nostri concittadini musulmani: siamo fratelli e Dio ci vuole insieme, uniti nella fede in Dio e nel duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. Insieme noi costruiremo le nostre società civili sulla cittadinanza, sulla libertà religiosa e sulla libertà di coscienza. Insieme noi lavoreremo per promuovere la giustizia, la pace, i diritti dell’uomo, i valori della vita e della famiglia. La nostra responsabilità è comune nella costruzione delle nostre patrie. Noi vogliamo offrire all’Oriente e all’Occidente un modello di convivenza tra le differenti religioni e di collaborazione positiva tra diverse civiltà, per il bene delle nostre patrie e quello di tutta l’umanità.
Dalla comparsa dell’islam nel VII secolo fino ad oggi, abbiamo vissuto insieme e abbiamo collaborato alla creazione della nostra civiltà comune. È capitato nel passato, come capita ancor’oggi, qualche squilibrio nei nostri rapporti. Attraverso il dialogo noi dobbiamo eliminare ogni squilibrio o malinteso. Il Papa Benedetto XVI ci dice che il nostro dialogo non può essere una realtà passeggera. È piuttosto una necessità vitale da cui dipende il nostro avvenire (cf. Discorso ai rappresentanti delle comunità musulmane a Colonia, 20.08.2005). È nostro dovere, dunque, educare i credenti al dialogo inter-religioso, all’accettazione del pluralismo, al rispetto e alla stima reciproca.

VI. La nostra partecipazione alla vita pubblica: appelli ai governi e ai responsabili pubblici dei nostri paesi

10. Apprezziamo gli sforzi che dispiegate per il bene comune e il servizio delle nostre società. Vi accompagniamo con le nostre preghiere e domandiamo a Dio di guidare i vostri passi. Ci rivolgiamo a voi a riguardo dell’importanza dell’uguaglianza tra i cittadini. I cristiani sono cittadini originali e autentici, leali alla loro patria e fedeli a tutti i loro doveri nazionali. È naturale che essi possano godere di tutti i diritti di cittadinanza, di libertà di coscienza e di culto, di libertà nel campo dell’insegnamento e dell’educazione e nell’uso dei mezzi di comunicazione.
Vi chiediamo di raddoppiare gli sforzi che dispiegate per stabilire una pace giusta e duratura in tutta la regione e per arrestare la corsa agli armamenti. È questo che condurrà alla sicurezza e alla prosperità economica, arresterà l’emorragia dell’emigrazione che svuota i nostri paesi delle loro forze vive. La pace è un dono prezioso che Dio ha affidato agli uomini e sono gli « operatori di pace[che]saranno chiamati figli di Dio » (Mt 5, 9).

VII. Appello alla comunità internazionale

11. I cittadini dei paesi del Medio Oriente interpellano la comunità internazionale, in particolare l’O.N.U., perché essa lavori sinceramente ad una soluzione di pace giusta e definitiva nella regione, e questo attraverso l’applicazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, e attraverso l’adozione delle misure giuridiche necessarie per mettere fine all’Occupazione dei differenti territori arabi.
Il popolo palestinese potrà così avere una patria indipendente e sovrana e vivervi nella dignità e nella stabilità. Lo Stato d’Israele potrà godere della pace e della sicurezza all’interno delle frontiere internazionalmente riconosciute. La Città Santa di Gerusalemme potrà trovare lo statuto giusto che rispetterà il suo carattere particolare, la sua santità, il suo patrimonio religioso per ciascuna delle tre religioni ebraica, cristiana e musulmana. Noi speriamo che la soluzione dei due Stati diventi realtà e non resti un semplice sogno.
L’Iraq potrà mettere fine alle conseguenze della guerra assassina e ristabilire la sicurezza che proteggerà tutti i suoi cittadini con tutte le loro componenti sociali, religiose e nazionali.
Il Libano potrà godere della sua sovranità su tutto il territorio, fortificare l’unità nazionale e continuare la vocazione a essere il modello della convivenza tra cristiani e musulmani, attraverso il dialogo delle culture e delle religioni e la promozione delle libertà pubbliche.
Noi condanniamo la violenza e il terrorismo, di qualunque origine, e qualsiasi estremismo religioso. Condanniamo ogni forma di razzismo, l’antisemitismo, l’anticristianesimo e l'islamofobia e chiamiamo le religioni ad assumere le loro responsabilità nella promozione del dialogo delle culture e delle civiltà nella nostra regione e nel mondo intero.

Conclusione: continuare a testimoniare la vita divina che ci è apparsa nella persona di Gesù

12. In conclusione, fratelli e sorelle, noi vi diciamo con l’apostolo san Giovanni nella sua prima lettera: «Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi –, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo» (1Gv 1, 1-3).
Questa Vita divina che è apparsa agli apostoli 2000 anni fa nella persona del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, della quale la Chiesa è vissuta e alla quale essa ha dato testimonianza in tutto il corso della sua storia, rimarrà sempre la vita delle nostre Chiese nel Medio Oriente e l’oggetto della nostra testimonianza.
Sostenuti dalla promessa del Signore: « ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20), proseguiamo insieme il nostro cammino nella speranza, e « la speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato » (Rm 5, 5).
Confessiamo che non abbiamo fatto fino ad ora tutto ciò che era in nostra possibilità per vivere meglio la comunione tra le nostre comunità. Non abbiamo operato a sufficienza per confermarvi nella fede e darvi il nutrimento spirituale di cui avete bisogno nelle vostre difficoltà. Il Signore ci invita ad una conversione personale e collettiva.
Oggi torniamo a voi pieni di speranza, di forza e di risolutezza, portando con noi il messaggio del Sinodo e le sue raccomandazioni per studiarle insieme e metterci ad applicarle nelle nostre Chiese, ciascuno secondo il suo stato. Speriamo anche che questo sforzo nuovo sia ecumenico.
Noi vi rivolgiamo questo umile e sincero appello perché insieme condividiamo un cammino di conversione per lasciarci rinnovare dalla grazia dello Spirito Santo e ritornare a Dio.
Alla Santissima Vergine Maria, Madre della Chiesa e Regina della pace, sotto la cui protezione abbiamo messo i lavori sinodali, affidiamo il nostro cammino verso nuovi orizzonti cristiani e umani, nella fede in Cristo e con la forza della sua parola: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21, 5).

mercoledì 20 ottobre 2010

Novembre

"Parole di Qoèlet, figlio di Davide, re di Gerusalemme. Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità, tutto è vanità." Qoèlet (Ecclesiaste) 1,1-2

"La vita è una cosa meravigliosa. Senza, saremmo morti" (anonimo)

A dispetto di coloro che ritengono l'entrante mese di novembre un periodo di tristezza legato all'incedere dell'autunno, quando si levan le foglie l'una appresso dell'altra, fin che 'l ramo vede alla terra tutte le sue spoglie, a me invece questo intervallo è sempre parso un ottimo periodo da dedicare alla riflessione.
Uno spazio ricavato tra le ultime propaggini dei ricordi estivi ed il lento ridestarsi del sole dal suo sonnacchioso recedere, che si aprirà a breve prima di lasciare campo aperto alle celebrazioni paganeggianti e ai baccannali delle feste natalizie.
Il novembre no! E' diverso. Malgrado i tentativi sempre più pervasivi di infiltrare anche qui la moda a stelle e strisce di Halloween con la sua congerie di zucche sempre più vuote. Tutt'altra cosa dai nostri uno e due novembre tradizionali: i santi e i morti.
Stranamente, poiché i santi sono anche morti, dobbiamo immaginare che il secondo dei due giorni di celebrazione sia dedicato principalmente agli altri, cioè ai defunti che non hanno avuto la ventura di assurgere agli onori dell'empireo. I dannati insomma. Al limite, i purganti.
E del resto, come ci ricordava il principe Antonio De Curtis, in arte Totò, «'A morte 'o ssaje ched''e?...è una livella». Ben venga allora anche un giorno dedicato a tutti coloro che furono e non son più, senza distinzione di natali e di censo, di fama e di cultura, d'aspetto e di età. Ma anche di santità.
Già. La morte. Novembre è un mese perfetto per ponderare questo incredibile concetto, magari aiutati da un libro appropriato (io, per esempio, sto leggendo il saggio "Qualcosa in cui credere" del Cardinal Martini, recentemente edito da Piemme) e da un calice di vino da meditazione. Recita un antico proverbio Yiddish «Polvere sei e polvere tornerai, ma tra una polvere e l'altra un buon bicchiere non fa mai male».
Non c'è da farsi prendere dalla depressione. Tutt'altro. Ogni tanto il pensiero del limite può risultare estremamente rasserenante. Conferisce senso alla vita e la rende degna di essere vissuta in modo autentico. E assegna un valore inestimabile ad ogni suo singolo istante.
Non so se tutti provino la stessa sensazione di pace e tranquillità che sento io quando visito il camposanto nel mio paese d'origine. Non solamente durante le ricorrenze di novembre. Spesso, quando vi capito, faccio un giro di tutto il cimitero alla ricerca di volti noti, taluni familiari.
E raccogliendomi, dedico ad ognuno un ricordo per il periodo trascorso assieme. Un pezzo di me che non c'è più, ma che in quel momento ritrovo. Una rottura che si risana. Si tratta di pensieri dolci. Di episodi lieti a cui restare legati. Una battuta scambiata. Un aneddoto giocoso. Un momento di serenità.
Ogni tanto, come è normale che sia, la mente vaga e si sofferma anche su cosa ci può essere dopo. Una vita nuova, oppure il riposo eterno. L'incedere degli anni, i segni del tempo che passa, acuiscono il sentimento di comunanza che tutti ci affratella in un unico destino.
La vita. La morte. Le gioie. Il dolore. L'amore. Il lutto. Un ciclo che da tempo immemore continuamente si compie e si rinnova. In attesa di una risposta che forse conosceremo. O forse no. Perché il pensiero della fine degli altri ci rimanda inevitabilmente all'estremità del nostro viaggio.
Il 12 febbraio 1984, poche settimane prima di terminare la sua esperienza terrena, il teologo Karl Rahner, nella sua ultima lezione tenuta all'Università di Friburgo di Brisgovia si esprimeva con le seguenti parole.
«Un giorno gli angeli della morte spazzeranno via dai meandri del nostro spirito tutti quei rifiuti inutili, che diciamo la nostra storia (anche se la vera essenza della libertà messa in atto rimarrà).
Un giorno tutte le stelle dei nostri ideali, con cui noi stessi avevamo arrogantemente drappeggiato il cielo della nostra esistenza, cesseranno di brillare e si spegneranno.
Un giorno la morte introdurrà un vuoto straordinariamente silente, e noi accoglieremo tale vuoto con fede, speranza e in silenzio come la nostra vera essenza.
Un giorno tutta la nostra vita precedente, per quanto lunga, ci apparirà come un'unica breve esplosione della nostra libertà, che ci sembrava estesa solo perché la vedevamo come al rallentatore, una esplosione in cui la domanda si è trasformata in risposta, la possibilità in realtà, il tempo in eternità, la libertà offerta in libertà tradotta in atto»...

Oggi si tende a pensare sempre meno alla impermanenza di questa libertà e all'importanza del suo buon uso. L'idea della fine, della decadenza fisica, della malattia vengono spostati o rimossi in continuazione nella speranza (vana) di allentare l'angoscia per la nostra precarietà.
Viviamo sempre all'insegna del presente. «Dum loquimur fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero». Cerchiamo di prolungare oltre ogni limite la giovinezza (che si fugge tuttavia), ma poi ci spaventiamo quando ci accorgiamo di invecchiare o quando percepiamo il declino di una persona a noi vicina.
«A volte, come i bambini che hanno timore del buio, così noi temiamo, alla luce del giorno, per cose altrettanto inconsistenti di quelle di cui al buio ha paura il bambino».
Lo riconosceva anche un autore controverso come lo spagnolo Miguel de Unamuno. «Per quanto, sul principio, ci sia angosciosa questa meditazione sulla nostra mortalità, ci risulta infine corroborante. [...] Il rimedio è confrontarsi faccia a faccia, fissando lo sguardo nello sguardo della sfinge; è così che si spezza il suo incantesimo».
Il crepuscolo dell'anno che si compie nella stagione autunnale può diventare il nostro memento mori, un'occasione per giudicare la nostra esistenza nel suo dipanarsi. Un tempo di contemplazione che si traduce in gratitudine per il bene prezioso della vita, e soprattutto per la vita di relazione con gli altri, che ne costituisce il cuore pulsante.
La partecipazione alle cerimonie per le solennità di novembre possono aiutare a riconciliarci con la dimensione della nostra finitezza. Per chi crede in una vita futura, nell'attesa operosa e piena di speranza di ciò che verrà. Per chi non si attende nulla, per riflettere su noi, fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni...e la nostra breve vita circondata dal sonno. Marco Ciani

domenica 26 settembre 2010

Le 10 strategie della manipolazione mediatica

Il linguista Noam Chomsky ha elaborato la lista delle “10 Strategie della Manipolazione” attraverso i mass media. Illuminante!

1 - La strategia della distrazione.
L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti.La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica. “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).

2 - Creare il problema e poi offrire la soluzione.
Questo metodo è anche chiamato “problema - reazione - soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.

3 - La strategia della gradualità.
Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.

4 - La strategia del differire.
Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente. Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.

5 - Rivolgersi alla gente come a dei bambini.
La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedi “Armi silenziosi per guerre tranquille”).

6 - Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione.
Sfruttare l'emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell'analisi razionale e, infine, del senso critico dell'individuo. Inoltre, l'uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti….

7 - Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità.
Far sì che la gente sia incapace di comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare da parte delle inferiori" (vedi “Armi silenziosi per guerre tranquille”).

8 - Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità.
Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti...

9 - Rafforzare il senso di colpa.
Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile della proprie disgrazie a causa di insufficente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di depressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad agire. E senza azione non c’è rivoluzione!

10 - Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca.
Negli ultimi 50’anni, i rapidi progressi della scienza hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui dispongono e che utilizzano le élites dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su sé stessa.

martedì 31 agosto 2010

Dagli amici...

“Dagli amici mi guardi Dio”, così dicevano gli antichi, aggiungendo poi “che dai nemici mi guardo io!”, per significare come talora sono proprio quelli che tu consideri amici a combinarti dei guai. Il card. Bertone, Segretario di Stato del Papa, è troppo buono per averlo pensato quando ha visto lo scalpore che ha suscitato la notizia della cena in casa del giornalista televisivo Vespa, a cui hanno partecipato anche il Presidente del Consiglio, on. Berlusconi, e il Presidente dell’UDC, on. Casini.
I giornali non si sono soffermati sul singolare gesto di cortesia del card. Bertone verso il noto giornalista, che festeggiava cinquant’anni di giornalismo, né hanno pensato che il cardinale, se pur sapeva chi erano i commensali, doveva aver ricevuto l’assicurazione che l’incontro sarebbe rimasto assolutamente privato. Forse avrebbero potuto sospettare che, per i buoni uffici dell’on. Letta, che è “gentiluomo di Sua Santità” e quindi gode di notevoli entrature in Vaticano, avrebbe potuto assistere a una specie di riconciliazione dell’on. Casini – che, nonostante le sue vicende personali, viene considerato come un tutore della dottrina della Chiesa nella vita politica italiana – con l’on. Berlusconi, che, al di là anche lui delle sue vicende personali, è oggi in qualche difficoltà per le riserve che nel suo stesso partito si pongono ad alcune leggi giudicate di interesse troppo personale e quindi lesive della nozione diffusa della legalità. Ma questo intento, che sarebbe già in qualche modo politico, ma pur sempre di riconciliazione, quindi di ispirazione evangelica, viene scavalcato da chi ritiene invece si tratti di una sponsorizzazione del governo Berlusconi, come il garante dei principi cristiani “non negoziabili”, quali la vita dall’inizio alla fine o la famiglia e l’attività della Chiesa.
È vero che – almeno a parole – il governo mostra di allinearsi ai principi della dottrina della Chiesa, e oggi la gente più che guardare ai comportamenti dei governanti – anche nella loro vita privata – si lascia guidare dalla televisione, che è il messaggero ideologico odierno e che – in Italia – è a stragrande maggioranza portavoce del Governo; ma occorre anche tenere conto che, se la qualifica del cristiano è la carità, la sua formula attuale – al dire di papa Giovanni Paolo II nella Enciclica Sollicitudo rei socialis - è la solidarietà; cosicché non può dirsi veramente cristiano chi – singolo o governo – non promuova e viva la solidarietà.
Ora, se guardiamo alle attività di questo governo, dobbiamo concludere quanto esso sia contraddittorio con questa veramente “non negoziabile” qualifica del cristiano, dal rifiuto degli immigrati, costretti a tornare nelle inumane carceri libiche quando non nelle patrie da cui sono fuggiti in quanto perseguitati politici, alle politiche economiche, che privilegiano i benestanti – tra cui loro, i politici – e rendono sempre più difficile la vita delle famiglie normali e sempre più precario il lavoro, in particolare per i giovani.
Ma è soprattutto l’impressione che viene data – ed è deleteria soprattutto per i giovani – che quello che conta non sia compiere il proprio dovere, essere onesti, contribuire al “bene comune” (pur senza trascurare il “bene individuale”), ma sia invece arraffare più che si può, appoggiandosi ai politici, corrompendo amministratori e – possibilmente – anche magistrati, e collegandosi anche con organizzazioni criminali, soprattutto con quelle più “coperte”. E questo è totalmente diseducativo perché corrode lentamente tutte le strutture morali, al di là addirittura delle battaglie per la vita, nelle quali la prospettiva è chiara e nessuno è obbligato a prendere posizioni che veda chiaramente contrastare le proprie convinzioni. Il Signore Gesù ha messo in guardia da questa scelta di “mamòna”, parola aramaica che traduciamo con “ricchezza” ma che vi aggiunge la sete di potere, e che Gesù pone come la vera alternativa a sé: “O Dio o mamòna”.
Purtroppo il nostro mondo occidentale (e anche il nostro italiano) è impregnato di “mamòna”, e per questo sta perdendo la fede. Credo che pensare a una sponsorizzazione così esplicita della Chiesa a un governo di “mamòna” potrebbe al massimo venire considerato come la scelta di un “male minore”, che dovrebbe comunque essere accompagnata dalla percezione del male in questione e dalla responsabilità degli operatori a rinunciare a quanto costituisce il male. Gesù non disdegnava i pubblicani e le peccatrici, ma cercava di far cambiare loro vita, come fece con Matteo e Zaccheo e con la Maddalena e l’adultera...
Chissà che dagli incontri con il card. Bertone non nascano spinte a “cambiare vita”, per rendere la politica più trasparente, più onesta... sì, anche più cristiana!

3 agosto 2010 - mons. Luigi Bettazzi (vescovo emerito di Ivrea)

sabato 28 agosto 2010

Il blog di Abuna Mario

Per chi vuole essere informato in diretta su ciò che avviene di qua e di là del Muro segnalo il nuovo blog di don Mario Cornioli: http://abunamario.wordpress.com/

mercoledì 25 agosto 2010

Frammenti vocali in MO:Israele e Palestina: Akiva Eldar : nei colloqui diretti le precondizio...

Frammenti vocali in MO:Israele e Palestina: Akiva Eldar : nei colloqui diretti le precondizio...: "Sintesi personaleDue anni fa, un torneo di basket si è tenuto all'Università di Tel Aviv con la partecipazione di gruppi di studenti proven..."

Frammenti vocali in MO:Israele e Palestina: Marco d'Eramo :I CROCIATI DI GROUND ZERO

Penso che il mio blog non abbia lettori leghisti... Posso allora riprendere questo articolo senza timore che fornisca loro nuove idee!

Frammenti vocali in MO:Israele e Palestina: Marco d'Eramo :I CROCIATI DI GROUND ZERO: "Fan della guerra di civiltà, dei razzisti sudafricani e di Milosevic, Pamela Geller, fondatrice di «Stop the Islamization of America», ama ..."

lunedì 23 agosto 2010

ANSA: nessuna risposta...!

Carissimi amici, dopo 6 giorni ancora non ho avuto un cenno di risposta dalla redazione ANSA...ad oggi il muretto di Gilo è stato davvero tolto e di questo siamo contenti anche perchè la giustificazione era che non c'erano più problemi di sicurezza e anche di questo siamo testimoni, ma allora perchè costruire il muro dentro la nostra parrocchia rubando una intera valle se non ci sono nemmeno i famosi motivi di sicurezza?
Ho invitato Ansa a venirci a trovare... sicuramente un corrispondente da Gerusalemme ci sarà e così spero di poterlo incontrare per fargli vedere come ancora oggi i lavori continuano per la costruzione del muro dentro BetJala.
Se qualcuno mi può aiutare a far arrivare ad Ansa la nostra voce gliene sarei grato, perchè non voglio pensare che una agenzia seria come quella Ansa possa comportarsi in modo così incivile negando una risposta alle obiezioni/domande di un povero prete che ogni giorno prova a dare speranze a una comunità che non spera più perchè umiliata quotidianamente e vessata in tutti i sensi!
Un altro episodio di vita quotidiana: sabato avevamo a Nazareth la "sistemazione" di una icona della Madonna degli Scout nella Basilica dell'Annunciazione... in tanti sono venuti dall'Italia e come parrocchia abbiamo chiesto per i nostri scout 250 permessi per partecipare a questa bella manifestazione... abbiamo ricevuto soltanto 50 permessi e di questi molti sono stati dati alla moglie e non al marito e così sono stati soltanto 32 quelli che hanno potuto partecipare alla s.Messa a Nazareth... e tutto questo non è giusto!
E' una vergogna ed è contro qualunque diritto internazionale... ma di questo non frega niente a nessuno... ad Ansa potrà interessare la notizia che in Israele il diritto alla libertà religiosa, il diritto alla libertà di movimento, e tutti gli altri diritti garantiti dalla Dichiarazione Universale dei diritti umani vengono quotidianamente violati?
Tutto questo porterà ulteriore rabbia e ulteriore sangue come ha scritto anche il Papa Benedetto XI qualche tempo fa... e le trattative di pace saranno soltanto ulteriori chiacchiere inutili, buone solo a perdere/prendere tempo per permettere ad Israele di fare solo i propri interessi... ma se non capiamo che il bene altrui è fondamentale per il mio bene sarà un disastro per tutti! Aiutateci a non far accadere questo disastro per il bene di tutti!
Con affetto.
abuna Mario (aiutiamoci a resistere!)

P.S. Vi allego qui la email del del 19 agosto 2010 :

Carissima redazione, non so se avete gia' ricevuto alcune email di dispiacere e di "protesta" per la vostra notizia ansa del ferragosto delle h.14,15 ... sono don Mario e vivo proprio a BetJala e sono molto rattristato per quanto è successo dato che avete tralasciato di dire tutta la verita'... non si rende un buon servizio a nessuno in questo modo... nemmeno ad Israele!
Vi invito a venirci a trovare a BetJala per vedere come in questi giorni le ruspe israeliane stanno devastando la terra dentro la nostra parrocchia e tutto questo creerà ulteriore rabbia e ulteriore violenza... non è questa la strada per avere pace e sicurezza: rubare terra, tagliare ulivi, chiudere l'acqua, essere rimandati indietro ai check point, ecc. ecc. tutto questo sta succedendo... perche' di queste cose per esempio non ne date mai notizia?
Vi invito a venire a vedere da BetJala la colonia di Gilo (non e' un rione... se vogliamo essere proprio corretti) e a vedere il "ridicolo" muretto che stanno togliendo... tra l'altro io ancora oggi 18 agosto alle 14,50 quando sono passato a trovare una famiglia della parrocchia l'ho visto in piedi... ed e' davvero ridicolo in confronto a quello che stanno costruendo dentro i nostri giardini (circa 1 km piu' avanti prendendosi una intera valle e migliaia di ulivi!)
Vi ripeto il mio dispiacere e vi aggiungo la risposta del patriarca emerito Mons. Sabbah alla vostra news (vi risparmio quelle scandalizzate dalle tante persone italiane che conoscono BetJala e la bellezza della sua terra e della sua gente!):
"Ho ricevuto la notizia sulla “bugia” del muro tolto. Viviamo in un mondo di bugie, percio, la pace rimane lontana… ed e questa la ragione fondamentale dell’inefficacia di tutte le trattative e che trasforma questi mezzi di pace in una grande altra bugia: mentire, rubare, costruire il muro, e dare l’immagine che non esiste piu… Comunque Dio è grande ed è buono e giusto. Un giorno, la sua bontà e giustizia prevarrà su tutto il male degli uomini, anche se sono forti e sono i grandi di questo mondo" (Sua Beatitudine Michel Sabbah, patriarca emerito di Gerusalemme).
Anche io credo in Dio e prima o poi la giustizia arriverà.
Vi chiediamo di aiutarci a costruirla cercando di dire tutta la verità!
don Mario

abuna MARIO CORNIOLI
Parrocchia di BetJala
cell. 00972-546-287971
donmario.c@gmail.com