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"La coscienza del cristiano è impegnata a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo" ____________________________________________________________________________________________________________________

venerdì 28 gennaio 2011

Il limite di una degenerazione

C’è da chiedersi se c’era bisogno di questo: se c’era bisogno di un sospetto (sul piano penale tutto da dimostrare: siamo garantisti) di un’imputazione tanto grave come quello della “prostituzione minorile” per accorgersi che, ai vertici dell’esecutivo, sussistono comportamenti non proprio coerenti con lo spirito sobrio che dovrebbe contraddistinguere i titolari di tanta responsabilità. C’è da chiedersi se pareggiava il risultato, il silenzio o il mormoricchio sulla banalizzazione mediatica dei problemi drammatici del Paese con il contraccambio, promesso (?), della difesa dell’istituto familiare, solo perché si voleva e si vuole ignorare la situazione di fatto delle emergenze affettive. C’è da chiedersi se il piatto di lenticchie di qualche finanziamento alla scuola non statale, valesse la condiscendenza o addirittura l’intervento sempre benevolo verso una parte politica.
Tutto questo è da chiedere non solo al giornale che rappresenterebbe, almeno in via ufficiale, la comunità cristiana che è in Italia (“vulgo dictus” dei vescovi italiani), ma anche a quei vertici ecclesiali che si sono incartati in un atteggiamento fin troppo scoperto verso una parte politica: le dichiarazioni in contrario sono smentite dagli atteggiamenti.
Sia chiaro; non abbiamo mai sottovalutato né i problemi connessi all’unità dell’istituto familiare, né quelli della libertà della scuola. Diciamo solo che forse serviva un po’ più di fiducia nel lasciare ai Laici, la responsabilità degli strumenti della politica, come auspicherebbe la realizzazione, nel merito, del Concilio Vaticano II. Ma dove sono finite le proposte che ne erano scaturite? Quali effetti deriveranno alla Chiesa italiana dall’essersi coinvolta e lasciata coinvolgere nei conflitti delle parti politiche?
Veniamo però al problema di questa degenerazione della vita pubblica, della vicenda di una nazione allo sbando, perché di questo si tratta in prima istanza.
Certo, per quanto grave sia l’immagine di sconvolgente immoralità che investe il Paese, questa non sarebbe stata possibile senza il consenso affidato dall’elettorato al premier in carica. Sarà vero, e noi per primi lo abbiamo spesso affermato che l’espressione dei vertici è radicata in una concezione, mentalità e costume consumistici in cui il valore morale risulta irrilevante (altro che contestualizzazione dei comportamenti!) E tuttavia è anche vero che nel nostro tessuto sociale manca anche un minimo di orgoglio nazionale che ci permetterebbe di reagire alla caduta di immagine di fronte al mondo. Altri Paesi, infognati come noi nella mentalità godereccia, reagirebbero a fronte di un degrado di immagine, proprio perché convinti della loro tradizione nazionale da difendere nei rapporti internazionali e con attenzione alla memoria storica. Inutile mediare: qui da noi questo manca. Quale reazione alla batosta internazionale del “caso Battisti”? quale dissenso alla dissacrazione istituzionale della compra/vendita dei deputati, avvenuta sotto l’indifferenza dell’opinione pubblica? quale interesse alle varie vicende europee in cui molti accordi bilaterali vedono scarsamente presente quando non escluso il nostro Paese? Quale prospettiva di sentire comune si è manifestata nella nostra storia?
Di qui forse bisognerà ripartire e tener presente che col passato bisogna fare i conti. Il nostro Stato è nato anche in un contesto di frattura fra una classe dirigente, sicuramente illuminata, ed un popolo del tutto disimpegnato dal processo di unificazione. Si potrà obiettare, ed a ragione, che sono le elite a promuovere i grandi processi storici, ma in altri paesi c’è stata la capacità di coinvolgere, di socializzare le masse; non tutti gli effetti sono stati positivi, ma la presenza popolare nello spirito delle nazioni ha avuto i suoi effetti. Da noi l’unità dello Stato si è accompagnata ad un processo di separatezza tra popolo e nazione.
A questa separatezza, faticosamente recuperata, si è aggiunta una seconda frattura col fascismo: la frattura tra nazione e libertà. Si è realizzato un consenso, ma un consenso senza protagonismo dei ceti popolari e delle vere elite intellettuali, controllati da un sistema autoritario e dittatoriale. Anche il movimento, per tanti aspetti glorioso, di riscatto e liberazione dalla dittatura, l’atto di “ribellione” all’ autoritarismo ed alle sue prepotenze, che ha visto un largo coinvolgimento popolare, sia pure a diversi livelli, è apparso, a torto o ragione, come appannaggio di una parte politica.
Non si tratta di ricercare dei colpevoli si tratta solo di capire perché non c’è nel nostro popolo l’orgoglio di appartenere ad una nazione. Anche gli sforzi fatti dagli ultimi Presidenti della Repubblica per rimediare, hanno sortito effetti molto scarsi
Ora si raccolgono i frutti; non solo i comportamenti ambivalenti o meglio ambigui (il giudizio è semplicemente etico e politico; non spetta a noi intervenire nelle inchieste relative alle responsabilità penali) della classe dirigente, si mimetizzano in una omologazione perversa di natura consumistica, ma non c’è neppure, né potrebbe esserci, un sussulto di orgoglio nazionale. Non c’è perché c’è scarso senso della nazione e dei suoi valori unificanti, al di sopra della dialettica fra le parti.
Potrebbe essere una spiegazione alla indifferenza che non intacca il consenso ad un esecutivo tanto contestato dagli avvenimenti che fanno scandalo. Potrebbe essere, ma il dubbio rimane e lo sconcerto anche di più.
Certo si potrà dire, e lo abbiamo già sottolineato fin troppo, per ritornarci anche in questa sede, che purtroppo non si definiscono alternative valide, che l’opposizione annaspa alla ricerca di un progetto ancora assente; resta il fatto che certe degenerazioni dovrebbero almeno suscitare una reazione generalizzata. Non mi pare che stia succedendo.
Agostino Pietrasanta