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"La coscienza del cristiano è impegnata a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo" ____________________________________________________________________________________________________________________

sabato 24 maggio 2008

Niente di nuovo...

Ciao don, ho messo giù questi pensieri dopo che ho letto il tuo articolo sul Blog …
Luca


Siamo sempre alle solite! La notizia ormai fa audience e soddisfa le menti e le bocche della “MASSA DEI CREDULONI”. La classica chiacchera da piazza o da bar. La notizia scompare e riappare come in un gioco di prestigio. Sembra che in questi giorni i Rom si siano messi tutti d'accordo per rapire dei bambini, sono aumentati anche molto gli ubriachi al volante, la spazzatura adesso fa nuovamente notizia (mentre nei mesi della campagna elettorale non ne avevamo più avuto notizia; a proposito, un consiglio, perché non costruiamo il ponte sullo stretto con la spazzatura?!?!) di ALITALIA non sappiamo più nulla, ci indigniamo, ci arrabbiamo, ce la prendiamo sempre con i più deboli ma, quello che succede attorno a noi lo vediamo o preferiamo vedere la paglia nell'occhio di nostro fratello?!?! Mentre nel mondo ci sono migliaia di morti per eventi naturali (noi ci laviamo le mani mandando un SMS), mentre ci sono rigurgiti di ondate xenofobe nel Sud Africa con molti morti noi vogliamo il decreto “tolleranza zero” perché ci da fastidio, ci mette paura il “diverso”… Abbiamo anche la bella pensata di allungare la lenta agonia della rata da pagare. E si, perché, dopo il CdM dell’altro giorno sembrava che di punto in bianco le banche ci regalassero qualcosa. Invece andiamo ad impoverire sempre di più le tasche di chi i soldi non li ha! E che dire degli straordinari?? Qualche mese fa eravamo tutti uniti dopo il disastro della Tyssen a denunciare una disgrazia annunciata. E noi cosa facciamo?? Non ci ricordiamo che le persone che hanno perso la vita in quel rogo infernale tra atroci sofferenze erano esseri umani che per arrivare alla fine del mese avevano un bel “pacchetto di ore straordinarie”? Noi allora cosa prepariamo? Una bella detassazione!!! E riguardo a Travaglio, è stato messo sulla bocca di tutti, giornali, telegiornali, programmi tv e radio, per aver detto solo la verità … io penso che se Travaglio fosse nato in America sarebbe giudicato da tutti un eroe. Ha solo scelto il posto sbagliato! Il posto dove non si vuole ammettere che il problema della spazzatura si chiama camorra e che, per farci belli, leggiamo tutti il libro di Saviano e facciamo commenti entusiastici sul film appena uscito.
Luca Mandrino

venerdì 23 maggio 2008

La scomparsa delle notizie

Qualche mese fa ricevo dall'amico don Nandino Capovilla di Pax Christi una breve mail dalla Palestina, dove era per uno dei periodici viaggi, e precisamente dai dintorni di Ramallah, dove mi comunica che un giovane di Treviso (se non ricordo male) era stato colpito alla testa (per fortuna solo di striscio!) da un "proiettile di gomma" sparato da un soldato israeliano verso un piccolo gruppo di persone di diverse nazionalità che facevano una pacifica manifestazione contro il Muro nei pressi di un check point. In realtà i cosiddetti "proiettili di gomma" sono proiettili di piombo ricoperti di gomma. Ma al ragazzo è andata bene, Curato in ospedale ha potuto rientrare in Italia sulle sue gambe. Ho allora cercato con attenzione conferma della notizia, annunciata nella strisciata che si legge ai piedi dei telegiornali da una sola rete italiana, ma ho atteso invano un servizio, non mandato in onda benchè annunciato, nè ripreso da nessun altro telegiornale o notiziario radio. Neppure in Internet ho trovato cenno. Qualche mese dopo incontrando il Governatore di Ramallah con il suo addetto stampa, ho potuto verificare che neppure loro ne avevano avuto notizia. Ma il ragazzo ha un nome ed un cognome... e tanti compagni di viaggi che hanno vissuto momenti di terrore ed angoscia. La notizia semplicemente è sparita.

Lo stesso è accaduto l'altro ieri: "Israele: Vangeli bruciati. Il consigliere giuridico del governo, Meny Mazuz, ha chiesto alla polizia di aprire un’inchiesta sulle circostanze esatte nelle quali Uzi Aharon, il vicesindaco di Or Yehuda, ha preso parte alla distruzione col fuoco di diverse centinaia di esemplari del Nuovo Testamento, distribuiti in alcuni quartieri “laici”, o poveri, della città, da missionari cristiani. Questi ultimi, molto attivi nella regione, hanno inoltre inaugurato una serie di “visite guidate” delle chiese locali, destinate ad accogliere i bambini della città". Questa notizia è stata data in Italia solo da La7, poi anche lì è scomparsa. Tra i giornali è stata ripresa solo da Avvenire e da l'Osservatore Romano. Ma su tutto un velo di silenzio. Come sempre i fatti che riguardano Israele sono sottoposti a censura. Mi viene da chiedere a chi ci ha già insegnato che è più grave bruciare una bandiera di Israele (gesto idiota!) che ammazzare uno che non ti dà una sigaretta... a quale livello di gravità collochiamo il bruciare i Vangeli? E se li avessero bruciati dei palestinesi che sarebbe successo in Italia tra i nostri buoni politici cristiani? Gli stessi che si affannano a montare la storia di una inesistente persecuzione dei cristiani a Betlemme? Caro Marco Travaglio, che tu sia di destra o di sinistra non m'importa. Hai tutta la mia solidarietà! dwf

La strategia della paura

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali
e fui sollevato perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti
ed io non dissi niente perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me
e non c'era rimasto nessuno a protestare.

Bertolt Brecht

giovedì 22 maggio 2008

Resistenza dimenticata: da chi?

Le celebrazioni del 25 aprile e dell’anniversario della liberazione del Paese dalla deriva totalitaria e dall’occupazione nazi/fascista, hanno marcato, anche ad Alessandria, un interessante dibattito; in particolare, il giornale diocesano ha ospitato un confronto tra il gruppo consiliare PD in Comune (nelle pagine “giornale aperto”) e gli organizzatori di una mostra sulla Resistenza (nelle pagine “attualità) che ha posto in luce alcuni nodi da valutare e che in parte, almeno a me, sembrano sciolti da qualche decennio e, di conseguenza, superati. Inutile aggiungere che, proprio perché risolti in sede storiografica, non dovrebbero più essere oggetto di polemica in sede politica, salvo riportarne, con correttezza e senza nessuna faziosità (non dico parzialità, perché l’oggetto della ricerca non è mai neutro e sempre soggetto a verifica), le coordinate di fondo.
Non entro nel merito specifico del confronto; cerco di individuarne piuttosto le ragioni che lo hanno provocato.
L’argomento principale del dibattito e che ne sintetizza vari aspetti, attiene la definizione di “Resistenza dimenticata” o, peggio, cancellata. Non nego il tentativo di appropriazione del moto resistenziale, come esperienza di parte, ed ovviamente non mi attardo sulle responsabilità, in parte “attive” (i soggetti del tentativo), ma in parte anche “passive” (i soggetti che hanno sottovalutato e misconosciuto, a lungo, la portata storica del complesso fenomeno di opposizione al fascismo); qui mi interessa sottolineare che parlare oggi di resistenza dimenticata, con probabile riferimento al contributo dei cattolici al movimento, marca, per lo meno, un ventennio di ritardo. I contributi del dibattito e della ricerca storiografica al succitato contributo sono assolutamente cospicui; accenno soltanto a qualche titolo, col rischio o la certezza di dimenticarne di fondamentali. Lascio stare le testimonianze pubblicate di resistenti cattolici, salvo riportare il testo di Ezio Franceschini (“Uomini liberi, scritti sulla Resistenza, Casale M. 1993); vengo invece all’ultimo volume della “Storia dell’Italia religiosa”, curato da De Rosa, edizioni Laterza ed al contributo di F. Malgeri su “Chiesa, clero laicato cattolico tra guerra e Resistenza” che sintetizza, già nel 1995, una serie di ricerche scientifiche di grande interesse sulla questione nel suo complesso. Il testo ha costituito occasione di dibattiti, anche in città, nelle sedi più diverse, dove forse i cattolici chiamati a parlare e scrivere hanno rimarcato la pressoché totale assenza tra il pubblico dei…cattolici.
Un contributo tra i più notevoli, verso la metà degli anni novanta, lo troviamo negli atti di una serie di convegni sulla Resistenza cattolica nelle varie regioni d’Italia. I volumi che ne sono derivati trovano anche una sintesi sugli eventi a livello nazionale che fanno luce sulla partecipazione del laicato cattolico organizzato, sul clero nella Resistenza e sui vescovi; i curatori dei volumi, sono prevalentemente i relatori dei convegni. Sui vescovi, sul clero e sul laicato, rispettivamente, Bocchini Camaiani, Guasco e Vecchio documentano, con dovizia di prove e con lucidità critica, i contributi alla Resistenza, fino alla dichiarazione del Guasco, non proprio “neutrale” (ovviamente), ed assolutamente provata, che “…il numero dei preti che si sono esplicitamente esposti in favore ed in difesa dei resistenti è immensamente superiore a quello dei preti che hanno assunto atteggiamento di connivenza coi fascisti e con la Repubblica di Salò” (M. Guasco, “Il clero”; in “Cattolici, Chiesa e Resistenza”, a cura di Gabriele De Rosa, il Mulino 1997). Tutto questo fu espresso e dichiarato, dibattuto e recensito una quindicina d’anni addietro e anche prima della pubblicazione degli atti complessivi; immagino (ma non ne ho documentazione alcuna) la reazione di chi su queste cose ha speso anni di ricerca, quando ha sentito parlare, oggi, di Resistenza dimenticata. Personalmente credo che l’assenza quasi totale a quei dibattiti di chi oggi parla di “dimenticanza” possa costituire spiegazione (non giustificazione).
E allora? Resistenza dimenticata: da chi?
Una seconda questione mi sembra emergere dal dibattito che si è verificato: il recupero del vissuto del popolo italiano negli anni della lotta all’antifascismo, un vissuto di opposizione che va al di là della sola lotta armata del partigianato, e che va adeguatamente valutato; sarebbe un altro capitolo della “Resistenza dimenticata”? Mi parrebbe strano e non sto a soffermarmi, per il solo fatto che sul problema sono state scritte cose cospicue sia sul piano quantitativo e qualitativo, tanto da mettere in seria difficoltà le residue ragioni dei sostenitori dell’attendismo; al punto che Pietro Scoppola, già nel 1995, faceva sintesi di tutte le osservazioni fatte al riguardo, in un lucidissimo e sintetico volume, “25 aprile. Liberazione” . Afferma con riferimento agli anni 1943/45: “Tutti gli Italiani hanno combattuto in quei terribili mesi…Quando si dice: gli Italiani che hanno fatto la Resistenza sono stati una minoranza; la maggior parte della popolazione è rimasta alla finestra…si dice una cosa in parte vera, ma che non annulla il dato di un coinvolgimento totale e profondo della popolazione nel suo insieme. Non si poteva stare alla finestra quando la finestra stessa, con la casa, crollava…”
Come si constata, anche questo aspetto della lotta antifascista non è dimenticato, o per lo meno, non è più tale da decenni.

Ancora; sempre nel dibattito è emersa la carica di “ribellismo” come forza morale di contrapposizione al totalitarismo, espressa da parecchi resistenti cattolici, ma nel contempo atteggiamento comune “alle varie forme di Resistenza”. Sono grato a coloro che mi hanno permesso, all’interno del confronto che si è prodotto, di conoscere il personaggio di don Giovanni Barbareschi. Anche qui però devo notare che la questione del ribellismo è oggetto di studio, di ricerca e di produzione storiografica da moltissimi anni. La vicenda di Teresio Olivelli, cattolico e fucino, morto in campo di concentramento nel gennaio 1945 e fondatore del giornale “Il Ribelle”, periodico delle “Fiamme verdi” bresciane è ben nota da parecchi anni; mentre la vicenda di un altro protagonista sacerdote, Mons. Bartolomeo Ferrari (don Berto), ben conosciuto in sede locale e non solo, anche per la sua scelta di “ribellismo” appunto, attraverso il giornale da Lui fondato, “Il Ribelle” organo della divisione “Garbaldi/Mingo”, che operava tra la Liguria ed il Piemonte, è stata anch’essa oggetto di studi puntuali.
La ribellione morale, atteggiamento comune a varie espressioni della Resistenza, è evidentemente una caratteristica della presenza cattolica nella lotta di Liberazione, ma non vedo come, oggi e da moltissimi anni, si voglia o si possa richiamare questa motivazione della lotta antifascista, per sostenere la ragione di “Resistenza dimenticata”.
A meno che, quando si parla di Resistenza dimenticata, cancellata e rimossa, non si voglia alludere a parecchi sedicenti eredi degli uomini che l’hanno vissuta, ed alle loro scelte attuali: forse allora qualche ragione potrebbe anche esserci.
Agostino Pietrasanta

martedì 20 maggio 2008

Il testamento del cardinale

Qualche settimana fa, presentando l'ultimo libro di Raniero La Valle - Se questo è un Dio - riconoscevo nell'Autore uno dei miei "maestri", una delle figure che hanno inciso fortemente nella mia formazione umana e cristiana. Accanto a lui tanti altri, preti e laici, che non nomino per non dimenticarne qualcuno. E tra coloro che hanno costruito il mio essere prete - oltre agli educatori che ho avuto in Seminario (Coletti, Corti, Comi, Nicora, Gilardi, Ravasi, Tettamanzi, Serenthà...) - un rilievo straordinario hanno avuto tre Vescovi: il card. Martini, don Tonino Bello e mons. Charrier. In attesa di poterlo leggere in italiano ripropongo perciò l'articolo di Marco Politi, apparso ieri su Repubblica, quasi un testamento spirituale ed ecclesiale di Carlo Maria Martini (Martini, il Cardinale e Dio. Il testamento del cardinale. Marco Politi - Repubblica — 19 maggio 2008). Un testamento che me lo fa amare ancora di più...

Nell’ultima stagione della sua vita Carlo Maria Martini si confessa ad un confratello austriaco e ne nascono i "Colloqui notturni a Gerusalemme", appena editi da Herder in Germania, che rappresentano il suo testamento spirituale. Confessa di essere stato anche in conflitto con Dio, elogia Martin Lutero, esorta la Chiesa al coraggio di riformarsi, a non allontanarsi dal Concilio e a non temere di confrontarsi con i giovani. Un vescovo, rammenta, deve saper anche osare, come quando lui andò in carcere a parlare con militanti delle Brigate Rosse "e li ascoltai e pregai per loro e battezzai pure una coppia di gemelli di genitori terroristi, nata durante un processo". Da vescovo ha spesso chiesto a Dio: «Perché non ci dai idee migliori? Perché non ci rendi più forti nell'amore e più coraggiosi nell'affrontare i problemi attuali? Perché abbiamo così pochi preti?». Oggi, entrato in uno stato d’animo crepuscolare, confida di domandare a Dio di non essere lasciato solo. Con padre Georg Sporschill, gesuita anche lui, l’ex arcivescovo di Milano è di una sincerità totale. Sì, ammette, «ho avuto delle difficoltà con Dio». Non riusciva a capire perché avesse fatto patire suo Figlio in croce. «Persino da vescovo qualche volta non potevo guardare un crocifisso perché l’interrogativo mi tormentava». E neanche la morte riusciva ad accettare. Dio non avrebbe potuto risparmiarla agli uomini dopo quella di Cristo? Poi ha capito. «Senza la morte non potremmo darci totalmente a Dio. Ci terremmo aperte delle uscite di sicurezza». E invece no. Bisogna affidare la propria speranza a Dio e credergli. «Io spero di poter pronunciare nella morte questo SI’a Dio». Però, se potesse parlare con Gesù, Carlo Maria Martini gli chiederebbe «se mi ama nonostante le mie debolezze e i miei errori e se mi viene a prendere nella morte, se mi accoglierà».

I discorsi di Gerusalemme sono come un lungo simposio notturno, senza bevande, alimentati soltanto dallo scorrere dei ragionamenti, rassicurati dalle ombre calde di una sera che si prolunga fino all’alba. C’è stato un tempo - racconta - in cui "ho sognato una Chiesa nella povertà e nell’umiltà, che non dipende dalle potenze di questo mondo. Una Chiesa che concede spazio alle gente che pensa più in là. Una Chiesa che da coraggio, specialmente a chi si sente piccolo o peccatore. Una Chiesa giovane. Oggi non ho più di questi sogni. Dopo i settantacinque anni ho deciso di pregare per la Chiesa". Eppure a ottantun anni il cardinale, grande biblista, non rinuncia a suggerire alla Chiesa di avere coraggio e di osare riforme. è essenziale avere la capacità di andare incontro al futuro. Il celibato, spiega, deve essere una vera vocazione. Forse non tutti hanno il carisma. Affidare ad un parroco sempre più parrocchie o importare preti dall’estero non è una soluzione. "La Chiesa dovrà farsi venire qualche idea. La possibilità di ordinare viri probati (cioè uomini sposati di provata fede, ndr) va discussa". Persino il sacerdozio femminile non lo spaventa. Ricorda che il Nuovo Testamento conosce le diaconesse. Ammette che il mondo ortodosso è contrario. Ma racconta anche di un suo incontro con il primate anglicano Carey, al tempo in cui la Chiesa anglicana era in tensione per le prime ordinazioni di donne - sacerdote (avversate dal Vaticano). "Gli dissi per fargli coraggio che questa audacia poteva aiutare anche noi a valorizzare di più le donne e a capire come andare avanti". Sul sesso il cardinale invita i giovani a non sprecare rapporti ed emozioni, imparando a conservare il meglio per l’unione matrimoniale, ma non ha difficoltà a rompere tabù, cristallizzatisi con Paolo VI, Wojtyla e di Ratzinger. "Purtroppo l’enciclica Humanae Vitae ha provocato anche sviluppi negativi. Paolo VI sottrasse consapevolmente il tema ai padri conciliari". Volle assumersi personalmente la responsabilità di decidere sugli anticoncezionali. "Questa solitudine decisionale a lungo termine non è stata una premessa positiva per trattare i temi della sessualità e della famiglia". A quarant’anni dall’enciclica, dice Martini, si potrebbe dare un "nuovo sguardo" alla materia. Perché la Bibbia, ricorda, è molto sobria nelle questioni sessuali. Assai netta è soltanto nel condannare chi irrompe, distruggendo, in un matrimonio altrui. Chi dirige la Chiesa, sottolinea, oggi può "indicare una via migliore dell’Humanae Vitae". Il Papa potrebbe scrivere una nuova enciclica. E l'omosessualità? Il porporato ricorda le dure parole della Bibbia, ma rammenta anche le pratiche sessuali degradanti dell’antichità. Poi aggiunge delicatamente: "Tra i miei conoscenti ci sono coppie omosessuali, uomini molto stimati e sociali. Non mi è stato mai domandato né mi sarebbe venuto in mente di condannarli". Troppe volte, soggiunge, la Chiesa si è mostrata insensibile, specie verso i giovani in questa condizione. C’è un filo rosso che lega i suoi ragionamenti nella quiete di Gerusalemme. I credenti non hanno bisogno di chi instilli loro una cattiva coscienza, hanno bisogno di essere aiutati ad avere una "coscienza sensibile". E vanno stimolati continuamente a pensare, a riflettere. "Dio non è cattolico", era solita esclamare Madre Teresa. "Non puoi rendere cattolico Dio", scandisce Martini. Certamente gli uomini hanno bisogno di regole e confini, ma Dio è al di là delle frontiere che vengono erette. "Ci servono nella vita, ma non dob-biamo confonderle con Dio, il cui cuore è sempre più largo". Dio non si lascia addomesticare. Se questa è la prospettiva ci si può rivolgere con spirito più aperto al non credente o al seguace di un’altra religione. Con chi non crede ci si può confrontare sui fondamenti etici, che lo animano. Ed è bello camminare insieme a chi ha una fede diversa. "Lasciati invitare ad una preghiera con lui - suggerisce con mitezza Martini - portalo una volta ad un tuo rito. Ciò non ti allontanerà dal cristianesimo, approfondirà al contrario il tuo essere cristiano. Non avere paura dell’estraneo". Per il cardinale la grande sfida geopolitica contemporanea è lo scontro delle civiltà. Conoscono davvero i cristiani il pensiero e i pensieri dei musulmani - si chiede Martini - e come fare per capirsi? Tre sono le indicazioni. Abbattere i pregiudizi e l’immagine del nemico, perché i terroristi non possono davvero fondarsi sul Corano. Studiare le differenze. Infine avvicinarsi nella pratica della giustizia, perché l’Islam in ultima istanza è una religione figlia del cristianesimo così come il cristianesimo è figliato dal giudaismo. La regola aurea del cristiano - Martini lo ribadisce in questo suo scritto che assomiglia tanto ad un testamento spirituale - è "Ama il tuo prossimo come te stesso". Anzi, spiega con la precisione dello studioso della Bibbia, Gesù dice di più: "Ama il tuo prossimo perché è come te". Da lì sorge l’imperativo a praticare giustizia. è terribile, insiste Martini, invocare magari Dio nella costituzione europea, e poi non essere coerenti nella giustizia. E qui il cardinale di Santa Romana Chiesa tira fuori il Corano e legge la splendida sura seconda. Non si è giusti, se ci si inchina per pregare a oriente o a occidente. Giusto è colui che crede in Allah e nell’Ultimo Giudizio. Giusto è colui che "pieno di amore dona i suoi averi ai parenti, agli orfani, ai poveri e ai pellegrini". Chi fa l’elemosina e riscatta gli incarcerati. "Costui è giusto e veramente timorato di Dio". Poi torna riflettere sull’Al di là. C’è l’Inferno? Sì. "Eppure ho la speranza che Dio alla fine salvi tutti". E se esistono persone come un Hitler o un assassino che abusa di bambini, allora forse l’immagine del Purgatorio è un segno per dire: "Anche se tu hai prodotto tanto inferno (sulla terra) forse dopo la morte esiste ancora un luogo dove puoi essere guarito". Non finirebbero mai i discorsi notturni di Gerusalemme. Lo si capisce dall’andamento quieto delle domande e delle risposte. Come onde che si susseguono. Martini nel frattempo è rientrato in Lombardia, fiaccato dal Parkinson. A chi lo ascolta, lascia questo segnale: "Possiamo anche lottare con Dio come Giacobbe, dubitare e dibatterci come Giobbe, rattristarci come Gesù e le sue amiche Marta e Maria. Anche questi sono sentieri che portano a Dio".
Ricevo dall'amico Giorgio Barberis una mail con un testo che merita di essere diffuso. E che ovviamente condivido in toto.
Sono i primi germogli di quel che ci può aspettare nei prossimi anni? Del resto, al di là delle strumentali polemiche politiche, su questi argomenti c'è un grande silenzio, anche nella Chiesa, salvo qualche coraggiosa e ignorata voce. Ma quale Vangelo predichiamo se continuiamo a circoscrivere i "valori" in un piccolo recinto? Certo è più facile occuparsi di "resistenza dimenticata", rivendicando presenze, partecipazione e "meriti" che nessuno più nega, e che la storiografia ha già ampiamente documentato; forse è anche più facile parlare di aborto, eutanasia, sperimentazione genetica che parlare di guerra e pace, di immigrazione e migrazioni, di razzismo e xenofobia, di accoglienza e solidarietà, di diritti delle persone, di antievangeliche frasi come "padroni a casa nostra", quando chi ti sta davanti, magari a Messa, è attento solo al suo portafoglio e alla sua "pancia"... Perchè tanti avvertono uno stridore tra la predicazione della Chiesa che è sempre più predicazione di una morale, di cui si tenta di dimostrare la razionalità indipendentemente dalle ragioni della fede, e la missione di predicare il Vangelo, cioè la buona, gioiosa, liberante e liberatrice notizia di Gesù di Nazareth, pienamente uomo e totalmente Dio "fatto carne" nel "verso" della storia, tra gli ultimi, gli emarginati, gli infrequentabili e gli "scomunicati"? A che serve una morale slegata dalla fede personale nel Dio di Gesù Cristo, una morale giustificata dalla ragione, una morale che rischia di rendere un di più la stessa incarnazione, una morale che, se fondata sulla ragione, non può che affiancarsi alle altri morali religiose e filosofiche di cui è ricca la storia dell'umanità? Io credo che sia compito del credente predicare e testimoniare, con i suoi limiti e le sue fragilità, con un "senso vero del peccato", che è altro dal "senso di colpa", la fede nel Dio di Gesù Cristo, una fede che rende capaci di scelte morali difficili, eroiche, altrimenti improponibili, o invivibili...
Infine, credo che se il Cristo si incarnasse oggi, nascerebbe forse in un campo profughi, o tra i "clandestini" dei barconi che si vogliono affondare o lasciare in mezzo al mare, o in un campo rom...
dwf

Provate ad immaginare.
Una persona del vostro quartiere è sorpresa dentro un appartamento: forse voleva rubare, forse voleva portar via una neonata. Viene arrestata.
Provate ad immaginare.
Il giorno dopo e poi quelli successivi ragazzi in motorino lanciano una molotov contro la casa di un vostro vicino. L’incendio brucia in parte l’appartamento ma per fortuna l’uomo, la donna e i due bambini che ci vivono se la cavano. Spaventati ma incolumi. Poi è la volta di un intero quartiere: arrivano a centinaia con i bastoni e le bottiglie incendiarie. La gente scappa si rifugia da parenti.
Provate ad immaginare.
Un bambino che vive ad un paio di isolati da casa vostra viene circondato da gente ostile che, sapendo che è del vostro paese, lo insulta, lo schiaffeggia, lo spinge a forza dentro una fontana. Il bambino è piccolo, forse piange, forse stringe i denti perché la violenza degli altri è un pane duro che ha imparato a masticare sin da quando è nato.

Provate ad immaginare.
La furia non si placa: anche i quartieri vicini sono sotto assedio. Raccolte in fretta poche povere cose intere famiglie si allontanano. La polizia non ferma nessuno degli incendiari ma “scorta” voi e i vostri compaesani. Andate via. Non sapete dove. Lontano dalle molotov, lontano dalla rabbia, lontano dalla ferocia di quelli che sino al giorno prima vivevano a poche centinaia di metri da voi. Andate in cerca di un buco nascosto, dove, forse potrete resistere per un po’. Fino alla prossima molotov.
Provate ad immaginare.
Vostri compaesani e parenti che vivono lontano, in altre città, vengono assaliti, le loro case bruciate. Anche loro sono in strada.
Provate ad immaginare.
Il governo del vostro paese vara misure straordinarie per far fronte all’emergenza. Leggi per fermare la violenza e l’illegalità. Leggi contro di voi ed i vostri parenti, contro i vostri vicini di casa, contro quelli del vostro quartiere e contro tutti quelli del vostro stesso paese.
Provate ad immaginare di essere in Italia, in questo maggio del 2008.
Non vi pare possibile? Eppure è cronaca di tutti i giorni. La cronaca di un pogrom.
Un pogrom che sta incendiando l’Italia. Brucia le baracche dei rom e corrode la coscienza civile di tanti di noi. Qualcuno agisce, i più plaudono silenti e rancorosi, convinti che da oggi saranno più sicuri. Al riparo dalla povertà degli ultimi, di quelli che non si lavano perché non hanno acqua neppure per bere, di quelli che di rado lavorano, perché nessuno li vuole, di quelli che vanno a scuola pochi mesi, tra uno sgombero di polizia ed un rogo razzista.
Forse pensate che questo non vi riguarda. Forse pensate che questo a voi non capiterà mai. Siete cittadini d’Europa, voi. Siete gente che lavora, che paga il mutuo, che manda i figli a scuola. Forse avete ragione. Forse no. Nella roulette russa della guerra sociale c’è chi affonda e chi resta a galla. Il lavoro non c’è, e se c’è è precario, pericoloso, malpagato. Il mutuo vi strangola, non ce la fate ad arrivare alla fine del mese, a pagare tutte le spese, ma forse, tirando a campare, con la paura che vi stringe la gola, ce la farete. Gli altri, quelli che restano fuori, che crepino pure.
Nemici, anche i bambini. O li caccia il governo (o la camorra) o ci penserete voi stessi, di notte con i bastoni e le molotov. A fare pulizia. Etnica.
Intanto, giorno dopo giorno, i nemici, quelli veri, vi portano via la vita, rendono nero il vostro futuro. Il nemico marcia sempre alla nostra testa: è il padrone che sfrutta, è il politico che pretende di decidere per noi, che vuole che i penultimi combattano gli ultimi, perché la guerra tra poveri cancella il conflitto sociale.
Provate ad immaginare.
Provate ad immaginare che un giorno il padrone vi licenzi, che la banca si prenda la casa, che la strada inghiotta voi e i vostri figli. Sarà il vostro turno. Ma allora non ci sarà più nessuno capace di indignazione, capace di rivolta.
Provate ad immaginare.
Un giorno qualcuno potrebbe chiedervi “dove eravate mentre bruciavano le case, deportavano la gente, colpivano i bambini?”
Non dite che non sapevate, non dite che non avevate capito, non dite che voi non c’entrate.
Chi non ferma la barbarie ne è complice.
Provate ad immaginare un futuro come questo presente da incubo.

venerdì 9 maggio 2008


Forse sto amando troppo il silenzio... avrei tanti argomenti su cui scrivere: la situazione generale socio-politica, la Fiera del Libro di Torino, i tragici fatti di Verona e il "disagio giovanile", il 25 aprile, l'ansia revisionista, la crescente preoccupazione "apologetica" che sembra più forte dell'ansia evangelizzatrice, il continuo tener la Chiesa in prima pagina e il lasciar Dio e il Vangelo di Gesù tra i "file" nascosti... Non credo che ci sia un'ansia di sapere quel che penso, ma mi riprometto in tempi più tranquilli di aggiornare queste pagine con più frequenza e puntualità. Per ora prendo a prestito la vignetta degli amici di Città Futura che esprime anche il mio punto di vista su diversi argomenti sopra elencati! dwf

martedì 6 maggio 2008

Lettera aperta ai confratelli vescovi


di Mons. Luigi Bettazzi (Presidente emerito di Pax Christi Internazionale, presidente del Centro Studi economico-sociali per la pace, vescovo emerito di Ivrea)
Da http://www.peacelink.it/mosaico/index.html

Più volte, in passato, in previsione dell'Assemblea annuale della CEI - a cui ritengo opportuno non partecipare - ho scritto a tutti i Confratelli Vescovi una lettera con le mie riflessioni, con quelle che avrei comunicato se mi fossi recato in Assemblea. Lo facevo in segno di collegialità, ritenendo che pur tagliato ormai fuori dalla corresponsabilità della pastorale italiana, potessi ancora manifestare vicinanza al cammino della Chiesa italiana. Questa volta partecipo le mie riflessioni, sollecitate dagli incontri che ancora faccio su e giù per l'Italia, anche agli amici di "Mosaico di pace" come semplici auspici, sui quali pregherò, specialmente nei giorni dell'Assemblea della CEI.
Non so quale sarà il giudizio della CEI sui risultati delle recenti elezioni. La nostra gente ha sempre pensato che i Vescovi, pur astenendosi da interventi diretti, non riuscissero a nascondere una certa simpatia per il Centrodestra, forse perché, almeno apparentemente, si dichiara più severo nei confronti dell'aborto e dei problemi degli omosessuali e più favorevole alle scuole e alle organizzazioni confessionali.
Credo peraltro che siamo stati meno generosi verso il Governo Prodi, non come approvazione della sua politica - dopotutto meritoria di aver evitato il fallimento finanziario del nostro Stato di fronte all'Europa (anche se questo può aver rallentato l'impegno, già avviato, di attenzione ai settori di popolazione più in difficoltà), quanto come riconoscimento di un esempio di cattolicesimo vissuto - personalmente, familiarmente, programmaticamente - in situazioni e in compagnie particolarmente problematiche. Anche perché in un mondo, come il nostro Occidente, dominato dal capitalismo, che sta impoverendo sempre più la maggioranza dei popoli e tutto teso, tra noi e fuori di noi, verso la ricchezza e il potere - la "mammona" evangelica, che Gesù contrappone drasticamente a Dio - tra i valori "non negoziabili", accanto alla campagna per la vita nascente e per le famiglie "regolari", va messo il rispetto per la vita e lo sviluppo della vita di tutti, in tempi in cui si allarga la divaricazione già denunciata da Paolo VI nella "Populorum progressio" (quarant'anni fa!) tra i popoli e i settori più sviluppati e più ricchi e quelli più poveri e dipendenti, avviati a situazioni di fame inappagata e di malattie non curate, vanno messi l'impegno per un progressivo disarmo, richiesto da Benedetto XVI all'ONU, e quello per la nonviolenza attiva, che è la caratteristica del messaggio e dell'esempio di Gesù ("Obbediente fino alla morte, e a morte di croce" - Fil 2, 16).
Forse siamo sempre più pronti a dare drastiche norme per la morale individuale, sfumando quelle per la vita sociale, che pure sono altrettanto impegnative per un cristiano, e che sono non meno importanti per un'autentica presenza cristiana, proprio a cominciare dalla pastorale giovanile. Mi chiedo come possiamo meravigliarci che i giovani si frastornino nelle discoteche o nella droga, si associno per violenze di ogni genere, si esaltino nel bullismo, quando gli adulti, anche quelli che si proclamano "cattolici", nel mondo economico e in quello politico danno troppo spesso esempio di arrivismo e di soprusi, giustificano la loro illegalità ed esaltano le loro "furberie", e noi uomini di Chiesa tacciamo per "non entrare in politica", finendo con sponsorizzare questo esempio deleterio, che corrompe l'opinione pubblica e sgretola ogni cammino di sana educazione. Ci stracciammo le vesti quando all'on. Prodi scappò detto che non aveva mai sentito predicare l'obbligo di pagare le tasse; ma avremmo dovuto farlo altrettanto quando altri invitavano a non pagarle...
Lo dico come riflessione personale. Perché mi consola pensare che il nuovo Presidente della CEI - a cui auguro un proficuo lavoro - proprio nell'intervento inaugurale di questo suo ministero richiamava il principio tipicamente evangelico del "partire dagli ultimi", che era stato proclamato in una mozione del Consiglio Permanente della CEI nel 1981 (!), e che risulta più che mai importante in un mondo (anche quello italiano! e qualche segnale ce lo fa temere sempre più per l'avvenire...), in cui si suole invece partire "dai primi", garantendo i loro profitti e i loro interessi, che non possono poi non essere pagati dalle crescenti difficoltà di troppe famiglie italiane.
L'auspicio è confortato dalla recente Settimana Sociale dei Cattolici italiani - e qui il compiacimento si rivolge al loro Presidente, che è il mio successore in Ivrea - che ha richiamato un altro centro nodale della Dottrina sociale della Chiesa e quindi della pastorale di ogni suo settore, che è il "bene comune", sul quale dovremmo comprometterci in un tempo in cui troppi - politici, impresari, categorie professionali e commerciali - pensano e lavorano solo per il "bene particolare", a spese - ovviamente - di chi non si può o non si sa difendere. Che questo dunque, dopo essere stato un messaggio così significativo sul piano dottrinale, appaia davvero come un impegno concreto e quotidiano, come qualche Vescovo già ha iniziato a dichiarare, sfidando riserve e mugugni.
Come si vede, sono tanti i motivi per auspicare, tanti i motivi per pregare, in vista di questa annuale Assemblea dei Vescovi italiani.

Cicerone e le reverende Madri

Qualche anno o qualche decennio addietro, molto spesso, le superiore di un noto istituto secondario della provincia, mi chiamavano a trattare di problemi vari, alle allieve che si preparavano alla maturità: sul movimento cattolico, sui partiti politici, sugli eventi ed i dibattiti che hanno dato vita alla Costituzione della Repubblica e su qualche altra questione in cui mi sentivo sufficientemente capace di una trattazione e magari di una discreta figura; avevo superato da poco la cinquantina e, lo confesso, un possibile sguardo di ammirazione (intellettuale, s’intende), da parte di parecchie diciannovenni, stuzzicava un pizzico di personale vanità. Probabilmente le reverende madri se ne resero conto e, preoccupate sicuramente per la mia anima (la vanità è pur sempre un peccato), pensarono di prepararmi un “bagno” di opportuna umiltà e…mi tesero un tranello.
Un mattino, mentre come al solito mi arrabattavo, accigliato, nel mio ufficio di capo d’istituto (una volta si diceva così, oggi si dice dirigente scolastico) con la solita circolare ministeriale assolutamente (e volutamente) incomprensibile, mi raggiunse una telefonata della direttrice della solita scuola: voleva che parlassi alle ragazze sui rapporti tra morale ed economia. Mi sentii perduto; si trattava di faccenda del tutto estranea ai miei interessi e sulla quale non avevo alcuna competenza. Voi mi obietterete: bastava una rinuncia chiara ed irrevocabile. Evidentemente non conoscete la costanza e la determinazione delle reverende madri (salesiane); se decidono una cosa e fanno una scelta su quella non recedono. Coi mezzi più coinvolgenti, più ovattati di dolcezza e convinzione, più esperti vi fanno dire di sì con la voce, proprio mentre dite di no col cuore e con la mente. Per evitare di acconsentire il giorno prima dell’incontro, senza la possibilità di prepararmi per quel poco che potevo, dal momento che conoscevo bene l’interlocutrice, dissi subito di sì.
Intanto però non sapevo che cosa avrei escogitato, per uno straccio di trattazione che non mi facesse sfigurare: il rapporto tra morale ed economia! Nella notte (insonne come tante altre) mi ricordai…! Tanti anni prima, studente universitario, mi era capitato tra le mani un passaggio del libro terzo del “De Officiis” di Cicerone. Nel testo che tratta del rapporto tra l’utile ed onesto, l’autore si chiede se non sembri talora che i due poli siano inconciliabili, “…repugnare utilitas honestati…” . Posto il problema, Cicerone lo affronta con il più classico criterio della casistica che sarà in seguito (molto in seguito) tanto cara ai padri della Compagnia di Gesù (Gesuiti) nel periodo della Controriforma.
Narra l’autore. Un commerciante onesto (vir bonus) viene informato che a Rodi imperversa la carestia: gli abitanti del luogo, travagliati dalla miseria, muoiono di fame; lui da Alessandria (d’Egitto, ovviamente) parte con una nave carica di frumento e punta con la rotta verso Rodi. Strada facendo, nel tratto di mare percorso supera altre navi cariche anch’esse di frumento, dirette nella stessa località; lui però con una nave più veloce arriva prima a destinazione.
Domanda: deve avvisare i Rodiesi dell’arrivo imminente delle altre navi, o deve tacere e vendere il suo frumento al prezzo più alto che la mancanza di concorrenza gli permette?
Il giorno dell’incontro programmato, posi il problema nello stesso modo. Citai Cicerone, raccontai la favoletta, esposi la questione e formulai la domanda. Si scatenò la discussione: le reverende madri capirono subito di aver sprecato il tranello, ma ridevano divertite, le ragazze si accapigliarono con le più disparate risposte ed io mi ritirai in una funzione tranquilla di moderatore “super partes”. Qualcuna urlava che l’onestà (il commerciante era onesto!) imponeva l’obbligo di avvisare i Rodiesi delle navi in arrivo, altre sostenevano che dissimulare non è poi male: basta non mentire espressamente, ma non c’è obbligo di rivelare ciò di cui si è venuti a conoscenza, col rischio del proprio danno, altre sostenevano che il commerciante (onesto!) avrebbe dovuto proporre, nonostante il mercato a lui favorevole, un prezzo adeguato anche ai bisogni ed alle possibilità dei Rodiesi, a prescindere da ogni altra valutazione: rispondere ai bisogni e non al mercato.
La discussione rischiava di portarsi via tutte le ore della mattinata e le reverende cominciavano ad essere preoccupate: non so se della mia possibile popolarità fra le ragazze o delle ore di lezioni perdute. Alla fine, le conclusioni furono concordi. I commercianti con le navi meno veloci avrebbero dovuto adoperarsi per rimediare e raggiungere, anche con il loro mezzo, la velocità del commerciante che era arrivato a Rodi per primo. In poche parole, il problema si risolve con la promozione, al massimo possibile, della capacità e del merito e della conseguente efficienza.
Non saprei dirvi perché, ma in questi giorni mi tornava alla mente questa conclusione; proprio mentre leggevo il libro (per tanti versi interessantissimo) di un politico che si definisce intellettuale: Lui risolverebbe il problema della concorrenza coi dazi e coi balzelli. E se provassimo promuovendo competizione col merito e le capacità?
Agostino Pietrasanta