Qualche anno o qualche decennio addietro, molto spesso, le superiore di un noto istituto secondario della provincia, mi chiamavano a trattare di problemi vari, alle allieve che si preparavano alla maturità: sul movimento cattolico, sui partiti politici, sugli eventi ed i dibattiti che hanno dato vita alla Costituzione della Repubblica e su qualche altra questione in cui mi sentivo sufficientemente capace di una trattazione e magari di una discreta figura; avevo superato da poco la cinquantina e, lo confesso, un possibile sguardo di ammirazione (intellettuale, s’intende), da parte di parecchie diciannovenni, stuzzicava un pizzico di personale vanità. Probabilmente le reverende madri se ne resero conto e, preoccupate sicuramente per la mia anima (la vanità è pur sempre un peccato), pensarono di prepararmi un “bagno” di opportuna umiltà e…mi tesero un tranello.
Un mattino, mentre come al solito mi arrabattavo, accigliato, nel mio ufficio di capo d’istituto (una volta si diceva così, oggi si dice dirigente scolastico) con la solita circolare ministeriale assolutamente (e volutamente) incomprensibile, mi raggiunse una telefonata della direttrice della solita scuola: voleva che parlassi alle ragazze sui rapporti tra morale ed economia. Mi sentii perduto; si trattava di faccenda del tutto estranea ai miei interessi e sulla quale non avevo alcuna competenza. Voi mi obietterete: bastava una rinuncia chiara ed irrevocabile. Evidentemente non conoscete la costanza e la determinazione delle reverende madri (salesiane); se decidono una cosa e fanno una scelta su quella non recedono. Coi mezzi più coinvolgenti, più ovattati di dolcezza e convinzione, più esperti vi fanno dire di sì con la voce, proprio mentre dite di no col cuore e con la mente. Per evitare di acconsentire il giorno prima dell’incontro, senza la possibilità di prepararmi per quel poco che potevo, dal momento che conoscevo bene l’interlocutrice, dissi subito di sì.
Intanto però non sapevo che cosa avrei escogitato, per uno straccio di trattazione che non mi facesse sfigurare: il rapporto tra morale ed economia! Nella notte (insonne come tante altre) mi ricordai…! Tanti anni prima, studente universitario, mi era capitato tra le mani un passaggio del libro terzo del “De Officiis” di Cicerone. Nel testo che tratta del rapporto tra l’utile ed onesto, l’autore si chiede se non sembri talora che i due poli siano inconciliabili, “…repugnare utilitas honestati…” . Posto il problema, Cicerone lo affronta con il più classico criterio della casistica che sarà in seguito (molto in seguito) tanto cara ai padri della Compagnia di Gesù (Gesuiti) nel periodo della Controriforma.
Narra l’autore. Un commerciante onesto (vir bonus) viene informato che a Rodi imperversa la carestia: gli abitanti del luogo, travagliati dalla miseria, muoiono di fame; lui da Alessandria (d’Egitto, ovviamente) parte con una nave carica di frumento e punta con la rotta verso Rodi. Strada facendo, nel tratto di mare percorso supera altre navi cariche anch’esse di frumento, dirette nella stessa località; lui però con una nave più veloce arriva prima a destinazione.
Domanda: deve avvisare i Rodiesi dell’arrivo imminente delle altre navi, o deve tacere e vendere il suo frumento al prezzo più alto che la mancanza di concorrenza gli permette?
Il giorno dell’incontro programmato, posi il problema nello stesso modo. Citai Cicerone, raccontai la favoletta, esposi la questione e formulai la domanda. Si scatenò la discussione: le reverende madri capirono subito di aver sprecato il tranello, ma ridevano divertite, le ragazze si accapigliarono con le più disparate risposte ed io mi ritirai in una funzione tranquilla di moderatore “super partes”. Qualcuna urlava che l’onestà (il commerciante era onesto!) imponeva l’obbligo di avvisare i Rodiesi delle navi in arrivo, altre sostenevano che dissimulare non è poi male: basta non mentire espressamente, ma non c’è obbligo di rivelare ciò di cui si è venuti a conoscenza, col rischio del proprio danno, altre sostenevano che il commerciante (onesto!) avrebbe dovuto proporre, nonostante il mercato a lui favorevole, un prezzo adeguato anche ai bisogni ed alle possibilità dei Rodiesi, a prescindere da ogni altra valutazione: rispondere ai bisogni e non al mercato.
La discussione rischiava di portarsi via tutte le ore della mattinata e le reverende cominciavano ad essere preoccupate: non so se della mia possibile popolarità fra le ragazze o delle ore di lezioni perdute. Alla fine, le conclusioni furono concordi. I commercianti con le navi meno veloci avrebbero dovuto adoperarsi per rimediare e raggiungere, anche con il loro mezzo, la velocità del commerciante che era arrivato a Rodi per primo. In poche parole, il problema si risolve con la promozione, al massimo possibile, della capacità e del merito e della conseguente efficienza.
Non saprei dirvi perché, ma in questi giorni mi tornava alla mente questa conclusione; proprio mentre leggevo il libro (per tanti versi interessantissimo) di un politico che si definisce intellettuale: Lui risolverebbe il problema della concorrenza coi dazi e coi balzelli. E se provassimo promuovendo competizione col merito e le capacità?
Agostino Pietrasanta
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