Le celebrazioni del 25 aprile e dell’anniversario della liberazione del Paese dalla deriva totalitaria e dall’occupazione nazi/fascista, hanno marcato, anche ad Alessandria, un interessante dibattito; in particolare, il giornale diocesano ha ospitato un confronto tra il gruppo consiliare PD in Comune (nelle pagine “giornale aperto”) e gli organizzatori di una mostra sulla Resistenza (nelle pagine “attualità) che ha posto in luce alcuni nodi da valutare e che in parte, almeno a me, sembrano sciolti da qualche decennio e, di conseguenza, superati. Inutile aggiungere che, proprio perché risolti in sede storiografica, non dovrebbero più essere oggetto di polemica in sede politica, salvo riportarne, con correttezza e senza nessuna faziosità (non dico parzialità, perché l’oggetto della ricerca non è mai neutro e sempre soggetto a verifica), le coordinate di fondo.
Non entro nel merito specifico del confronto; cerco di individuarne piuttosto le ragioni che lo hanno provocato.
L’argomento principale del dibattito e che ne sintetizza vari aspetti, attiene la definizione di “Resistenza dimenticata” o, peggio, cancellata. Non nego il tentativo di appropriazione del moto resistenziale, come esperienza di parte, ed ovviamente non mi attardo sulle responsabilità, in parte “attive” (i soggetti del tentativo), ma in parte anche “passive” (i soggetti che hanno sottovalutato e misconosciuto, a lungo, la portata storica del complesso fenomeno di opposizione al fascismo); qui mi interessa sottolineare che parlare oggi di resistenza dimenticata, con probabile riferimento al contributo dei cattolici al movimento, marca, per lo meno, un ventennio di ritardo. I contributi del dibattito e della ricerca storiografica al succitato contributo sono assolutamente cospicui; accenno soltanto a qualche titolo, col rischio o la certezza di dimenticarne di fondamentali. Lascio stare le testimonianze pubblicate di resistenti cattolici, salvo riportare il testo di Ezio Franceschini (“Uomini liberi, scritti sulla Resistenza, Casale M. 1993); vengo invece all’ultimo volume della “Storia dell’Italia religiosa”, curato da De Rosa, edizioni Laterza ed al contributo di F. Malgeri su “Chiesa, clero laicato cattolico tra guerra e Resistenza” che sintetizza, già nel 1995, una serie di ricerche scientifiche di grande interesse sulla questione nel suo complesso. Il testo ha costituito occasione di dibattiti, anche in città, nelle sedi più diverse, dove forse i cattolici chiamati a parlare e scrivere hanno rimarcato la pressoché totale assenza tra il pubblico dei…cattolici.
Un contributo tra i più notevoli, verso la metà degli anni novanta, lo troviamo negli atti di una serie di convegni sulla Resistenza cattolica nelle varie regioni d’Italia. I volumi che ne sono derivati trovano anche una sintesi sugli eventi a livello nazionale che fanno luce sulla partecipazione del laicato cattolico organizzato, sul clero nella Resistenza e sui vescovi; i curatori dei volumi, sono prevalentemente i relatori dei convegni. Sui vescovi, sul clero e sul laicato, rispettivamente, Bocchini Camaiani, Guasco e Vecchio documentano, con dovizia di prove e con lucidità critica, i contributi alla Resistenza, fino alla dichiarazione del Guasco, non proprio “neutrale” (ovviamente), ed assolutamente provata, che “…il numero dei preti che si sono esplicitamente esposti in favore ed in difesa dei resistenti è immensamente superiore a quello dei preti che hanno assunto atteggiamento di connivenza coi fascisti e con la Repubblica di Salò” (M. Guasco, “Il clero”; in “Cattolici, Chiesa e Resistenza”, a cura di Gabriele De Rosa, il Mulino 1997). Tutto questo fu espresso e dichiarato, dibattuto e recensito una quindicina d’anni addietro e anche prima della pubblicazione degli atti complessivi; immagino (ma non ne ho documentazione alcuna) la reazione di chi su queste cose ha speso anni di ricerca, quando ha sentito parlare, oggi, di Resistenza dimenticata. Personalmente credo che l’assenza quasi totale a quei dibattiti di chi oggi parla di “dimenticanza” possa costituire spiegazione (non giustificazione).
E allora? Resistenza dimenticata: da chi?
Una seconda questione mi sembra emergere dal dibattito che si è verificato: il recupero del vissuto del popolo italiano negli anni della lotta all’antifascismo, un vissuto di opposizione che va al di là della sola lotta armata del partigianato, e che va adeguatamente valutato; sarebbe un altro capitolo della “Resistenza dimenticata”? Mi parrebbe strano e non sto a soffermarmi, per il solo fatto che sul problema sono state scritte cose cospicue sia sul piano quantitativo e qualitativo, tanto da mettere in seria difficoltà le residue ragioni dei sostenitori dell’attendismo; al punto che Pietro Scoppola, già nel 1995, faceva sintesi di tutte le osservazioni fatte al riguardo, in un lucidissimo e sintetico volume, “25 aprile. Liberazione” . Afferma con riferimento agli anni 1943/45: “Tutti gli Italiani hanno combattuto in quei terribili mesi…Quando si dice: gli Italiani che hanno fatto la Resistenza sono stati una minoranza; la maggior parte della popolazione è rimasta alla finestra…si dice una cosa in parte vera, ma che non annulla il dato di un coinvolgimento totale e profondo della popolazione nel suo insieme. Non si poteva stare alla finestra quando la finestra stessa, con la casa, crollava…”
Come si constata, anche questo aspetto della lotta antifascista non è dimenticato, o per lo meno, non è più tale da decenni.
Ancora; sempre nel dibattito è emersa la carica di “ribellismo” come forza morale di contrapposizione al totalitarismo, espressa da parecchi resistenti cattolici, ma nel contempo atteggiamento comune “alle varie forme di Resistenza”. Sono grato a coloro che mi hanno permesso, all’interno del confronto che si è prodotto, di conoscere il personaggio di don Giovanni Barbareschi. Anche qui però devo notare che la questione del ribellismo è oggetto di studio, di ricerca e di produzione storiografica da moltissimi anni. La vicenda di Teresio Olivelli, cattolico e fucino, morto in campo di concentramento nel gennaio 1945 e fondatore del giornale “Il Ribelle”, periodico delle “Fiamme verdi” bresciane è ben nota da parecchi anni; mentre la vicenda di un altro protagonista sacerdote, Mons. Bartolomeo Ferrari (don Berto), ben conosciuto in sede locale e non solo, anche per la sua scelta di “ribellismo” appunto, attraverso il giornale da Lui fondato, “Il Ribelle” organo della divisione “Garbaldi/Mingo”, che operava tra la Liguria ed il Piemonte, è stata anch’essa oggetto di studi puntuali.
La ribellione morale, atteggiamento comune a varie espressioni della Resistenza, è evidentemente una caratteristica della presenza cattolica nella lotta di Liberazione, ma non vedo come, oggi e da moltissimi anni, si voglia o si possa richiamare questa motivazione della lotta antifascista, per sostenere la ragione di “Resistenza dimenticata”.
A meno che, quando si parla di Resistenza dimenticata, cancellata e rimossa, non si voglia alludere a parecchi sedicenti eredi degli uomini che l’hanno vissuta, ed alle loro scelte attuali: forse allora qualche ragione potrebbe anche esserci.
Agostino Pietrasanta
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