Sta già cadendo il silenzio sul processo di Genova a seguito del G8 del 2001.
Per non essere conniventi ripropongo un articolo scritto allora, "a caldo", che aveva fatto venire a più d'uno il mal di pancia. Mi sentirei di riscrivere le stesse cose, con in più quelle poche verità che si sono aggiunte (in attesa di ulteriori verità che forse mai arriveranno...).
“Globalizzazione” è la parola che abbiamo sentito fino alla noia in queste settimane. Il sera-fico ministro Ruggiero ci ha detto in tanti modi che è una cosa bella; altri l’hanno presentata come il demonio del 21° secolo; qualcuno ha cercato di aiutarci a capire che il problema non è tanto “globalizzazione sì, globalizzazione no”, ma che ciò che è in gioco è la capacità della politica di vincere le sfide che questo fenomeno produce. Ma al termine dei giorni di Genova solo un pensiero di sintesi mi viene in mente: di “globale” c’è stato solo il fallimento di tutti o per lo meno dei protagonisti principali, il potere politico (compresi coloro che erano preposti al mantenimento dell’ordine pubblico) e gli organizzatori del Genoa Social Forum. Non hanno fallito i “Black bloc”, le tute nere, quelli che cercavano la violenza per la violen-za: a questi interessa solo dare spettacolo di violenza con qualsiasi pretesto, purché sotto gli occhi della stampa e della TV e se non c’è il G8 c’è la partita della domenica o il corteo nel quale tentare di infiltrarsi e di provocare.
Vorrei dire che una volta tanto non ha fallito il mondo della comunicazione: i giornalisti e i cameraman erano dovunque, hanno ripreso tutto, hanno mostrato tutto ma… forse qui rico-mincia l’inganno, nella selezione, nel montaggio di cosa mostrare e di cosa nascondere; sono davvero liberi gli operatori dei media o non diventano preda delle contrapposte ideologie nel momento in cui raggiungono le loro redazioni?
Non mi sento per nulla di dire che hanno fallito le decine di migliaia di manifestanti pacifici e inermi che a Genova sono andati spinti da interrogativi e motivazioni e ansie serie; quelli che erano là perché volevano essere voce dei poveri del mondo; i tanti che sono andati lo scorso anno a Tor Vergata – i Papa Boys and Girls – e che sabato erano a Genova anche per aver preso sul serio gli appelli del Papa a difendere i valori della solidarietà, del diritto alla vita, del rispetto dell’ambiente e a farsi carico dei poveri della terra. Né si poteva pretendere che il loro volontario servizio d’ordine avesse la capacità di isolare i violenti, addestrati ad una vera e propria guerriglia urbana, a distruggere, ad azzuffarsi, a picchiare…
Ma: che significa G8? Gli Otto Grandi? Il Gruppo degli Otto Paesi più ricchi della Terra? O degli Otto Paesi più potenti? Saranno pure democraticamente eletti, ma sono stati certamen-te supremamente presuntuosi, arroganti, gelidi nei loro sorrisi di circostanza e nelle loro do-lenti partecipazioni, sempre più insopportabili nel teatro periodicamente allestito, dove fin-gono di potere, pur sapendo che il potere vero è delle lobbies che li hanno eletti, è della fi-nanza mondiale, è della Banca Mondiale che, sanno benissimo, non permetterà mai una to-tale o almeno significativa “remissione del debito” dei Paesi poveri: al massimo permette l’elemosina di un miliardo e duecento milioni di dollari per il fondo anti-AIDS! Al massimo permette che, per salvare la faccia, si invitino una sera ad un banchetto un gruppo di ben se-lezionati e presentabili “poveri”! E dunque hanno fallito i G8 nella loro vuota rappresenta-zione di cose già decise o non decise o che non possono in realtà decidere. Forse più utile sarebbe stato un intenso dibattito tra di loro e con il resto del mondo su come rendere possi-bile una “democratica partecipazione al governo dell’economia”.
Ci hanno così servito le carote, mentre altrove la parola era ai manganelli.
Ha fallito chi ha voluto difendere solo e ad ogni costo la “Città Proibita” dove stavano i nuovi presunti imperatori; ha fallito un Primo Ministro che si preoccupa più delle fioriere, dei getti d’acqua delle fontane e dei panni stesi ad asciugare che dei contenuti della riunione (era già pregiudizialmente schierato con Bush prima ancora di cominciare l’incontro), che di come salvaguardare l’incolumità delle persone e delle cose, che in un penoso intervento a fianco di Ciampi (errore del Presidente che doveva presentarsi da solo alla TV per dire le ot-time e partecipate cose che ha detto, non con il Presidente del Consiglio a fianco, quasi per offrirgli copertura politica), è riuscito a dire che la povertà, la fame, la malattia, l’AIDS, il debito, l’inquinamento sono degli “inconvenienti” della globalizzazione!
Ha fallito il Ministro dell’Interno e le forze dell’Ordine che hanno lasciato campo libero alle distruzioni vandaliche, agli ingressi in Italia e all’arrivo a Genova di personaggi che sono certamente ben noti ormai alle polizie degli Otto Paesi, così sensibili alla tranquillità dei loro leaders; che non ha minimamente cercato di proteggere con un cordone sanitario i cortei pacifici per impedire l’infiltrazione dei violenti, ma che anzi ha fatto caricare pacifici e vio-lenti; e che alla fine ha lasciato campo libero a una gratuita e indiscriminata violenza contro, forse – ma temo che non sapremo mai la verità sull’incursione nella scuola – lupi e agnelli mescolati insieme, ma vittime entrambi di una ingiustificata rivalsa. Per un ritardo nelle o-perazioni di voto si è, giustamente, attaccato con violenza un Ministro dell’Interno, Bianco, che del resto avrebbe fatto bene a dimettersi, e si vorrebbe l’apprezzamento di un Ministro che con i suoi macroscopici errori è stato causa, per quanto indiretta, di un morto, di centi-naia di feriti e di distruzioni gratuite? Certo non ritengo di dover unire in questa deprecazio-ne quei ragazzi di vent’anni impiegati dalle forze dell’ordine e buttati con una totale impre-parazione in situazioni per loro incontrollabili e ingestibili anche solo emotivamente.
Ha fallito, ritengo, anche Agnoletto e chi con lui ha organizzato il Genoa Social Forum: è stata certamente irresponsabile la scelta di muovere in corteo sabato dopo il “venerdì nero”; intelligenza avrebbe voluto una grande assemblea in un luogo chiuso, uno stadio, una piazza isolata dove raccogliere tutti in ascolto, in dibattito, in protesta e, magari, in silenzio per chi ha perso la vita il giorno prima e a testimonianza dei milioni che ogni giorno perdono la vita per fame, per malattia, per l’aria irrespirabile, per la nostra colpevole indifferenza, capace al massimo di un po’ di emozioni guardando le immagini della TV.
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