Fede, Chiesa, Chiesa e Società, Politica, Politica internazionale, Guerra, Pace, Palestina.
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sabato 8 novembre 2008
Clandestini anche nella morte - Omelia
Deuteronomio 26
Salmo Lam 1, 1-3
Matteo 2, 13-18
Ho scelto una pagina del Deuteronomio per sottolineare la dimensione dell’Esodo come dimensione tipica della spiritualità del cristiano, ma avrei potuto scegliere pagine paoline, vista la coincidenza dell’anno a lui dedicato. Paolo ha saputo rivolgersi e dialogare con i greci, i palestinesi, romani, ecc… Paolo, nei suoi viaggi apostolici, ha trovato tante resistenze negative. É stato mandato via dalle piazze, cacciato dalle sinagoghe … Il messaggio cristiano è arrivato a noi attraverso degli immigrati. Esiste una specie di connaturalità tra i cristiani e la mobilità umana, perché la “Chiesa pellegrina”, identifica il proprio camminare con quello delle persone in mobilità umana. É molto significativo il pellegrinare del popolo dell’Antica Alleanza.
Nel dramma della Famiglia di Nazareth, obbligata a rifugiarsi in Egitto, è facile vedere la dolorosa condizione di tutti i migranti, i rifugiati, gli esuli, gli sfollati, i profughi, i perseguitati. Intravediamo le difficoltà di ogni famiglia migrante, i disagi, le umiliazioni, le ristrettezze e la fragilità di milioni e milioni di migranti, profughi e rifugiati. Eppure, sulla speranza di questa famiglia e di ogni famiglia “debilitata dall’emigrazione”, incombe il monito biblico della strage degli innocenti: avvenne a Betlemme e sradicò la vita di bambini inermi, per invidia e paura di Erode, simbolo di un potere incapace di accogliere e tutelare la vita. Lungo le rotte disperate della ricerca di futuro, quante sono le donne e gli uomini in fuga che muoiono prima di raggiungere la meta, falciati dalla violenza, esposti al pericolo? Quante le moderne stragi degli innocenti?
Non voglio fare una omelia “politica”, ma se il Vangelo non diventa impegno per costruire nuove relazioni umane, nuova mentalità, nuova cultura, impegno per costruire la Città dell’uomo, che cosa ne resta? Perciò il Vangelo non può non diventare “Politica”… Offro solo alcuni temi di meditazione…
1. La lingua italiana utilizza termini diversi per definire i resti di un essere vivente dopo la morte. Se l’essere umano morto si definisce “cadavere”, oggi pare quasi un inutile insulto definire il corpo morto di un animale con una parola come “carogna” che acquisisce un tono dispregiativo. La razza umana da migliaia di anni seppellisce con pietà i propri morti e perfino le guerre (salvo episodi recenti) hanno sempre previsto brevi tregue perché ognuno seppellisse i propri caduti. Oggi, in quelle terre italiane che guardano verso la Tunisia e con l’Africa immensa di fronte, oggi si contano centinaia di morti in quella tragedia causata dalle leggi che impediscono di fatto l’immigrazione legale in Italia e da chi alimenta il mercato di schiavi che ingrassa la criminalità organizzata. Centinaia di morti, centinaia di cadaveri tutti in fila rappresentano una strage, una tragedia immensa. Ognuna di quelle singole morti meriterebbe di essere vegliata e pianta. Le nostre stragi quotidiane, quelle del sabato sera per esempio o dei morti per lavoro, meritano spesso poche righe in cronaca. Ma i morti non perdono la loro umanità, i loro nomi, la loro età vengono citate, le loro foto vengono pubblicate, nella rappresentazione di una pietà pubblica che fa superare a quelle morti il carattere di morte privata. Nulla di tutto questo accade per gli esseri umani inghiottiti dalle leggi che reprimono l’immigrazione clandestina più che dal mare. Per la strage di Natale del 1996, quando 286 migranti dallo Sri Lanka morirono nel Canale di Sicilia, ci vollero anni solo perché i superstiti fossero creduti. Intanto il mare restituiva resti umani che nessuno aveva interesse a considerare come tali. Come se il cadavere di un immigrato fosse in realtà la carogna di un immigrato e la sepoltura divenisse, di fronte all’estrema solitudine del migrante, null’altro che un’operazione sanitaria.
2. È agghiacciante quello che sta avvenendo sotto i nostri occhi in questo nostro paese. I campi Rom in fiamme, il nuovo pacchetto di sicurezza, il montante razzismo e la pervasiva xenofobia, la caccia al diverso, la fobia della sicurezza, la nascita delle ronde notturne … offrono un’agghiacciante fotografia dell’Italia 2008. È prioritario richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica su storie di uomini, donne e bambini che all'Europa chiedono solidarietà senza essere considerati semplicemente dei "clandestini". Questa ecatombe di immigrati in fuga dalla fame dell’Africa e dell’Asia. Questa tragedia infinita dell’economia globale che ruba loro riserve d’acqua, trasforma raccolti di grano e granturco in combustibili per rifornire carri armati, aerei e navi da guerra, fa schizzare i prezzi di riso e farina, rendendo impossibile ogni rifornimento a una miriade di villaggi privi di mezzi. Un’economia mondiale che ruba al mondo la speranza.
3. Nel frattempo la povertà in Italia è diventata un reato, ne sono prova le tante ordinanze dei sindaci per cui non si può risiedere in un posto se non si possiede un certo reddito, è vietato frugare nei cassonetti, non si può sostare nei giardini e così via. Ci illudiamo, scacciando via i poveri, di non vedere e quindi di non sapere che esistono i poveri, la povertà? essa sì è un male che va combattuto ma promuovendo il bene, non annientando chi ne è vittima. Sono parole lontane «promozione umana» che volevano indicare all'umanità la direzione da prendere: lontani dall'ingiustizia, promuovendo il bene, riscattando ogni schiavitù, ogni miseria, ogni malattia. Riuscirà l'Italia ad occultare la povertà? Forse sì: allontanando i barconi degli immigrati, magari sparandogli addosso, distruggendo le misere baracche dei rom, impedendo la richiesta dell'elemosina per evitare ogni fastidio (addirittura ad Assisi dove Francesco rischierebbe almeno una multa). E quindi ogni povero è trattato alla stregua di un criminale, sanzionando ogni comportamento che faccia trasparire una mancanza, una richiesta d'aiuto, una trasgressione all'ordine tacito impartito dalla nostra società: essere sempre belli, ricchi, giovani, senza affanno alcuno. Del resto il più potente e ricco in Italia incarna perfettamente questa norma che deve valere per tutti quelli che vogliono far parte a pieno titolo della nostra società. E nessuno si ribella; le voci dissonanti che ho sentito mi sono sembrate troppo flebili, quasi concordi con chi vuole colpire come odierni lebbrosi i poveri da isolare, meglio da seppellire in caverne da cui non provengono neppure più i gemiti di chi soffre. Una società senza pietà è condannata a vivere unicamente nel presente ma non ha prospettive di futuro. Il “Maestro unico” ha detto in un tempo lontano «i poveri li avrete sempre con voi», ma questo non per insegnarci la rassegnazione o per insegnarci a difenderci da loro ma per dire che con loro ci si convive sempre - e che la povertà non può essere esclusa dalla nostra vita, da qualsiasi vita. Magari non la povertà materiale, ma è una malattia da cui nessuno può difendersi: un lutto, un abbandono, la solitudine che neppure i soldi riescono a colmare.
4. Qui si muore di lavoro. Ma il lavoro è una speranza, meglio affrontare l’incertezza del viaggio che la morte sicura d’inedia in Africa o in Asia. Meglio rischiare di cadere da un’impalcatura a Milano che lasciarsi morire dove l’acqua non scorre più e i terreni aridi non fruttificheranno per secoli. Meglio affrontare il mare in vista dell’Italia che li tratta da delinquenti, non da uomini in fuga. Far rientrare la figura dell’immigrato irregolare nel penale è un orrore. Significa creare dal nulla una popolazione di un milione di latitanti che andrebbero individuati e arrestati: questo vuol dire trasformare il nostro Paese di uno Stato di polizia, creando un clima di arbitrio poliziesco di cui gli immigrati non sarebbero gli unici a fare le spese. Il tema non è parte del dibattito nel paese europeo dove l’ottenimento della piena cittadinanza da parte degli immigrati resta culturalmente prima che giuridicamente un tabù. Nel nostro Paese la cittadinanza è un diritto di sangue non estendibile ai non nati italiani. É lo “ius sanguinis” sul quale si basa il nostro ordinamento, per il quale ha diritto alla cittadinanza e al voto un discendente dominicano di Cristoforo Colombo, ma non ha diritto a cittadinanza e voto un dominicano che vive e lavora in Italia. E neanche un suo figlio nato in Italia ha diritto alla cittadinanza. L’ormai indispensabile passaggio allo “ius solis” non è ancora maturo per gli italiani. Così quattro milioni di cittadini (come ci ha detto il “rapporto Caritas”) pagano le tasse e ottengono appena l’elementare diritto a risiedere nel territorio che popolano per la stretta durata del contratto di lavoro. Il lavoro è merce. L’immigrato è merce e se muore lungo il viaggio è nulla più che un carico disperso! Ma l’esigenza di futuro non è “clandestina” e non è reato, ma si deve e si può coniugare e incontrare con l’altro, non avendo paura della fatica di costruire nella pace, nella giustizia e nella corresponsabilità, un futuro per tutti. E chi entra nel nostro paese, rimane un uomo, una donna, un giovane, anche quando non è in grado di regolarizzare il suo ingresso, spesso a motivo di difficoltà insuperabili per chiunque.
5. Non c’è sdegno, senza solidarietà. Non c’è nemmeno sicurezza, senza accoglienza e senza integrazione. Certo faticosa, ma è più faticoso vivere di sola paura e lasciare che questa modelli la cultura, i comportamenti e le scelte. Il Male, quando c’è, non appartiene a un popolo, ad un’etnia: è invece la minaccia reale che colpisce chi fugge, e che induce noi a vivere senza guardare al futuro. A nessuno sfugge il conflitto di identità, che spesso si innesca nell’incontro tra persone di culture diverse. Non mancano in ciò elementi positivi. Inserendosi in un nuovo ambiente, l’immigrato diventa spesso più consapevole di chi egli è, specialmente quanto sente la mancanza di persone e di valori che sono importanti per lui. È necessario cercare un giusto equilibrio tra il rispetto dell’identità propria e il riconoscimento di quella altrui. É infatti necessario riconoscere la legittima pluralità delle culture presenti in un Paese, compatibilmente con la tutela dell’ordine da cui dipendono la pace sociale e la libertà dei cittadini. E bisogna escludere sia i modelli assimilazionisti, che tendono a fare del diverso una copia di sé, sia i modelli di marginalizzazione degli immigrati, con atteggiamenti che possono giungere fino alle scelte di vero apartheid.
6. Voglio chiudere questi pensieri sparsi, un piccolo panorama dei problemi che non sappiamo e non vogliamo affrontare con le parole dure, ma vere, di Padre Zanotelli: «Mi vergogno di appartenere a un paese che si dice cristiano, ma che di cristiano ha ben poco. I cristiani sono i seguaci di Gesù di Nazareth, povero, crocifisso “fuori dalle mura”, che si è identificato con gli affamati, i carcerati, gli stranieri. «Quello che avrete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli lo avrete fatto a me».
Come possiamo dirci cristiani, mentre dalla nostra bocca escono parole di odio e disprezzo verso gli immigrati e i Rom? Come possiamo gloriarci di fare le adozioni a distanza, mentre ci rifiutiamo di fare le “adozioni da vicino”?».
7 novembre 2008
Celebrazione per i “clandestini anche nella morte”.
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