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"La coscienza del cristiano è impegnata a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo" ____________________________________________________________________________________________________________________

giovedì 30 aprile 2009

Com'è difficile dialogare (E.Bianchi)


Quanto sono d'accordo e quanto condivido l'esperienza di Enzo Bianchi... nel mio piccolo, ovviamente! da Famiglia cristiana, 19 aprile 2009

Da anni vado ripetendo che con la fine della cristianità e lo sviluppo di una società civile sempre più consapevole della propria laicità e della molteplicità di culture e religioni che si incontrano e intrecciano nel quotidiano, la capacità di dialogo e di ascolto reciproco diventano condizioni indispensabili non solo per una crescita in umanità ma, in prospettiva, per la stessa sopravvivenza di una convivenza civile degna di tale nome. Ma accanto a questa convinzione se ne riafferma in me anche un’altra: nonostante i numerosi sforzi che da più parti si compiono in questo senso, restiamo ancora “all’età della pietra” per quello che concerne il dialogo, tuttora balbettanti nel definire e soprattutto nell’assumere una autentica “deontologia del dialogo”.
Ne ho avuto un’amara conferma nei giorni scorsi quando il mio ultimo libro, Per un’etica condivisa, è stato fin troppo benevolmente recensito dal “laico” Corrado Augias su queste pagine. Man mano che procedevo nella lettura, mentre riconoscevo le mie affermazioni – sempre correttamente virgolettate – le vedevo interpolate con considerazioni a me estranee e con precisazioni che ne snaturavano le intenzioni. Augias, gli va dato atto, non mi attribuiva frasi da me mai scritte, ma le sue chiose, quasi sempre laudative, allontanavano il lettore dall’humus in cui le mie affermazioni erano nate e ne facevano un’applicazione a soggetti ecclesiastici secondo i suoi giudizi e non secondo le mie intenzioni, intenzioni che una lettura maggiormente disposta all’ascolto non frammentario o preconcetto avrebbe potuto cogliere facilmente.
“Guàrdati dal criticare meschinamente e con amarezza, senza amore, la chiesa ... Nella chiesa non amare un’astrazione o una visione troppo personale, ma la comunità vivente in cui Dio attende il tuo impegno e il tuo ministero. Se devi criticare, fallo senza ferire le persone, con l’audacia evangelica, con la forza della parola di Dio, l’umiltà di chi critica per fare un servizio di purificazione nei confronti di sua madre. Altrimenti è meglio tacere”. Così recita la Regola di Bose, e a questi principi ho sempre cercato di attenermi nel mio prendere la parola in pubblico, a voce o per iscritto.
D’altronde è questo un tipo di disagio per me non nuovo – lo dico con rincrescimento – nel leggere Corrado Augias, uno dei più prolifici interpreti del dialogo tra pensiero laico e mondo cattolico. L’impressione che avevo ricevuto dai suoi due titoli precedenti – Inchiesta su Gesù, con Mauro Pesce, e Inchiesta sul cristianesimo, con Remo Cacitti – si è rinnovata in me alla lettura di Disputa su Dio e dintorni, scritto con Vito Mancuso e in libreria in questi giorni: la sensazione di vedere gli interlocutori liberi di formulare e articolare le proprie tesi, ma sempre incalzati e come invischiati in un intreccio dove i concetti e i preconcetti ostili alla fede cristiana hanno il sopravvento non per una maggiore consistenza oggettiva ma per la costante forzatura di affermazioni e la frequente parzialità con cui molti aspetti del dibattito vengono affrontati. Certo, anche Disputa su Dio e dintorni, come i ravvicinatissimi volumi precedenti, vuole mantenere un tono divulgativo, in cui discussioni sui massimi sistemi si intrecciano ora a riflessioni su fatti registratisi nella storia cristiana, ora su casi scottanti dell’attualità politica e sociale italiana; certo, il linguaggio vuole essere comprensibile al grande pubblico, ma ci si potrebbe comunque aspettare un più accurato rigore storico anche da parte della voce laica. Le caricature – il Dio dei cristiani tratteggiato come “un vecchio con la barba bianca e un triangolo dietro la testa che giudica ogni nostra azione e tenacemente impegnato a dividere i cattivi dai buoni” – e le affermazioni ad effetto sono sempre pericolose, quando non totalmente fuorvianti: come si fa, per esempio, a dire che “in una democrazia non esistono principi non negoziabili”? Come dobbiamo considerare allora la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo?
Quanto a Mancuso, teologo che ama definirsi eterodosso, occorre riconoscere che le domande che pone nei suoi scritti sono urgenti e necessitano una risposta da parte delle teologia cattolica e della chiesa, ma a mio giudizio le risoluzioni che propone Mancuso si collocano nello spazio della gnosi in cui la storia è di per sé storia di salvezza e in cui non c’è da parte di Dio né rivelazione né grazia. È vero che qua e là nella discussione con Augias affiorano alcune affermazioni che correggono la “gnosi” presente nel precedente libro di Mancuso, Sull’anima e il suo destino, ma restano deboli. No, “il regno dei cieli” non è l’equivalente del “regno delle idee” di Platone o del “regno dei fini” di Kant come afferma il nostro teologo.
Il libro appare così una disputa con a volte i toni della chiacchierata tra un cristiano “che ha idee difformi rispetto a certe dottrine stabilite” e un ateo che con eccessiva disinvoltura annovera “tra i misteri della religione cattolica la famosa incongruenza di un Dio che è nello stesso tempo uno e trino” e afferma che “il cristianesimo nel IV secolo cambiò pelle e cessò di essere una fede per diventare una religione”, che legge l’eucarestia cattolica come “un residuo di antropofagia sacra”... Sì, lo dico con molto rispetto ma con tristezza: in un approccio simile c’è veramente poco ascolto dei cristiani e della loro fede.
Queste mie osservazioni non vogliono esprimere ingratitudine verso chi ha cercato e cerca di interloquire su tematiche etiche che stanno a cuore a molti oggi, dentro e fuori la chiesa, ma soltanto testimoniare il rincrescimento per un’altra occasione sfumata di dialogo autentico, in cui l’ascolto in profondità dell’altro resta più importante di qualsiasi riaffermazione delle proprie convinzioni. Sì, dobbiamo ancora percorrere molta strada per imparare a capirci e a farci capire perché non solo usiamo linguaggi a volte sfasati, quasi “non-contemporanei”, ma più spesso ancora travisiamo il “senso” di quanto l’altro dice: non il tanto significato, ma l’origine, la direzione, l’intenzione cui mira, lo scopo del suo pensare e parlare.
Enzo Bianchi

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