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"La coscienza del cristiano è impegnata a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo" ____________________________________________________________________________________________________________________

martedì 23 settembre 2008

Il Paese dei «negrazzi»

Riprendo da "l'Unità" del 23 settembre 2008 la seguente "meditazione"...

Gli scarti umani mitragliati a Castel Volturno; Abdul ucciso con i biscotti nella mano sinistra a Milano, che se avesse mangiato con la destra l’avrebbero lasciato in pace. Chi sono «questi negrazzi di merda»?
Questi negrazzi erano su quel barcone. Ne partirono 100 dalla Libia con un sogno: l’Italia. Il viaggio doveva durare poche ore ma il motore si inceppò e allora ne passarono 17 di giorni.
La guardia costiera portò quel barcone davanti alla capitaneria di porto di Lampedusa. I clandestini rimasti vivi erano sette, i morti 93. Una diecina di corpi senza vita erano ancora là sul barcone, Abdul disse che li avevano usati per riempire il fondo dello scafo pieno d’acqua così la notte si stendevano sui morti, all’asciutto.
Il barcone fu lasciato a due passi dal ristorante «Il saraceno», dove i sette negrazzi videro la proprietaria del ristorante, vestita di verde, che urlava: «A casa vostra dovete andare». Angela Maraventano, raccoglieva firme per portare Lampedusa nella provincia di Bergamo. Oggi è senatrice per la Lega Nord. Dopo mesi di torture nei Cpt, i negrazzi si sparpagliarono per l’Italia. Abdul era stato rinchiuso nel Cpt di Modena dove per ogni clandestino lo Stato spende circa 100 euro al giorno, manco fosse un tre stelle e poi ne tengono dieci in ogni stanza. È caro come hotel ma il presidente è il fratello dell’ex ministro Giovanardi. Gli altri sei ragazzi furono rinchiusi nel Cpt Regina Pacis di San Foca vicino a Lecce dove don Cesare Lo Deserto gli dava calci e pugni e li costringeva a mangiare carne di maiale solo perché erano musulmani.
I sei scarti umani scappati dalle grinfie del prete se ne andarono a Castel Volturno. Assoldati da caporali del clan dei Casalesi cominciarono a raccogliere pomodori a due euro all’ora abitando in casoppole senza luce e senza bagno. Dopo qualche anno cominciarono a lavorare nell’edilizia, sempre per il clan. Partenza all’alba, ritorno a notte fonda. Guadagno: venti euro al giorno. Ma le cose che più disgustavano i sei negrazzi erano due, la prima, che dovevano costruire delle case abusive, sul lungo mare, orrende: colonne doriche in cucina, vasche da bagno nelle camere da letto... Ai sei quelle costruzioni non gli andavano proprio giù. Erano negrazzi d’accordo, ma i loro nonni avevano scolpito le maschere africane che facevano impazzire Picasso, e che una mattina, rivoluzionò la pittura proprio grazie a quelle maschere. La seconda cosa che dava fastidio ai sei era che il capo cantiere li chiamava sempre «negrazzi di merda». Uno di loro, Alaji, il ghanese, ci piangeva. Gli altri cinque ci ridevano sopra. Erano più mortificati dalle case di merda che dovevano costruire. Nessuno dei sei si era mai drogato, mai spacciato, solo uno, Samuel, qualche volta si era fatto una canna con Peppe Letizia detto ò stuort.
All’epoca delle canne, Peppe ò stuort, nel clan dei Casalesi contava poco. I capi erano Sandokan, Cicciotto Mezzanotte e altri, poi però le cose cambiano, arrivano i nuovi e allora oggi Peppe ò stuort conta parecchio, è uno dei capi e non si farebbe più una canna con Samuel ma se la farebbe magari con il sottosegretario Cosentino. Insomma i sei negrazzi hanno fatto per anni i manovali in cambio di niente, assoldati da costruttori affamati di soldi, appoggiati da politici affamati di potere, circondati da gente indifferente pronta ad emarginare i «negrazzi di merda». E come sa essere razzista un certo Sud dell’Italia lo si può sapere solo abitandoci. I sei, l’altra sera erano davanti ad una sartoria a Castel Volturno, gestita da sarti neri, dove si aggiustano vestiti per neri e dove, quando nonna Immacolata si va a riprendere il cappottino che fa rattoppare ogni anno, si pitta la faccia di nero con il sughero affumicato per non farsi riconoscere. Ed è proprio la signora Immacolata che ha capito perché sono stati uccisi i sei ragazzi e lo racconta al telefono a suo figlio: «E' quasi distrutto il clan dei Casalesi, ma lo Stato non è sceso, e mò la Campania è rimasta senza clan e senza Stato. E allora al nuovo clan, serve stabilire chi comanna, un’azione forte, sparare co le mitragliatrici come nei film, sparare per pubblicità e vedere assai sangue al telegiornale. E chi si spara? Si sparano scarti umani, indifesi, negrazzi di merda, ce ne sono 11mila irregolari qui». Il figlio malavitoso, dal tir che porta tonnellate di arsenico dal Nord su un terreno agricolo a due passi da Castel Volturno: «Mà, t’voglio bene, ma fatt’i cazzi tuoi». E getta il cellulare sul cruscotto che finisce dietro Padre Pio appiccicato al parabrezza.
Forse la senatrice aveva ragione, era meglio se tornavano al paese loro. Magari morivano solo di fame. Ma Abdul, il settimo negrazzo? Scappato dal Cpt prima andò a raccogliere mele nel Nord Est, poi arrivò a Milano dove è stato venditore di borsette, distributore di giornali, addetto alle pulizie in un albergo, sempre al nero. E proprio in questo albergo si era innamorato di una calabrese che rifaceva le camere, Maria, che va pazza per i biscotti "pan di stelle". L’altra settimana erano tutti e due al parco su una panchina quando un furgone carico di biscotti miracolosamente ha aperto le porte. Abdul si era alzato per Maria, era una sorpresa per lei che era rimasta ad aspettarlo sulla panchina. L’hanno ucciso con le spranghe i padroni dei biscotti al grido che si espande in tutt’Italia: «Negrazzo di merda».
Per molti Abdul è morto come un fesso per un pacco di biscotti. Per pochi altri Abdul è morto da eroe. Voleva i biscotti per Maria.
Ulderico Pesce

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