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"La coscienza del cristiano è impegnata a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo" ____________________________________________________________________________________________________________________

giovedì 20 marzo 2008

Il silenzio di Dio ... (2)

Tremo un poco nello scrivere queste righe per dar seguito alle riflessioni iniziate la scorsa settimana, a seguito del discorso pronunciato da papa Benedetto durante il suo pellegrinaggio ad Auschwitz. Tremo perché si tratta di “prendere di petto” il tema del “silenzio di Dio”, un tema che attraversa i secoli e le coscienze, un tema declinato in tutte le lingue, in tutte le esperienze filosofiche e religiose, “cantato” nei Salmi biblici e in tutte le letterature, nel medesimo tempo causa prima dell’ateismo e/o della fede… Tremo perché sono consapevole dei miei limiti e, anche se qualcuno è convinto del contrario, sono certo che tra le mie “virtù” non ci sono l’orgoglio né la presunzione. Permettetemi allora di offrire artigianalmente solo qualche suggestione che stimoli a pensare, che faccia eco alle domande, grandi, terribili, profetiche, pronunciate dal Papa: «Sempre di nuovo emerge la domanda: Dove era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto? Come potè tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male?». Fiumi d’inchiostro sono stati versati nei giorni successivi; teologi e tuttologi si sono cimentati con esiti diversi su serie o improbabili letture e analisi di questo testo… Ma era già accaduto con Paolo VI, quando si era rivolto a Dio: «Ed ora le nostre labbra, chiuse come da un enorme ostacolo, … vogliono aprirsi per esprimere il «De profundis», il grido cioè ed il pianto dell'ineffabile dolore con cui la tragedia presente soffoca la nostra voce. Signore, ascoltaci! E chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro … ». E di nuovo nel 2002, a seguito di un discorso di Giovanni Paolo II ad un’udienza generale, l’11 dicembre: «Oltre alla spada e alla fame, c’è, infatti, una tragedia maggiore, quella del silenzio di Dio, che non si rivela più e sembra essersi rinchiuso nel suo cielo, quasi disgustato dell’agire dell’umanità. Le domande a Lui rivolte si fanno perciò tese ed esplicite in senso tipicamente religioso: “Hai forse rigettato completamente Giuda, oppure ti sei disgustato di Sion?”. Ormai ci si sente soli e abbandonati, privi di pace, di salvezza, di speranza. Il popolo, lasciato a se stesso, si trova come sperduto e invaso dal terrore. Non è forse questa solitudine esistenziale la sorgente profonda di tanta insoddisfazione, che cogliamo anche ai giorni nostri? ...». Ma la stessa domanda è risuonata tante volte in questi anni sotto tutti i cieli di questa Terra: in occasione dello tsunami, in occasione dell’11 settembre, dopo il terremoto che fece una trentina di vittime (bambini!) a San Giuliano di Puglia… Io sono certo che la stessa domanda risuona ogni giorno in ogni parte del mondo, dove qualcuno vive un momento di tragedia, di ingiustizia, di dolore inspiegabile e innocente… ma alla maggior parte di noi non interessa questa domanda lavica, perché, fortunatamente, il dio Moloch televisivo ce la ripropone solo quando ci può interessare direttamente o per ragioni di prossimità di civiltà. Chi si ricorda i genocidi del Ruanda – Burundi? O quelli che abbiamo rimosso velocemente perché erano a due passi da noi, in Bosnia? Ci appassionano di più quelli della storia: Auschwitz, le foibe, i lager comunisti…Del resto molti di noi erano già nati quando Hitler e Stalin ammazzavano milioni di persone, quando il mondo era una sterminata Sindone impregnata di sangue. Da credente abbozzo e propongo una pista biblica di riflessione.

Peggiore della guerra, delle calamità naturali, della fame, delle malattie, delle violenze che isteriliscono la mente toccando ferocemente il corpo, c’è un'altra dimensione dell'esistenza che è in gioco: la relazione con Dio. Se questo legame è inaridito, se patisce la violenza del pensiero debole, dell’interrogare gli idoli del nostro tempo, se la fame di Dio, che le grandi domande dell’esistenza rivelano, è placata solo dalle cose, dalla roba, dai beni materiali, è unta di edonismo, che cosa rimane dell'uomo? L'uomo diventa indifferente all'uomo, suo compagno di strada. Ognuno guarda solo se stesso. Tutti abbiamo conosciuto il silenzio di una persona amata, di un amico, dei nostri stessi genitori: un silenzio che viviamo a volte con indignazione, scontrosità, rabbia, perché sentiamo che i rapporti si son rotti o almeno incrinati, a causa nostra o di altri. Ma quando gli eventi ci costringono a dire: “Siamo colpiti, non c'è rimedio?”, il silenzio di Dio è di altra specie, ha un’altra valenza: il rispetto della libertà. È un silenzio che avvolge l'uomo con un mantello che lo protegge, mentre sembra isolarlo, respingerlo. Dio aspetta che l'uomo ritrovi se stesso, la sua umanità, che faccia luce in se stesso: Dio gli concede tempo e, saggiamente, tace. Ma se Dio tace, quel Dio che è Parola (“In principio era la Parola…”), ma una Parola che è fatto concreto, che quando parla opera (“E Dio disse: Sia la luce! E la luce fu…”), se tace, le sue mani non smettono di sorreggere l'uomo. Anche quando si vorrebbe che intervenisse, lui direttamente, potentemente, violentemente, per impedire che il povero sia distrutto dal potente, che l’innocente sia ucciso dal malvagio. È la domanda che i salmi attribuiscono ai pagani che, nell’ora del male, si rivolgono con sarcasmo al credente chiedendogli: “Dov’è il tuo Dio?”. La vera domanda che tutti dobbiamo porci è un’altra: “Dov’era l’uomo ad Auschwitz? Dov’era l’uomo a New York, in Burundi, in Bosnia, in Iraq?”. È l’uomo che è morto, è l’uomo che non sa reagire: il grande silenzio che avvolge i genocidi è silenzio di uomini, di popoli, di governi, anche di uomini che si dicono credenti… ma non di Dio. «Dio è morto, firmato Nietzsche» scrivevano sui muri i sessantottini. «Nietzsche è morto, firmato Dio» ribatté una mano anonima. Perché il Dio degli ebrei e dei cristiani è identificato proprio dall’essere un Dio che parla, un Dio sempre in dialogo con l’umanità, un Dio che costantemente rivolge il suo invito: “Shema’ Israel, ascolta Israele!”; sono gli uomini che lo accusano di silenzio, invece di riconoscere di essere loro ad avere le orecchie aperte per altre parole, per altri messaggi, per altri inviti: il silenzio lo crea l'uomo.
Purtroppo non ci sono più neppure gli atei seri a stimolare la riflessione dei credenti; gli atei son diventati “devoti” e sono davvero riusciti a far tacere Dio. Nel silenzio di Dio dei lager sono fiorite parole umane straordinarie: quelle pronunciate da Padre Kolbe o da Edith Stein o da Bonhoeffer, tra le poche che hanno una paternità, che giustamente il papa ha ricordato nel suo discorso, ma accanto a queste mille e mille parole di quotidiana umanità sono state pronunciate negli stessi luoghi, mostrando con gesti che il silenzio di Dio non è un silenzio che getta l'uomo nella storia e poi lo dimentica, come pensava la sapienza dei Greci, ma è un silenzio che tesse la speranza, che rivela la verità dell'uomo sull'uomo. Oggi non si vuole e non si cerca questo silenzio rivelatore di Dio; oggi si vuole che Dio taccia! A meno che le sue parole, quelle che noi gli attribuiamo non siano utili per i nostri fini, magari usabili politicamente. Oggi nulla è più neppure vera tragedia o dramma grandioso, oggi nulla ci porta più a nutrire un pensiero ribelle come quello di Nietzche, perché preferiamo accontentarci del “pensiero debole” che vive alla superficie delle cose: nella banalità, nel luogo comune, nell'ovvietà, nello scontato, nello stereotipo, nella volgarità, nell’insulto dell’altro, nell’opinione della maggioranza, nella provvisoria immagine televisiva e nelle susseguenti e interessate letture e interpretazioni... solo la persona matura può affrontare di petto il silenzio di Dio, solo il credente maturo può non perdere la fede, la speranza e capire la responsabilità che Dio gli consegna, silenziosamente…Così molti spengono ogni domanda e ogni personale responsabilità facendosi lambire la coscienza dal fascino del miracolismo, privilegiando il sensazionale, contando sul super Enalotto della fede, le madonne che piangono, le condanne rabbiose, le crociate verbali (solo verbali, per carità, perché quelle vere erano una cosa seria!) facendo crescere l'individualismo delle coscienze, riducendo il cristianesimo a una ideologia tutta e solo intellettuale, strumento solo per dare un’identità culturale, instrumentum regni, che si nutre di dogmi, neppur teologici ma ideologici, che non si fa neppure il tentativo di capire…In realtà il vero dramma è che il silenzio di Dio è abrogato, perché solo nel silenzio di Dio emerge il protagonismo degli uomini, di quelli che non si sentono abbandonati da Lui, ma responsabilizzati di una responsabilità che non riguarda solo la salvezza individuale, ma che deve incidere, come chiede il Vangelo, sui processi storici e sui fenomeni culturali, cioè sulla salvezza sociale. Spero non siano vere per nessun credente le parole, dure, di un poeta: «Come può sentire il silenzio di Dio chi prega sempre a voce troppo alta? Come può sentire il silenzio di Dio chi usa la sua parola solo per il potere? Come può sentire il silenzio di Dio chi lo vede solo in uno specchio? Come può sentire il silenzio di Dio chi si batte troppo forte il petto? Come può sentire il silenzio di Dio chi lo cerca solo nelle chiese? Come può sentire il silenzio di Dio chi ha conquistato già il suo paradiso?» (A. Lissoni). dwf

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Carissimi Marco e Walter,
non è per la pubblicazione, ma solo per un eccesso del cuore e per la costante impressione della incomunicabilità coi disegni della Provvidenza che voglio scrivervi brevissime impressioni. Ho ascoltato, in questi giorni, qualche meditazione (non molte per la verità), ma le cose scritte da voi, sia pure in tempi diversi, mi hanno “preso” dentro. Ilo silenzio di Dio è ricorrente, non so se solo per me o anche per voi. Credo sia anche il precipitato storico o, se volete, esistenziale della tentazione originaria. Un germe ineliminabile, la somiglianza umana all’immagine di Dio, ci prende sulla soglia della superbia e dell’orgoglio e ci suggerisce la pretesa di essere “come Dio”. Ed allora la domanda sulle vie della Provvidenza che, per lo stesso profeta, non sono le vie degli uomini.

Su queste premesse l’illusione di poter rispondere con ragione, la voglia di capire da una parte e la coscienza del limite dall’altra, che si traduce naturalmente nel dubbio sistematico, fonte della ricerca; ora io credo che, solo in questa consapevolezza del limite stia la nostra somiglianza o la somiglianza dell’uomo all’immagine di Dio. L’abisso comincia dopo, perché alla consapevolezza del limite non corrisponde alcuna capacità di entrare nel mistero. Ed il mistero più incomprensibile è il dolore; sempre innocente perché nessuno può entrare nel giudizio di colpevolezza. Immagino le urla degli zelanti, ma non mi importa; è vero che si parla di dolore di un bambino innocente che suscita il pianto della creazione, ma che posso sapere io dell’innocenza e della colpevolezza: il giudizio il Padre se lo è riservato, in assoluto. Il vero problema sta nell’universalità del dolore; credenti e non credenti sono stretti da questa comunione di dolore; credenti e non credenti sono accumunati dalla impossibilità di una risposta. Il credente si distingue (senza merito) per una sola esperienza: sa che Dio si è fatto uomo ed ha sofferto, ha provato il dolore dell’uomo. Cristo non ha risposto alla domanda fondamentale: perché il dolore? ha solo condiviso questa essenziale condizione dell’uomo: ha sofferto. Non c’è risposta, c’è solo esperienza; ed è esperienza universale e divina. Non mi risulta che, al di fuori del cristianesimo, si accetti l’idea che Dio possa soffrire proprio perché anche uomo.

Grazie comunque della vostra amicizia. Agostino

Anonimo ha detto...

Intanto ti ringrazio per le considerazioni che riproponi sul tuo sito a commento della visita del Papa ad Auschwitz. E come mio augurio riprendo quanto scriveva don Mazzolari a proposito del giovane avvolto in un lenzuolo, che seguiva Gesù arrestato, e che i soldati cercarono di fermare, ma lasciato il lenzuolo, scappò via nudo (Avvenire 19/3/08): "..quando un cristiano non ha che un lenzuolo, è inafferrabile; mentre i cristiani benestanti fanno fatica a disimpegnarsi...Quel giovane se ne va nudo nella notte. Non ha salvato il proprio decoro, ha però salvato la propria libertà, il suo impegno con Cristo..."
Auguriamoci una Chiesa (oltre che del grembiule - don T. Bello) del lenzuolo, libera e senza ingombri.
Buona Pasqua Carlo

Anonimo ha detto...

Carissimi Agostino e Walter,
mi pare saggio riconoscere il nostro limite nel comprendere ciò che ci trascende (e non solo).
Forse non è una risposta soddisfacente, ma almeno è ragionevole.
A chi non vuole o non riesce – magari anche per incapacità personale - a rassegnarsi alla banalità dell’indifferenza, malgrado la densa esperienza del dolore, non rimangono in fondo che due strade.
Rinchiudersi in un nichilismo senza speranza.
Oppure, all’opposto, provare a catturare un Dio che la nostra quotidiana esperienza, letta con gli occhiali della ragione, ci restituisce apparentemente incomprensibile e contraddittorio.
Un Essere che non si riesce a sfiorare, ma di cui si avverte di tanto in tanto una struggente nostalgia.
Di tutta la teologia mi rimane invece una sola curiosità.
Mi piacerebbe sapere se ogni tanto Dio sorride.