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"La coscienza del cristiano è impegnata a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo" ____________________________________________________________________________________________________________________

giovedì 20 marzo 2008

Il lato oscuro di Dio


«Prendere la parola in questo luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio e contro l'uomo che non ha confronti nella storia, è quasi impossibile - ed è particolarmente difficile e opprimente per un cristiano, per un Papa che proviene dalla Germania. In un luogo come questo vengono meno le parole, in fondo può restare soltanto uno sbigottito silenzio - un silenzio che è un interiore grido verso Dio: Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo?».
Questa denuncia drammatica costituisce l’inizio del discorso tenuto da Benedetto XVI ad Auschwitz-Birkenau, nel corso della visita al Campo di concentramento, il 28 maggio 2006.
Quante volte, nel corso della storia, è risuonato il grido del Crocifisso: «Dio mio, Dio mio, perché mi ha abbandonato» (Mt 27,46)?
Il lamento tratto dai Salmi squarcia il crepuscolo del Figlio di Dio il Venerdì Santo, ma a ben vedere è il grido di ogni uomo e non solo di ogni uomo.
Là dove il dolore, anche quello spirituale, si rende tangibile, fisico, materico – e questa è una prerogativa degli esseri umani, ma anche di tutti gli altri esseri viventi in grado di patire – riecheggiano le parole di Gesù nel momento della sua disfatta, un attimo prima di consegnarsi totalmente nelle mani del Padre.
E’ indubbio che la vita sensibile, incredibile miracolo che sfida le leggi della casualità, e la carne che le è congenita siano impastate nel sangue e nel dolore.
Lo strazio della carne è connaturale all’esistenza, sia quando è prodotto dalla furia cieca del destino come nel momento della malattia e della morte, dalle leggi di natura come accade alla gazzella che sente i denti della fiera affondare nel suo corpo, o dal fato, sia quando è provocata dagli uomini.
E infatti, la storia degli uomini è in buona parte l’elencazione dei loro crimini e delle loro follie.
E come non chiedersi allora nuovamente, come Benedetto XVI, «Perché hai potuto tollerare tutto questo?».
Io immagino che ogni credente che abbia riflettuto con profondità sulla precarietà dell’esistenza e contemporaneamente sulla sua pienezza – se non ha vissuto da sonnambulo - si sia chiesto almeno una volta se non ci troviamo di fronte a un Dio malato, che tollera la disarmante fragilità della vita, con il suo carico di sofferenza.
E’ un Dio che consente il massacro del proprio figlio prediletto il quale chiede di allontanare da lui il calice amaro che gli è riservato, quando ogni genitore meno che normale fa anche l’impossibile per salvare l’ultimo dei suoi figli da un destino atroce.
E chi tradisce il Figlio dell’uomo, nel Getsemani, è realmente libero e o si rivela un semplice burattino? E se così fosse fino a che punto è reo chi lo manovra?
Dal sacrificio del Figlio dell’uomo sorge un credo in cui viene chiamata “Comunione” un atto di “cannibalismo” con cui si commemora il suo sacrificio e la nostra liberazione.
La carne e il sangue transustanziati ritornano così in una sequenza infinita da duemila anni al centro della scena eucaristica.
«Le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria che deve rivelarsi in noi» (Romani 8,18). Ma è sufficiente giustificare tutto questo in vista di un bene infinitamente maggiore? Può un “fine” così grande giustificare i “mezzi” attraverso i quali è ottenuto?
Si può tutto ciò spiegare con il peccato?
Emil Cioran, nel Funesto Demiurgo, ha scritto «E’ difficile, è impossibile, credere che il dio buono, il “Padre”, sia implicato nello scandalo della creazione. Tutto fa pensare che non vi abbia mai preso parte, che essa sia opera di un dio senza scrupoli, un dio tarato».
“Scandalo” e “Stoltezza” dell’Evangelo non si fermano alla creazione, né all’esistenza terrena.
Anche dopo la morte e la distruzione – temporanee - della carne, assieme ai salvati vi saranno coloro che, dal loro peccato, saranno condannati per sempre all’inferno che “consiste nella dannazione eterna di quanti muoiono per libera scelta in peccato mortale. La pena principale dell'inferno sta nella separazione eterna da Dio, nel quale unicamente l'uomo ha la vita e la felicità, per le quali è stato creato e alle quali aspira. Cristo esprime questa realtà con le parole: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno» (Mt 25,41)” (Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica 212).
In cosa consiste la separazione eterna da Dio? Una condanna alla depressione psichica per sempre, in un campo di concentramento chiamato Inferno? Senza nessuna possibilità di riabilitazione?
Se Dio, che noi abbiamo adorato in questi giorni nell’ostia consacrata, consente questo, secondo il giudizio della legislazione internazionale attuale - in cui buona parte ha l’evoluzione del pensiero che affonda le sue radici proprio nell’antropocentrismo cristiano - dovrebbe essere condannato per crimini contro l’umanità.
Il “Processo a Dio” da Giobbe in poi ritorna costantemente e da esso è stata tratta anche la recente, suggestiva opera teatrale di Stefano Massini incentrata proprio sulla tragedia del popolo ebraico nel secondo conflitto mondiale.
Ma rimane senza soluzione, perché Dio non si può giudicare con i canoni umani, altrimenti il verdetto non potrebbe che essere, con ogni probabilità, di colpevolezza.
Esiste un lato oscuro di Dio, di cui il venerdì santo - momento nel quale l’orrore e l’estasi della vita si confondono - rappresenta la massima rivelazione?
Non possiamo rispondere con gli strumenti della ragione.
Possiamo solo affidarci alla fede, perderci in Dio senza barriere protettive, nella consapevolezza che sostenere questo implica gettarsi – alla stregua del Figlio dell’uomo - in una imprudente e sublime avventura.
Marco Ciani

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