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"La coscienza del cristiano è impegnata a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo" ____________________________________________________________________________________________________________________

giovedì 26 novembre 2009

Il chierichetto e il Padre predicatore

Da ragazzino facevo il chierichetto; servivo la messa e numerose altre celebrazioni liturgiche. Il mestiere era praticato, almeno al mio paese, da circa l’ottanta per cento della popolazione maschile della mia età, le ragazze erano rigidamente escluse. Non erano però esclusi neppure i figli (maschi, s’intende) di coloro che per effetto del decreto del S.Ufficio del 1949 sui comunisti, non avrebbero potuto ricevere i sacramenti, ma che in pratica, raramente venivano privati della comunione dai loro parroci; ed il mio parroco era, sullo specifico, di manica larga, né mi risulta che sia incorso nelle sanzioni canoniche che oggi, in alcune diocesi, abbondano.
Il risultato era inevitabile: eravamo una bella schiera, sempre pronti a truffare le ostie disposte per la consacrazione ed a mangiarne in gran quantità, annaffiandole con un gustoso moscato che avrebbe dovuto servire per la messa: il sacrestano aveva un bel da fare ad aggiungere vino nelle ampolline (si chiamano così le minute bottigliette che lo contengono), all’ora della messa il vino non c’era mai e noi ci presentavamo al “servizio” con un punta di spensierata allegria.
Ora è ben noto: l’anzianità fa grado e quando un mio cugino ed io, dalle elementari siamo passati a frequentare le medie (allora non certo obbligatorie: eravamo nel 1951), abbiamo preteso la leadership del gruppo. Non ci fu contestata, ma i patti comportavano che a maggior autorità corrispondesse maggiore impegno; così i servizi più gravosi gravavano su noi due.
Avvenne che, in corrispondenza con l’anno giubilare (celebrato a Roma nel 1950 e ripetuto nelle parrocchie nel 1951), fu organizzata una missione parrocchiale con la presenza di cinque frati cappuccini. Tra le altre iniziative era prevista una messa per le 6 (le sei del mattino!), per le ragazze dai diciotto ai trent’anni, fidanzate, giovani spose o in attesa (non so quanto preoccupata) del principe azzurro. Ovviamente il parroco, per il servizio, si rivolse a me ed a mio cugino: chi sta sopra lo stia per servire!
Dieci minuti prima dell’ora stabilita, mentre vestivamo la talare con la cotta di rigorosa ordinanza, assistemmo ad una vivace polemica tra il parroco ed il frate che doveva celebrare la messa e fare la predica alle fanciulle che già affollavano la chiesa, ciondolando per il sonno. Il problema nasceva dal fatto che il cappuccino non voleva ammettere la nostra presenza, mentre il parroco gli faceva osservare che difficilmente avremmo potuto servire messa, senza rimanere in chiesa. Alla fine il compromesso: saremmo rimasti, ma durante la predica saremmo dovuti uscire, avrebbe poi provveduto il parroco a richiamarci al momento opportuno. Noi, che non avevamo mai ascoltato una predica, fummo presi da un’insolita curiosità: perché non potevamo ascoltare?quale segreto era da custodire nelle parole che il buon frate avrebbe rivolto alle ragazze?
Va detto che accanto e a fianco dell’altare, era posta una nicchia che conteneva una statua della madonna assunta in cielo; nicchia di buone proporzioni con una cupoletta, la cui parte concava era interna alla chiesa, ma quella convessa andava a modificare, sopra la soffitta, il pavimento della sede dell’oratorio di Azione cattolica, in allora anche sede della D.C. (democrazia cristiana, alla faccia della laicità della politica). Sulla curvatura convessa avevamo, da tempo, notato una grata (forse uno sfiatatoio?) dalla quale si sentiva benissimo, meglio che non avvenisse in chiesa, ciò che si diceva all’altare e noi ne approfittavamo: quando veniva l’ora di correre al servizio di chierichetto (dalla grata controllavamo), mollavamo il biliardo o altri simili diporti e correvamo al nostro dovere, pena qualche rimbrotto, peraltro sempre bonario del parroco.
Quella volta però la grata servì a ben diverso scopo; poteva essere usata, in contemporanea, da tre persone e noi eravamo in due. Non ci perdemmo una parola di una predica da manuale. Con voce stentorea, inflessioni urlate, ben intenzionate ad incutere spavento, il predicatore continuò, per più di mezz’ora a richiamare l’importanza della purezza, della verginità prematrimoniale, ma anche della castità sponsale (disse proprio così: non capivamo, ma mandavamo a mente senza problemi): stessero le giovani virtuose sempre lontane da ogni tentazione ed anche (e soprattutto) le fidanzate non permettessero mai confidenze ed intimità di qualunque tipo da parte dei loro amici maschi, sicuramente sempre pronti all’attacco. I risultati dell’improvvida eventuale accondiscendenza, oltre ad indurre malattia e disonore, avrebbero condotto di sicuro, alle fiamme infernali.
Terminata la predica, non ci fu bisogno che il parroco ci richiamasse; ci catapultammo in chiesa un po’ storditi ed un po’ curiosi. Dalla grata non potevamo vedere le fanciulle oggetto della reprimenda; appena entrati osservammo una scena curiosissima: le giovincelle, prima addormentate si scambiavano sguardi di malizia, occhiate divertite, sorrisi di chiara allusione. Sentimmo anche il parroco che diceva al suo vicario (si diceva vice/parroco): se prima non ci pensavano neppure adesso lo faranno. Non capimmo e continuammo a servire messa.
Alla fine, come al solito, quando affrontavamo un turno tanto scomodo, andammo in canonica, invitati per la colazione, mentre il parroco stava battibeccando (ma non sentimmo cosa si dicevano) col santo frate. Poco dopo, mentre la perpetua, una compita signora che di nome faceva Domitilla, ci versava latte e cioccolato, il parroco con la sua solita espressione burbera ci redarguì: avete ascoltato bene tutto? Funziona la sfiatatoio? Incassammo e continuammo a consumare la nostra insolita, quanto ricca colazione.
A me però è sempre rimasto impresso il giudizio del mio parroco di allora: se prima non ci pensavano nemmeno, ora lo faranno. Ed ora che capisco (?!) un pochettino di più, la condivido pienamente: la condivido quando ascolto le ripetute condanne della chiesa, i suoi ripetuti rifiuti di aprire le sue porte alla fragilità dell’uomo, le sue esclusioni tanto ribadite quanto inefficaci.
Mi ha colpito ad esempio che un vescovo ritenga di dover rendere pubblica l’esclusione di un Kennedy dall’eucarestia, per la sua politica in tema di aborto. Mi chiedo: è proprio necessario? Siamo tutti convinti che l’aborto non può essere ammesso, che i cattolici impegnati in politica debbono fare il possibile (la politica non può fare di più) perché il fenomeno venga contenuto, perché la vita sia difesa in ogni caso; lo sappiamo bene! Bisogna proprio ripeterlo, con l’espressione della condanna e col rischio di riaprire dei fronti di scontro politico dai dubbi risultati, in presenza di opinioni prevalentemente laiciste tanto a destra, quanto a sinistra? E non vogliamo proprio affidare il difficile compito della mediazione possibile ai laici, perché possano puntare al massimo di bene rispetto ad un valore che conoscono benissimo ed in cui credono?
Benedetta autonomia dei laici! Araba fenice: che ci sia ognun lo dice, dove stia nessun lo sa!
Agostino Pietrasanta

lunedì 23 novembre 2009

Venti anni di Intifada: radiografia del massacro

Riprendo da L'Unità di oggi (http://www.unita.it/news/mondo/91655/venti_anni_di_intifada_radiografia_del_massacro) questo illuminante bilancio di di Umberto De Giovannangeli. Almeno per rompere il silenzio tombale caduto in Italia e nel mondo sul conflitto israelo-palestinese...

Bilancio di un conflitto lungo venti anni. Gli anni della prima e della seconda Intifada. Bilancio di sangue. Astilarlo è B’Tselem, la più autorevole associazione israeliana per i diritti umani. Secondo il rapporto il conflitto israelo-palestinese ha fatto almeno 8.900 morti in due decenni, la gran parte dei quali erano palestinesi. I militari israeliani hanno ucciso 7.398 palestinesi, tra i quali 1.537 minori, sia in Israele che nei Territori occupati; i palestinesi, dal canto loro, hanno ucciso 1.483 israeliani, tra i quali 139 minori. Questi anni sono stati contrassegnati dalla prima Intifada (1987-1993), dalla seconda Intifada che è iniziata nel 2001 e dall’offensiva «Piombo fuso » di Israele contro la Striscia di Gaza.

BILANCIO DI SANGUE
Il 2009 è stato l’anno più sanguinoso con la morte di 1.433 palestinesi, di cui 315 minori, quasi tutti uccisi nel corso dell’operazione «Piombo fuso» (27 dicembre 2008 - 18 gennaio 2009). B’Tselem ha valutato che sono stati 1.387 (di cui 320 minori e 111 donne) i palestinesi uccisi in tre settimane. Il 1999 è stato l’anno meno sanguinoso per i palestinesi (8 morti) B’Tselem precisa che tra le vittime israeliane 488 erano membri della polizia o dell’esercito, le altre 995 sono state uccise in seguito agli attentati in Israele o nei territori occupati. Per Israele l’anno più duro è stato il 2002 con 420 morti e il 1999 il meno violento (4 morti). 335 i palestinesi agli arresti amministrativi senza processo (contro 1.794 nel 1989).

DEMOLIZIONI
Nel corso di questi 20 anni le autorità israeliane hanno demolito, sia perché erano state costruite senza permesso, sia per infliggere una misura punitiva alle famiglie degli attentatori 4.300 case palestinesi in Cisgiordania, in particolare a Gerusalemme est, così come nella Striscia di Gaza fino all’evacuazione di Israele nel 2005. In più, B’Tselem stima che 6.240 case siano state distrutte nel corso dell’operazione militare nella Striscia di Gaza (3.540 solo nell’operazione «Piombo fuso »). Se si abbraccia un arco di tempo più lungo, dal 1967 al 2008, le case palestinesi demolite sono state 24.125. In 20 anni il numero di israeliani che vivono in Cisgiordania o a Gerusalemme est è triplicato per arrivare a 500.000, secondo le cifre ufficiali riprese da B’Tselem.

SEGREGAZIONE
Il rapporto spiega che la città di Hebron è sottoposta˘alla distruzione delle fonti di reddito a causa delle restrizioni alla libertà di movimento imposte dall’esercito israeliano, in particolare dopo lo scoppio della seconda Intifada. Tali restrizioni comprendono il divieto totale di camminare o viaggiare sulle strade principale della città, la chiusura dei negozi in base a un decreto militare. Nel rapporto si sottolinea che la città di Hebron, in Cisgiordania, vive «una politica di segregazione su base razziale». Nelle aree vicino alle case dei coloni, le autorità di occupazione hanno costretto i cittadini palestinesi a evacuare più di 1014 unità abitative, cioè, il 41,9% del totale delle case della zona. Dal settembre 2000 fino ad oggi, rileva B’Tselem, «i palestinesi sono stati cacciati via da più di 1000 appartamenti e 1829 negozi commerciali nel centro di Hebron, a seguito delle pressioni praticate dall’esercito di occupazione israeliana, dalla polizia e dai coloni».

CHIUSURE E BLOCCHI
Ampio spazio è dato poi nel rapporto agli effetti deleteri per la popolazione palestinese causati dal blocco della Striscia di Gaza e dalla costruzione della barriera di separazione: entrambi stanno provocando gravi sofferenze ai civili. Nella Striscia di Gaza, inoltre, la disoccupazione ha ormai toccato il 50 per cento, e il 79 per cento delle famiglie vive sotto la soglia di povertà. Senza contare la penuria di elettricità e acqua potabile (sono 228 mila le persone che non vi hanno accesso in Cisgiordania), con gravi conseguenze anche sulla salute. Atutto questo si aggiungano le restrizioni nei movimenti, con l’installazione di decine di check-point (18 nella sola Hebron), e il divieto assoluto di transito per i palestinesi lungo 137 chilometri di strade.

sabato 14 novembre 2009

Ora di Islam nella scuola?

La proposta di introdurre nelle scuole italiane, pubbliche e private, un’ora di religione islamica, alternativa a quella cattolica, per gli alunni di fede musulmana, non ha fatto breccia né nella politica né nella Chiesa… In verità, la proposta ha subito ricevuto un sì autorevole nel mondo cattolico, quello del presidente del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace, card. Renato Martino: «A meno che gli islamici non scelgano di convertirsi al cristianesimo – perché la libertà di religione è un principio sancito dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo – se scelgono di conservare la loro religione hanno diritto ad istruirsi nella loro religione. Con i debiti “controlli”, inoltre, l’insegnamento nelle scuole eviterebbe che i giovani di religione islamica finiscano nel radicalismo». Sulla stessa linea il card. Georges Cottier, secondo il quale “per milioni di immigrati la conoscenza è antidoto al fondamentalismo”. D’altra parte, in passato, aveva manifestato una posizione di apertura nei confronti della medesima problematica lo stesso Benedetto XVI, quando il dibattito aveva coinvolto il suo paese natale, la Germania. In un’intervista del ’99 l’allora cardinal Ratzinger specificava che le organizzazioni islamiche richiedenti quell’insegnamento avrebbero dovuto attestare “una piena adesione alla Costituzione” tedesca e dare garanzie che non venisse a realizzarsi “un indottrinamento ma un’informazione equilibrata e oggettiva sull’Islam” (e in effetti in alcuni Länder tedeschi l’insegnamento è stato poi sperimentato secondo questi principi).
Il mondo politico con argomentazioni più o meno etnocentriche e difensive dell’identità cristiana, ha bollato la proposta come espressione di un “malinteso pluralismo culturale”. Una secca smentita delle posizioni del card. Martino è invece giunta dal presidente della Cei, card. Bagnasco: «L’ora di religione cattolica nelle scuole di Stato si giustifica in base all’articolo 9 del Concordato, in quanto essa è parte integrante della nostra storia e della nostra cultura. Pertanto, la conoscenza del fatto religioso cattolico è condizione indispensabile per la comprensione della nostra cultura e per una convivenza più consapevole e responsabile. Non si configura, quindi, come una catechesi confessionale, ma come una disciplina culturale nel quadro delle finalità della scuola. Non mi pare che l’ora di religione ipotizzata corrisponda a questa ragionevole e riconosciuta motivazione». Dichiarazione formalmente ineccepibile; io stesso ho in più occasioni difeso la “necessità” dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola e continuo a difenderlo, anche se non ritengo corretto porlo in maniera esclusiva. Condivido quanto ha scritto Franco Monaco: «La questione, di portata epocale, dell’immigrazione e, segnatamente, le politiche tese all’integrazione dentro una società multiculturale e multireligiosa sono un terreno singolarmente congeniale a un confronto che trascenda gli schieramenti. Nello specifico, la proposta ha il merito di riaprire una discussione su tre problemi di rilievo tra loro connessi: come fare i conti con la società multireligiosa; come svolgere in concreto l’idea di una “laicità positiva e del confronto”, che muova cioè dalla convinzione che le religioni rappresentano una risorsa più che un problema per la vita culturale e civile; come ovviare al problema – sostanzialmente negletto – degli studenti che non si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica e che spesso se ne stanno in oziosi o se ne tornano a casa».
Se la proposta è politicamente impraticabile, al momento attuale credo urgente e importante aprire un dibattito culturale, libero da logiche di parte e da rigidità ideologiche, per ripensare l’intero assetto scolastico del discorso religioso; e intanto, nei prevedibili tempi lunghi di attivazione di una nuova e adeguata risposta della scuola alla “domanda religiosa” della società, qualificare l’attuale offerta scolastica in materia.
Intanto poiché le attività scolastiche per i “non avvalentisi” dovrebbero avere attinenza all’area etico-religiosa, potrebbero proporre, quale oggetto di studio, la religione islamica o/e la religione ebraica o/e un’etica sociale… Sicché, la proposta di un’ora facoltativa di religione islamica potrebbe, in primo luogo, contribuire a coprire “l’ora del vuoto” come è stata definita l’ora alternativa. Si tratterebbe di un’ora rivolta non solo agli eventuali studenti musulmani ma anche ai “non avvalentisi”, che potrebbero scegliere tra le varie opportunità offerte dalla scuola. Capisco che una difficoltà nascerebbe dallo statuto stesso di queste religioni “teocratiche”, nelle quali è faticoso distinguere il sapere dal credere, la religione dalla fede. Se fa difficoltà per la scuola la “confessionalità” della religione cattolica (che però riconosce la laicità delle istituzioni pubbliche), a maggior ragione diventa incompatibile una religione che si identifica con la propria fede. Ma, poi, perché offrire questo necessario approfondimento culturale solo ai “non avvalentesi”?
La provocazione della proposta va allora accolta per aprire un cantiere di riflessione e di rielaborazione dell’intero assetto del discorso religioso nella scuola. Penso che non risponda alle attese di una educazione interculturale l’attivazione di tante “ore” quante sono le religioni professate nella società, tantomeno se destinate, ciascuna, ai fedeli di quelle religioni. Ma nello stesso tempo penso che il diritto di scelta educativa rivendicato per i cattolici debba valere anche per chi cattolico non è, secondo i principi della nostra Costituzione. Ma selezionare gli studenti sulla base della loro anagrafe confessionale, creerebbe e aumenterebbe non l’integrazione ma la ghettizzazione delle diverse appartenenze religiose; le materie di studio, anche quelle religiose, vanno offerte a tutti gli studenti e devono rientrare pienamente nel curricolo scolastico di ciascuno. La moltiplicazione degli insegnamenti confessionali – l’ora islamica oggi, poi quella ortodossa e così via – confermerebbe la tesi che alla religione va riservato un insegnamento particolare e, per di più, mantenuto all’interno dei recinti confessionali; ciò non favorirebbe la reciproca conoscenza, il dialogo tra le fedi e le culture diverse. In questa prospettiva si pone la proposta di attivazione autonoma, da parte della scuola, di un corso curricolare di cultura interreligiosa per tutti declinato sulle tre religioni, ebraica, cristiana, islamica, da articolare su base storico-comparata e con impianto fenomenologico-ermeneutico.
Mi sembra perciò decisamente più persuasiva, e soprattutto più conforme allo statuto ideale di una scuola pubblica compiutamente formativa, l’idea – avanzata vent’anni or sono da Pietro Scoppola e Luciano Pazzaglia, ripresa di recente da Massimo Cacciari – di un insegnamento aconfessionale di cultura religiosa obbligatorio per tutti naturalmente affidato a insegnanti vincitori di regolare concorso pubblico. Non è impossibile mettere a fuoco contenuti e metodi di una tale disciplina, che certamente dovrebbe privilegiare le grandi religioni monoteiste così decisive nel forgiare la civiltà occidentale. Sarebbe altresì uno stimolo a reintrodurre lo studio della teologia e delle scienze religiose nelle università pubbliche, presenza che si è interrotta all’inizio del secolo scorso. A fondamento di tale “terza via” sta il convincimento che il vero, grande problema che ci affligge è l’analfabetismo religioso, l’ignoranza dei grandi Libri sacri. Si attesterebbe, per questa via, la rilevanza delle religioni nella cultura e dunque nella formazione culturale delle nuove generazioni. Ci si porrebbe al riparo dell’insidia dello slittamento di insegnamenti confessionali nella direzione impropria dell’indottrinamento e del proselitismo. Conosco le resistenze della Chiesa di fronte a tale ipotesi. Ma oggi la società multireligiosa è già una realtà. Con le opportunità e i problemi, anche pastorali, che essa porta con sé. Condivido l’auspicio di Franco Monaco: «La Chiesa farebbe bene a rifletterci e a raccogliere positivamente la sfida. Senza timori. Essa ha i mezzi e la forza per farlo. Nessun altra istituzione dispone delle sue risorse umane, culturali, organizzative per forgiare gli insegnanti. Il Concordato è uno strumento e non un fine e, nel suo preambolo, che ne fissa l’ispirazione di fondo, sta scritto che Stato e Chiesa si impegnano a cooperare per la promozione della persona e il bene del paese. In questo caso, il bene della scuola, della cultura, dell’integrazione socio-culturale». dwf

lunedì 9 novembre 2009

Dialogo sul Crocifisso

Riprendo dal blog di Sandro Magister http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/11/04/effetto-valanga-col-croficisso-via-anche-le-chiese-bach-leonardo-da-vinci/ questo "simpatico" dialogo sulla sentenza anti-crocifisso della corte europea dei diritti dell’uomo che ha seminato scompiglio nelle scuole italiane.
Ecco qui di seguito come se ne è discusso in un consiglio d’istituto di un non precisato liceo romano. I personaggi:
P: preside,
PA: professore di storia dell’arte,
PM: professore di musica,
PF: professore di filosofia.
*
P: Oggi è venuta a trovarmi la madre di un allievo, un po’ agitata. Mi ha detto che si rifiuta di mandare il figlio a visitare la piazza e la basilica di San Pietro la prossima settimana. Ha sentito della sentenza della corte europea dei diritti dell’uomo sul crocifisso e sostiene che questa visita sarebbe un condizionamento religioso emotivamente troppo forte per un quindicenne.

PA: Me se devo dare il compito in classe sul Bernini!

P: Io però non voglio prendermi esposti, denunce, eccetera. Ho già troppe gatte da pelare!

PA: Ho capito, ma allora dove li porto i ragazzi? Al Pantheon?

P: Magari. E insisti sul fatto che è una prodigiosa dimostrazione del genio architettonico dei romani.

PA: È vero, ma devo pure far cogliere i motivi di continuità con i successivi sviluppi cristiani, dovrò pure dire che nel VII secolo il Pantheon è stato trasformato in una chiesa, Santa Maria ad Martyres.

P: Ci risiamo! Voglio una visita neutrale, non religiosa!

PA: Ma che significa? Qui tutto ricorda il cristianesimo! Allora stiamocene chiusi in aula e lasciamo perdere! E poi i ragazzi avranno pure diritto a essere istruiti, a sapere.

P: Ma il diritto di chi non vuole subire la non richiesta ostensione di simboli religiosi prevale.

PA: Ah sì? E perché non se ne sta a casa lui, allora?

P: Collega, ma cosa dici? Un diritto è un diritto!

PM (interrompe con ansia): Scusami, preside, ma io domani farò ascoltare Bach: la Messa in si minore.

P: Mamma mia, per carità!

PM: Come “per carità”? È un capolavoro sommo!

P: Ma è una Messa!

PM: E che significa? L’sutore non era neppure cattolico!

P: Era protestante. Sempre cristiano era. Scegli qualcosa di più tranquillo, vai sul Novecento, a Stravinskij.

PM: Bene. Farò ascoltare “Sinfonia di Salmi”.

P: Ma sei un fissato! Metti la “Sagra della primavera”, quella sì, è sufficientemente pagana, non disturba nessuno, ci si può fare pure una lezione di antropologia culturale. E comunque, se proprio devi fare un po’ di Bach, non insistere troppo sul cristianesimo.

PM: Ma se scriveva “Soli Deo Gloria” in calce alle sue composizioni!

P: Ma mica siamo al Conservatorio, che importa agli allievi di questi dettagli?

PM: Pensa che volevamo fare col collega di filosofia un’ora interdisciplinare sull’estetica nel pensiero religioso del Novecento, sull’influsso di Bach e Mozart su von Balthasar e…

P (irato): Ma siamo matti! La teologia si fa nell’ora di religione per chi la chiede, e basta! Mi vuoi rovinare?

PF: Preside, ma cosa dici! Posso parlar bene di Agostino, o no?

P: Ma sì, digli che ad Agostino tutto il pensiero moderno deve molto, anche l’ermeneutica, la fenomenologia…

PF: Però non posso dire che era cristiano?

P: Accennalo appena.

PF: Ma che accenno e accenno! Secondo te le “Confessioni” sarebbero state scritte se l’autore non si fosse convertito al cristianesimo? E poi scusa, quando parlo del concetto di persona in filosofia, come evito un accenno al dogma della Trinità e ai primi concili ecumenici? Non esisterebbe il concetto di persona senza…

P: No e poi no! Questo è catechismo! Prudenza ci vuole…

PF: Ma se persino Benedetto Croce….

P: Basta! Colleghi, dobbiamo capire che viviamo in una società multiculturale, dobbiamo rispettare le diversità, non possiamo pretendere…

PA: Ma abbiamo pure il dovere di istruire, di far conoscere. Se gli allievi guardano il Cenacolo di Leonardo, mica gli possiamo dire che era una cena qualunque tra amici!

P: Ma che esempi mi fai? Qualcosa va detto loro, ma con prudenza, con neutralità…

PA: Ma a me il Cenacolo piace tanto, mi appassiona…

P: Troppa passione nell’insegnamento non va bene. Ci vuole anche un po’ di neutralità emotiva.

PF: E allora mettiamoci un automa, sulla cattedra, e cambiamo mestiere! Ma poi, senti, non sarebbe molto più interessante far capire la grandezza filosofica di san Tommaso collegandolo al pensiero musulmano, ad Avicenna… Non cancelliamo né l’uno né l’altro, li studiamo entrambi.

P: Ma ci sono anche gli atei, gli agnostici…

PF: Ma anche loro dove vivono? Se vivono in mezzo a noi, è giusto che conoscano, che vedano le mille chiese nelle strade di Roma, che rappresentano la città, o dobbiamo demolire pure quelle? Quelle non sono per nulla neutrali!

P: Colleghi, sono sfinito. Aggiorniamoci a domani. Magari la notte ci porterà consiglio…

(Dialogo messo per iscritto da Francesco Arzillo, Roma, 4 novembre 2009).

venerdì 6 novembre 2009

Pellegrinaggio in Terrasanta - Dal 3 al 10 marzo 2010

“Terra santa, terra di tutti, terra nostra!”, è l’espressione del Patriarca emerito di Gerusalemme mons. Michel Sabbah, utile per presentare la proposta dell’annuale pellegrinaggio in Terrasanta.
Noi abbiamo scelto di cambiare il modo di organizzare i pellegrinaggi in Terrasanta. In molti casi sono solo “turismo religioso”, legato agli aspetti storico-archeologici o ad una proposta “spirituale” disincarnata e sostanzialmente indifferente alle persone che in quella terra vivono, lavorano, soffrono, combattono, amano, odiano: la “lectio biblica” che si propone potrebbe essere proposta tale e quale anche in una delle nostre parrocchie! Ci sono pellegrinaggi che non vedono l’occupazione militare della Terrasanta, non si accorgono del “Muro”, non “sentono” la paura quotidiana degli israeliani e l’umiliazione dei palestinesi, lo stridente contrasto tra ricchezza e povertà; il rischio di taluni pellegrinaggi è quello di vivere in una condizione al di fuori del tempo e del luogo; non c’è nessun incontro con le altre due grandi esperienze religiose (l’ebraica e l’islamica) perché molti camminano per la Terrasanta pensando che noi (cristiani, cattolici) siamo i “buoni” e gli altri sono i “cattivi”. Il pellegrinaggio è anche incontro con la Chiesa Madre di Gerusalemme e vicinanza e sostegno ai cristiani di Terrasanta, che però hanno “la sventura” di essere cristiani arabi, palestinesi e perciò segnati dal “sospetto” con cui guardiamo gli arabi e i palestinesi, vittime come siamo della scandalosa e menzognera informazione massme¬diale. “Dovete aiutarci anche voi ad essere cristiani secondo il vangelo! Questo sia il vostro impegno e non solo continuare a sostenere progetti particolari. Aiutateci nella crescita della fede. Noi da parte nostra non possiamo aspettare domani per cercare di amarci tra cristiani e quindi non dobbiamo aspettare che finisca il conflitto...” ci diceva mons. Sabbah.
Perciò ripropongo anche quest’anno il pellegrinaggio in Terrasanta, con le caratteristiche che è venuto assumendo in questi anni:
- pellegrinaggio di credenti e non credenti, entrambi comunque in ricerca... La condivisione di domande e la partecipazione anche a momenti “religiosi”, aiuta gli uni e gli altri a conoscersi e ad andare a fondo nell’interrogazione di sé e della propria realtà più profonda: la Bibbia è la nostra guida;
- pellegrinaggio di solidarietà con tutti coloro che soffrono (e per la situazione della Terrasanta è tutto il mondo che soffre e vive in un perenne e pericoloso conflitto), per proporre a tutti la strada della pace nella giustizia;
- pellegrinaggio incarnato nella storia di oggi, per certi versi molto simile a quella della Palestina di Gesù e della Chiesa delle origini.
Andremo prima in Galilea, là dove sono state gettate le basi dell’avventura cristiana nella storia, un frammento di terra dove tutto ha avuto inizio! E poi nel cuore della Terrasanta: Betlemme e Gerusalemme. Proponiamo alcune esperienze inusuali, ma importanti per capire: la residenza a Betlemme per condividere l’esperienza e i disagi dell’occupazione militare; l’incontro di amicizia con Gerico che nel 2010 celebra i suoi 10.000 anni di storia, con la speranza di uscire dal suo opprimente isolamento; la solidarietà con le amiche del centro Melkita di Ramallah e la realtà “atipica” di questa città, “capitale” della Palestina inesistente; la visita a Taibeh, unico villaggio totalmente cristiano della Palestina e l’incontro con la sua Comunità; e infine l’esperienza di Gerusalemme, la Città tre volte santa, il cuore pulsante (e malato) del monoteismo, che da “valore” quale dovrebbe essere, appare oggi come “problema” che sembra rendere instabile il mondo e talvolta dimenticare i suoi principi originari e fondamentali che affermano il valore universale di ogni essere umano. Chiunque condivide questi principi è allora benvenuto e sarà un gradito compagno di viaggio. Sono certo che per tutti, come sempre sarà un’esperienza indimenticabile. don Walter
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PELLEGRINAGGIO DI PACE E GIUSTIZIA IN TERRASANTA
dal 3 al 10 marzo 2010

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I – 3 marzo – mercoledì - Alessandria / Tel Aviv / Nazareth
Partenza in pullman riservato per l’aeroporto di Bergamo. Volo speciale per Tel Aviv. Arrivo a Tel Aviv. Partenza per Nazareth, sistemazione in hotel, cena e pernottamento.
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II – 4 marzo – giovedì - Nazareth / Lago Tiberiade / Tabor
Visita della Basilica dell’Annunciazione e di Nazareth. Pranzo.
Nel primo pomeriggio trasferimento al Tabor, monte della trasfigurazione di Gesù. Messa. Durante il rientro a Nazareth sosta a Cana, cena e pernottamento.
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III – 5 marzo – venerdì - Zippori / Haifa / Akko
Trasferimento al Lago di Tiberiade: visita di Tabga, della chiesa del Primato di Pietro, di Cafarnao “città di Gesù”. Monte delle beatitudini. Messa e pranzo alle Beatitudini. Partenza per Akko (S. Giovanni d’Acri). Lungo il percorso visita di Zippori (Sephoris) ritenuto il villaggio natale di Anna, madre della Vergine. Qui i crociati hanno edificato una chiesa a suo nome, sul sito di una bizantina risalente al III sec. Proseguimento per Akko. Visita della città con la sua imponente cinta muraria. Tutta la cittadella entro le mura rappresenta il più bell’esempio dell’architettura crociata in Israele. Se possibile visita della chiesa di S. Andrea e della Moschea di El-Jazzar. Rientro a Nazareth. Cena e pernottamento.
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IV – 6 marzo – sabato / Nazaret / Betlemme
Partenza per Gerusalemme e Betlemme lungo la Valle del Giordano. Se possibile sosta al Giordano nei pressi di Gerico e memoria del Battesimo. A Betlemme sistemazione in hotel e pranzo. Visita della Basilica della Natività e Messa. Cena e pernottamento.
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V – 7 marzo – domenica - Gerusalemme
Mattinata dedicata alla visita di Gerusalemme. Monte degli Ulivi, Dominus flevit, Getsemani e Tomba della Vergine. Pranzo. Visita allo Yad Vashem (Museo della Shoah) e al Museo del Libro. Rientro a Betlemme. Cena. S. Messa al Getsemani. Rientro a Betlemme e pernottamento.
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VI - 8 marzo – lunedì - Ramallah / Gerico
Partenza per Ramallah. Visita al Centro di Ricamo. Poi alla parrocchia di Taibeh dove incontreremo don Raed Abusahlia, il parroco della comunità. Il villaggio è uno dei pochi se non l'unico che si è mantenuto completamente cristiano in Palestina, tanto da definirsi l'ultima città discendente dall'epoca dei primi cristiani. A Taibeh sul piano storico due visite: le rovine di una vecchia chiesa e la casa delle parabole, una casettina rimasta intatta come tante altre nel circondario costruita secondo i dettami di centinaia di anni fa. Grazie a questa casa possiamo immaginarci in che condizioni vivevano le persone all'epoca di Cristo e nei secoli seguenti. Pranzo (se possibile a Taibeh). Nel pomeriggio trasferimento a Gerico. Messa nella parrocchia cristiana del “Buon Pastore”. Saluto al Sindaco della Città gemellata con Alessandria. Cena. Rientro a Betlemme per il pernottamento.
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VII – 9 marzo – martedì - Gerusalemme
A Gerusalemme Visita della Spianata delle Moschee e Muro Occidentale (“Muro del Pianto”), poi visita al “Monte Sion Cristiano”: Cenacolo, Dormizione e S. Pietro in Gallicantu. Pranzo. Nel pomeriggio Chiesa di S. Anna, Flagellazione, Via Dolorosa. Santo Sepolcro. Messa. Cena e pernottamento a Betlemme.
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VIII - 10 marzo – mercoledì - Gerusalemme / Tel Aviv / Alessandria
Al mattino visite. Partenza per l’aeroporto di Tel Aviv. Imbarco con volo speciale. Arrivo a Bergamo. Rientro ad Alessandria.
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QUOTA DI PARTECIPAZIONE
In camera doppia € 1.270,00
Supplemento camera singola € 250,00

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ISCRIZIONI: telefonare al più presto a don Walter (335 58 18 204) per la pre-iscrizione. Per la conferma (entro la metà di dicembre) è richiesta una caparra di € 400 (Fino al 31 gennaio i posti cancellati saranno soggetti a penale di Euro 150; dal 1° febbraio al 19 febbraio, i posti cancellati saranno soggetti a penalità di Euro 300,00; dal 20 febbraio al giorno della partenza, penalità totale per ogni cancellazione).

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LA QUOTA DI PARTECIPAZIONE COMPRENDE: Trasferimento in pullman per/da l’aeroporto di Bergamo; passaggi aerei con voli speciali da Bergamo; tasse aeroportuali e di dogana in Israele e percentuali di servizio; kg. 20 bagaglio in franchigia; assistenza aeroportuale in Italia e all’estero; sistemazione in alberghi di buona categoria in camere doppie con servizi; trattamento di pensione completa, dalla cena del primo giorno al pranzo dell'ultimo; escursioni, tours, entrate, come da programma; mance, facchinaggi ed extra in genere; Bus Gt con autista; Guida autorizzata parlante italiano per tutta la durata del tour; Assicurazione medico - bagaglio Mondial Assistance; omaggio ad ogni partecipante.
LA QUOTA DI PARTECIPAZIONE NON COMPRENDE: Assicurazione integrativa facoltativa annullamento MONDIAL ASSISTANCE: 3,50% del costo del pacchetto (contratto 2008); tutto quanto non espressamente menzionato nel programma.
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Documenti
Per i cittadini italiani e' richiesto il passaporto regolarmente bollato ed in corso di validità di almeno 6 mesi dalla data di inizio del viaggio.
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Modifiche al programma potranno essere necessarie per condizioni ed esigenze che si presentino in Terrasanta e comunicate successivamente o in loco. I luoghi delle celebrazioni sono solo indicativi.
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mercoledì 4 novembre 2009

Il crocifisso è dei Crocifissi

Ripropongo come contributo al dibattito e alla riflessione - oltre le sterili polemiche - un mio vecchio articolo del 2002 che, mi pare, mantenga tutta la sua attualità dopo la sentenza della Corte Europea.

Un senso di “fastidio”: è il sentimento dominante, che continua ad accompagnarmi, ogni volta che sento o che leggo posizioni pro o contro nell’autunnale grande dibattito… quello sul crocifisso, intendo. Ma è forse lo stesso senso di fastidio che provo ogni volta che si parla dei “valori cattolici” e li si vuole imporre per legge; perché “democrazia”, “pluralismo culturale e sociale”, “libertà di pensiero e di espressione”, non le sento come parole vuote o retoriche.
Tutto è nato da una presa di posizione del Ministro alla pubblica Istruzione Letizia Moratti, che ha auspicato che il crocifisso torni al suo posto, poiché nessuna legge aveva stabilito che fosse tolto. Cosa ha detto il ministro? “Il crocifisso tornerà presto a occupare il suo posto nelle aule delle scuole italiane, perché rappresenta il simbolo della civiltà cristiana, della sua radice storica e universale” e ha ricordato il parere del Consiglio di Stato: “Il Crocifisso o, più comunemente, la Croce, a parte il significato per i credenti, rappresenta il simbolo della civiltà e della cultura cristiana, nella sua radice storica, come valore universale, indipendentemente da specifica confessione religiosa”.
Qualcuno è subito intervenuto a favore di questa presa di posizione, argomentando che “c'è da chiedersi perché molti temono che il crocifisso torni al suo posto. Non si tratta di accendere la miccia di una guerra di religione, né di affermare una supremazia della cultura cattolica sulle altre. Si tratta di affermare che questa cultura c'è, che non si può pensare al futuro, ad un'integrazione di culture diverse, senza conoscere la propria storia e soprattutto senza amarla. Non si sa chi abbia impartito l'ordine, sta di fatto che in molte scuole il crocifisso è sparito dalla parete sulla quale era appeso, in alcuni casi è sparita anche la foto del Capo dello Stato.
I due simboli se ne stavano buoni ad assistere alle lezioni, appesi con un chiodo sopra alla lavagna, non avevano mai turbato la crescita degli alunni, né offeso i ragazzi di altre religioni.
Non si trattava di simboli di una supremazia, rappresentavano la storia a cui apparteniamo”. Non mi sento di condividere buona parte di queste affermazioni, soprattutto quell’accostamento tra il Cristo in croce e il Presidente Ciampi; avverto una certa disparità nella simbologia e un forte richiamo ad accostamenti superati dalla storia, oltre che dalla teologia del Vaticano II e, in particolare, dalla sua Dichiarazione sulla libertà religiosa.
Mi sembra invece condivisibile la forte presa di posizione dei Missionari Saveriani che in un loro documento scrivono: “Non possiamo esimerci dal manifestare la nostra contrarietà ad una proposta che intende ridurre il simbolo religioso cristiano per eccellenza ad un mero “simbolo della civiltà e della cultura” dell’Italia e dell’Europa. La croce, lo ricorda San Paolo, è “scandalo per i Giudei e stoltezza per i gentili” (1 Cor 1,23), ma è simbolo di salvezza per tutti i credenti che la venerano nei luoghi di culto riconoscendo in essa la manifestazione dell’amore divino. Volerla presentare nei termini di “simbolo culturale” del continente europeo, significa riesumare la logica di quell’antica e tragica commistione tra potere e croce che ha segnato il periodo del colonialismo europeo ai danni degli altri popoli” - e molto ci sarebbe da dire sul nuovo colonialismo in atto -. “Non si vuole con questo sostenere che il rispetto dell’altro, della sua diversa cultura e religione, implichi il disconoscimento o la sospensione della propria. Si intende invece ricordare che la proposizione della propria identità religiosa e culturale non deve mai essere raggiunta a scapito di una miglior convivenza tra culture e fedi diverse e che anzi ciascuna identità va promossa nel pieno rispetto di tutte per il bene comune. Riteniamo perciò urgente intensificare l’impegno per un’educazione interculturale”.
Mi pare che quella del crocifisso sia una di quelle questioni inventate di proposito per far male e provocare lacerazioni profonde in seno alle chiese cristiane e nella società italiana. Lo scopo è quello di strumentalizzare sentimenti e simboli che sono molto lontani da ciò che i partiti sostenitori della campagna sul crocifisso praticano quotidianamente nelle loro azioni di governo. Che dire del fatto che sia la Lega a chiedere di segnalare (denunciare?) i nomi di tutti coloro che dovrebbero provvedere ad esporre il crocifisso (presidi, sindaci, personale sanitario, giudici…)? Proprio chi è propugnatore di leggi in radice anticristiane, come la legge sull’immi¬gra¬zione (sì, la Bossi-Fini); proprio coloro che, rappresentando il potere pubblico, anziché cercare il bene comune e in speciale modo quello dei deboli e degli ultimi preferiscono tutelare e proteggere gli interessi dei forti e potenti. Qualcuno - non ricordo chi - ha scritto recentemente: “Il crocifisso appartiene ai nuovi crocifissi, É loro, perché lui ha scelto di stare con loro. É nascosto tra le donne di Kabul; o tra i bambini schiavi del sesso in tante parti dove si celebra il turismo sessuale per gli annoiati dei paesi opulenti; o nei campi profughi abitati da chi ha dovuto abbandonare tutto per cercare di salvarsi almeno la vita. É in Armenia, in Kurdistan, in Iraq a subire l'embargo. É sulle carrette piene di disperati che solcano il mediterraneo per cercare in Europa un po' di speranza. É morto, in fondo al mare, con quelli che il mare si è portato via nella loro ricerca di un luogo dove poter vivere dignitosamente”. Mettiamo pure dovunque il Crocifisso, a condizione che chi lo espone voglia, con quel gesto, accettare di incontrarlo e di onorarlo nella persona dei tanti che ogni giorno sono costretti a salire sullo stesso Golgota.
Non sentirò più il fastidio di questi dibattiti, quando vedrò anche molti dei nostri bravi cattolici praticanti non più assenti, non più indifferenti, quando non addirittura d'accordo con frasi, con scelte, con leggi, con comportamenti che riducono il crocifisso a un oggetto. Quando la preoccupazione dominante è quella della tutela del proprio benessere, ponendo le cose prima delle persone, rubiamo il Crocifisso ai crocifissi, rischiamo di trasformare in idolo anche quello che si trova in chiesa. Come richiama il Vescovo nell’ultima lettera pastorale, “quello che siamo grida più forte di quello che diciamo”: diamo onore al Crocifisso con scelte che davvero dimostrino che abbiamo imparato la sua Lezione, non con l’appello a leggi e circolari. dwf