Da ragazzino facevo il chierichetto; servivo la messa e numerose altre celebrazioni liturgiche. Il mestiere era praticato, almeno al mio paese, da circa l’ottanta per cento della popolazione maschile della mia età, le ragazze erano rigidamente escluse. Non erano però esclusi neppure i figli (maschi, s’intende) di coloro che per effetto del decreto del S.Ufficio del 1949 sui comunisti, non avrebbero potuto ricevere i sacramenti, ma che in pratica, raramente venivano privati della comunione dai loro parroci; ed il mio parroco era, sullo specifico, di manica larga, né mi risulta che sia incorso nelle sanzioni canoniche che oggi, in alcune diocesi, abbondano.
Il risultato era inevitabile: eravamo una bella schiera, sempre pronti a truffare le ostie disposte per la consacrazione ed a mangiarne in gran quantità, annaffiandole con un gustoso moscato che avrebbe dovuto servire per la messa: il sacrestano aveva un bel da fare ad aggiungere vino nelle ampolline (si chiamano così le minute bottigliette che lo contengono), all’ora della messa il vino non c’era mai e noi ci presentavamo al “servizio” con un punta di spensierata allegria.
Ora è ben noto: l’anzianità fa grado e quando un mio cugino ed io, dalle elementari siamo passati a frequentare le medie (allora non certo obbligatorie: eravamo nel 1951), abbiamo preteso la leadership del gruppo. Non ci fu contestata, ma i patti comportavano che a maggior autorità corrispondesse maggiore impegno; così i servizi più gravosi gravavano su noi due.
Avvenne che, in corrispondenza con l’anno giubilare (celebrato a Roma nel 1950 e ripetuto nelle parrocchie nel 1951), fu organizzata una missione parrocchiale con la presenza di cinque frati cappuccini. Tra le altre iniziative era prevista una messa per le 6 (le sei del mattino!), per le ragazze dai diciotto ai trent’anni, fidanzate, giovani spose o in attesa (non so quanto preoccupata) del principe azzurro. Ovviamente il parroco, per il servizio, si rivolse a me ed a mio cugino: chi sta sopra lo stia per servire!
Dieci minuti prima dell’ora stabilita, mentre vestivamo la talare con la cotta di rigorosa ordinanza, assistemmo ad una vivace polemica tra il parroco ed il frate che doveva celebrare la messa e fare la predica alle fanciulle che già affollavano la chiesa, ciondolando per il sonno. Il problema nasceva dal fatto che il cappuccino non voleva ammettere la nostra presenza, mentre il parroco gli faceva osservare che difficilmente avremmo potuto servire messa, senza rimanere in chiesa. Alla fine il compromesso: saremmo rimasti, ma durante la predica saremmo dovuti uscire, avrebbe poi provveduto il parroco a richiamarci al momento opportuno. Noi, che non avevamo mai ascoltato una predica, fummo presi da un’insolita curiosità: perché non potevamo ascoltare?quale segreto era da custodire nelle parole che il buon frate avrebbe rivolto alle ragazze?
Va detto che accanto e a fianco dell’altare, era posta una nicchia che conteneva una statua della madonna assunta in cielo; nicchia di buone proporzioni con una cupoletta, la cui parte concava era interna alla chiesa, ma quella convessa andava a modificare, sopra la soffitta, il pavimento della sede dell’oratorio di Azione cattolica, in allora anche sede della D.C. (democrazia cristiana, alla faccia della laicità della politica). Sulla curvatura convessa avevamo, da tempo, notato una grata (forse uno sfiatatoio?) dalla quale si sentiva benissimo, meglio che non avvenisse in chiesa, ciò che si diceva all’altare e noi ne approfittavamo: quando veniva l’ora di correre al servizio di chierichetto (dalla grata controllavamo), mollavamo il biliardo o altri simili diporti e correvamo al nostro dovere, pena qualche rimbrotto, peraltro sempre bonario del parroco.
Quella volta però la grata servì a ben diverso scopo; poteva essere usata, in contemporanea, da tre persone e noi eravamo in due. Non ci perdemmo una parola di una predica da manuale. Con voce stentorea, inflessioni urlate, ben intenzionate ad incutere spavento, il predicatore continuò, per più di mezz’ora a richiamare l’importanza della purezza, della verginità prematrimoniale, ma anche della castità sponsale (disse proprio così: non capivamo, ma mandavamo a mente senza problemi): stessero le giovani virtuose sempre lontane da ogni tentazione ed anche (e soprattutto) le fidanzate non permettessero mai confidenze ed intimità di qualunque tipo da parte dei loro amici maschi, sicuramente sempre pronti all’attacco. I risultati dell’improvvida eventuale accondiscendenza, oltre ad indurre malattia e disonore, avrebbero condotto di sicuro, alle fiamme infernali.
Terminata la predica, non ci fu bisogno che il parroco ci richiamasse; ci catapultammo in chiesa un po’ storditi ed un po’ curiosi. Dalla grata non potevamo vedere le fanciulle oggetto della reprimenda; appena entrati osservammo una scena curiosissima: le giovincelle, prima addormentate si scambiavano sguardi di malizia, occhiate divertite, sorrisi di chiara allusione. Sentimmo anche il parroco che diceva al suo vicario (si diceva vice/parroco): se prima non ci pensavano neppure adesso lo faranno. Non capimmo e continuammo a servire messa.
Alla fine, come al solito, quando affrontavamo un turno tanto scomodo, andammo in canonica, invitati per la colazione, mentre il parroco stava battibeccando (ma non sentimmo cosa si dicevano) col santo frate. Poco dopo, mentre la perpetua, una compita signora che di nome faceva Domitilla, ci versava latte e cioccolato, il parroco con la sua solita espressione burbera ci redarguì: avete ascoltato bene tutto? Funziona la sfiatatoio? Incassammo e continuammo a consumare la nostra insolita, quanto ricca colazione.
A me però è sempre rimasto impresso il giudizio del mio parroco di allora: se prima non ci pensavano nemmeno, ora lo faranno. Ed ora che capisco (?!) un pochettino di più, la condivido pienamente: la condivido quando ascolto le ripetute condanne della chiesa, i suoi ripetuti rifiuti di aprire le sue porte alla fragilità dell’uomo, le sue esclusioni tanto ribadite quanto inefficaci.
Mi ha colpito ad esempio che un vescovo ritenga di dover rendere pubblica l’esclusione di un Kennedy dall’eucarestia, per la sua politica in tema di aborto. Mi chiedo: è proprio necessario? Siamo tutti convinti che l’aborto non può essere ammesso, che i cattolici impegnati in politica debbono fare il possibile (la politica non può fare di più) perché il fenomeno venga contenuto, perché la vita sia difesa in ogni caso; lo sappiamo bene! Bisogna proprio ripeterlo, con l’espressione della condanna e col rischio di riaprire dei fronti di scontro politico dai dubbi risultati, in presenza di opinioni prevalentemente laiciste tanto a destra, quanto a sinistra? E non vogliamo proprio affidare il difficile compito della mediazione possibile ai laici, perché possano puntare al massimo di bene rispetto ad un valore che conoscono benissimo ed in cui credono?
Benedetta autonomia dei laici! Araba fenice: che ci sia ognun lo dice, dove stia nessun lo sa!
Agostino Pietrasanta
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