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"La coscienza del cristiano è impegnata a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo" ____________________________________________________________________________________________________________________

giovedì 30 aprile 2009

Com'è difficile dialogare (E.Bianchi)


Quanto sono d'accordo e quanto condivido l'esperienza di Enzo Bianchi... nel mio piccolo, ovviamente! da Famiglia cristiana, 19 aprile 2009

Da anni vado ripetendo che con la fine della cristianità e lo sviluppo di una società civile sempre più consapevole della propria laicità e della molteplicità di culture e religioni che si incontrano e intrecciano nel quotidiano, la capacità di dialogo e di ascolto reciproco diventano condizioni indispensabili non solo per una crescita in umanità ma, in prospettiva, per la stessa sopravvivenza di una convivenza civile degna di tale nome. Ma accanto a questa convinzione se ne riafferma in me anche un’altra: nonostante i numerosi sforzi che da più parti si compiono in questo senso, restiamo ancora “all’età della pietra” per quello che concerne il dialogo, tuttora balbettanti nel definire e soprattutto nell’assumere una autentica “deontologia del dialogo”.
Ne ho avuto un’amara conferma nei giorni scorsi quando il mio ultimo libro, Per un’etica condivisa, è stato fin troppo benevolmente recensito dal “laico” Corrado Augias su queste pagine. Man mano che procedevo nella lettura, mentre riconoscevo le mie affermazioni – sempre correttamente virgolettate – le vedevo interpolate con considerazioni a me estranee e con precisazioni che ne snaturavano le intenzioni. Augias, gli va dato atto, non mi attribuiva frasi da me mai scritte, ma le sue chiose, quasi sempre laudative, allontanavano il lettore dall’humus in cui le mie affermazioni erano nate e ne facevano un’applicazione a soggetti ecclesiastici secondo i suoi giudizi e non secondo le mie intenzioni, intenzioni che una lettura maggiormente disposta all’ascolto non frammentario o preconcetto avrebbe potuto cogliere facilmente.
“Guàrdati dal criticare meschinamente e con amarezza, senza amore, la chiesa ... Nella chiesa non amare un’astrazione o una visione troppo personale, ma la comunità vivente in cui Dio attende il tuo impegno e il tuo ministero. Se devi criticare, fallo senza ferire le persone, con l’audacia evangelica, con la forza della parola di Dio, l’umiltà di chi critica per fare un servizio di purificazione nei confronti di sua madre. Altrimenti è meglio tacere”. Così recita la Regola di Bose, e a questi principi ho sempre cercato di attenermi nel mio prendere la parola in pubblico, a voce o per iscritto.
D’altronde è questo un tipo di disagio per me non nuovo – lo dico con rincrescimento – nel leggere Corrado Augias, uno dei più prolifici interpreti del dialogo tra pensiero laico e mondo cattolico. L’impressione che avevo ricevuto dai suoi due titoli precedenti – Inchiesta su Gesù, con Mauro Pesce, e Inchiesta sul cristianesimo, con Remo Cacitti – si è rinnovata in me alla lettura di Disputa su Dio e dintorni, scritto con Vito Mancuso e in libreria in questi giorni: la sensazione di vedere gli interlocutori liberi di formulare e articolare le proprie tesi, ma sempre incalzati e come invischiati in un intreccio dove i concetti e i preconcetti ostili alla fede cristiana hanno il sopravvento non per una maggiore consistenza oggettiva ma per la costante forzatura di affermazioni e la frequente parzialità con cui molti aspetti del dibattito vengono affrontati. Certo, anche Disputa su Dio e dintorni, come i ravvicinatissimi volumi precedenti, vuole mantenere un tono divulgativo, in cui discussioni sui massimi sistemi si intrecciano ora a riflessioni su fatti registratisi nella storia cristiana, ora su casi scottanti dell’attualità politica e sociale italiana; certo, il linguaggio vuole essere comprensibile al grande pubblico, ma ci si potrebbe comunque aspettare un più accurato rigore storico anche da parte della voce laica. Le caricature – il Dio dei cristiani tratteggiato come “un vecchio con la barba bianca e un triangolo dietro la testa che giudica ogni nostra azione e tenacemente impegnato a dividere i cattivi dai buoni” – e le affermazioni ad effetto sono sempre pericolose, quando non totalmente fuorvianti: come si fa, per esempio, a dire che “in una democrazia non esistono principi non negoziabili”? Come dobbiamo considerare allora la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo?
Quanto a Mancuso, teologo che ama definirsi eterodosso, occorre riconoscere che le domande che pone nei suoi scritti sono urgenti e necessitano una risposta da parte delle teologia cattolica e della chiesa, ma a mio giudizio le risoluzioni che propone Mancuso si collocano nello spazio della gnosi in cui la storia è di per sé storia di salvezza e in cui non c’è da parte di Dio né rivelazione né grazia. È vero che qua e là nella discussione con Augias affiorano alcune affermazioni che correggono la “gnosi” presente nel precedente libro di Mancuso, Sull’anima e il suo destino, ma restano deboli. No, “il regno dei cieli” non è l’equivalente del “regno delle idee” di Platone o del “regno dei fini” di Kant come afferma il nostro teologo.
Il libro appare così una disputa con a volte i toni della chiacchierata tra un cristiano “che ha idee difformi rispetto a certe dottrine stabilite” e un ateo che con eccessiva disinvoltura annovera “tra i misteri della religione cattolica la famosa incongruenza di un Dio che è nello stesso tempo uno e trino” e afferma che “il cristianesimo nel IV secolo cambiò pelle e cessò di essere una fede per diventare una religione”, che legge l’eucarestia cattolica come “un residuo di antropofagia sacra”... Sì, lo dico con molto rispetto ma con tristezza: in un approccio simile c’è veramente poco ascolto dei cristiani e della loro fede.
Queste mie osservazioni non vogliono esprimere ingratitudine verso chi ha cercato e cerca di interloquire su tematiche etiche che stanno a cuore a molti oggi, dentro e fuori la chiesa, ma soltanto testimoniare il rincrescimento per un’altra occasione sfumata di dialogo autentico, in cui l’ascolto in profondità dell’altro resta più importante di qualsiasi riaffermazione delle proprie convinzioni. Sì, dobbiamo ancora percorrere molta strada per imparare a capirci e a farci capire perché non solo usiamo linguaggi a volte sfasati, quasi “non-contemporanei”, ma più spesso ancora travisiamo il “senso” di quanto l’altro dice: non il tanto significato, ma l’origine, la direzione, l’intenzione cui mira, lo scopo del suo pensare e parlare.
Enzo Bianchi

giovedì 16 aprile 2009

Quando la terra trema...

... i topi ballano. Mentre i cinegiornali luce lodano le imprese del messia Silvio che ridona le dentiere alle vecchiette (sue coetanee) e restituisce la cecita' ai vedenti lucrando sul dramma di migliaia di persone, il governo non trova altri fondi da destinare ai terremotati che qualche spicciolo e quelli del 5 per mille, togliendoli per altro proprio a tutte quelle associazioni che in prima persona stanno facendo qualcosa di concreto nelle terre colpite dal sisma: un capolavoro. Cosi' si accusa gli sciacalli sbagliati, da Santoro ai badanti rumeni arrestati per puro pregiudizio razziale, e si chiudono un paio di occhi sulle nuove clamorose leggi "ad aziendam" del messia di Arcore. Massimo Giannini su Repubblica. (da http://beffatotale.blogspot.com)

SEPOLTA dalle tragiche macerie del terremoto d'Abruzzo, un'altra legge ad personam, o per meglio dire ad aziendam, ha incassato silenziosamente il timbro del Parlamento. E' una norma che nasce all'ombra del conflitto d'interessi di Silvio Berlusconi: capo del governo e padrone di un impero mediatico. Tradisce una visione proprietaria del libero mercato: la regola generale al servizio di un'esigenza particolare. Sancisce una posizione gregaria delle autorità indipendenti: il "vigilante", debitamente sollecitato, obbedisce al "vigilato".
Mercoledì scorso il Senato ha approvato in via definitiva il cosiddetto decreto incentivi. Un pacchetto-omnibus nel quale c'è di tutto: dal raddoppio degli incentivi per l'auto ai bonus per gli elettrodomestici. Nel gigantesco garbuglio sono stati infilati un paio di articoli che prevedono "strumenti di difesa del controllo azionario delle società da manovre speculative", e introducono misure volte a prevenire "eventi di scalate ostili in una fase di mercato caratterizzato da corsi azionari molto al di sotto della media degli ultimi anni".
Nobile intenzione. Il legislatore, in piena crisi finanziaria, si preoccupa dei troppi "avvoltoi" stranieri che svolazzano sulla Borsa italiana. Vuole difendere almeno le spoglie dei pochi, grandi "campioni nazionali" rimasti su piazza: Eni ed Enel, Fiat e Telecom, Intesa e Unicredit. Con tre disposizioni specifiche. La prima prevede l'innalzamento dal 10 al 20% della quota di azioni proprie che ogni società può acquistare e detenere in portafoglio. La seconda prevede l'incremento fino al 5% annuo delle partecipazioni consentite a chi già possiede tra il 30 e il 50% di una Spa. La terza introduce la possibilità per la Consob di ridurre dal 2 all'1% la soglia valida ai fini dell'obbligo di comunicare alla Vigilanza l'avvenuto acquisto di un pacchetto azionario.
Non c'è male, per un governo che si professa liberale, anche se non più liberista. E nemmeno per un centrodestra che, fregandosene allegramente della cultura dell'Opa e della contendibilità delle aziende, ha già rimesso pesantemente in discussione la passivity rule, cioè quel complesso di regole volte a limitare le iniziative di contrasto consentite a una società su cui pende un'Offerta pubblica d'acquisto. In tempi di ferro, come dice Tremonti, ci si difende con tutti i mezzi. Ma il problema, nel caso di specie, non è solo questo: dietro la nuova crociata per salvare "l'italianità" si nasconde un interesse di bottega, molto più spicciolo: difendere Mediaset. Vediamo perché.
I titoli del Biscione, come la maggior parte del listino, soffrono da mesi e mesi un crollo verticale di valore. Al 31 dicembre 2007 un'azione Mediaset valeva 9,3 euro. Un anno dopo, a fine 2008, ne valeva 3,9. Attualmente staziona intorno ai 3,5 euro, con una capitalizzazione di circa 4,2 miliardi. Poco più di un terzo di due anni fa. Già a luglio dell'anno scorso Piersilvio Berlusconi denunciava: "Dall'inizio dell'anno abbiamo subito una perdita di valore del 41%". Anche il Cavaliere, ovviamente, è preoccupato.
L'8 ottobre 2008, in un'ormai leggendaria conferenza stampa, arringa le masse: "Abbiate fiducia, comprate azioni Eni, Enel e Mediaset". Nulla cambia, com'è ovvio, e un mese dopo il premier incurante delle polemiche insiste: "Le azioni di una società non possono mai valere meno di 20 volte gli utili prodotti". Tecnicamente non ha tutti i torti. Politicamente la sua posizione è indifendibile. Ma queste, per un "uomo del fare", sono questioni da legulei bizantini. Così, di fronte al progressivo tracollo della Borsa che nessuno riesce a fermare, il presidente del Consiglio e il suo inner circle usano tutte le armi a disposizione.
All'inizio del 2009 scattano i primi contatti riservati tra Gianni Letta e Lamberto Cardia, presidente della Consob. Il tema è: cosa si può fare per sostenere i corsi azionari e per evitare che qualche raider si faccia venire idee strane? In meno di un mese scatta una manovra di geometrica potenza. Ai primi di marzo, secondo un'indiscrezione raccolta a Piazza Affari, da Mediaset arriva agli uffici Consob una richiesta di parere sui limiti all'acquisto di azioni proprie. Il 12 marzo, in un'intervista al settimanale di famiglia, Panorama, Cardia fa il primo passo: "Serve una spinta in più per ritrovare la fiducia e ridare fiato alla Borsa - dice il presidente della Consob - il governo ha già fatto molto, però nella situazione attuale si può andare oltre... Si potrebbe, per un periodo prefissato e in tempi di crisi, dare la facoltà alle società quotate di comprare azioni proprie non più fino al 10 ma fino al 20%. Questo potrebbe servire a contrastare la volatilità e a rafforzare la presa sul capitale. Naturalmente tutte queste scelte spettano alla politica, governo e Parlamento. I miei sono solo contributi di pensiero".
Ben detto. Ma questo "contributo di pensiero" è esattamente il segnale che aspettano in casa Berlusconi. Nel giro di una settimana succedono due cose, per niente casuali. Il 17 marzo il cda Mediaset approva il bilancio 2008 ed esamina i primi tre mesi del 2009, che riflettono la crisi, tra una caduta del 12% dei ricavi pubblicitari a gennaio e un taglio dei dividendi, per la prima volta dopo sette anni, da 0,43 a 0,38 euro per azione. Nel comunicato finale, il Biscione comincia a mettere fieno in cascina e precisa che alla prossima assemblea sarà proposta la facoltà di "acquisire fino a un massimo di 118.122.756 azioni proprie, pari al 10% dell'attuale capitale sociale, in una o più volte, fino all'approvazione del bilancio 2009". Il 18 marzo due parlamentari del Pdl, Marco Milanese ed Enzo Raisi, presentano un emendamento al decreto incentivi, che prevede esattamente l'innalzamento dal 10 al 20% della quota di azioni proprie acquistabili da una singola azienda, l'incremento dei tetti per la cosiddetta Opa totalitaria e la riduzione dal 2 all'1% della soglia al di sopra della quale scatta l'obbligo di comunicazione. Ecco la norma ad aziendam.
Il blitzkrieg è scattato. Ha solo bisogno di una cornice presentabile sul piano etico e sostenibile sul piano politico. Alla prima esigenza provvede ancora Cardia, che il 19 marzo, in una prolusione alla Scuola Ufficiali carabinieri di Roma, chiude il cerchio: "E' di ieri la notizia della presentazione di un emendamento al decreto incentivi all'esame della Camera, che accoglie alcune proposte formulate dal presidente della Consob a titolo personale per sostenere le società quotate in un momento nel quale la grave depressione delle quotazioni potrebbe facilitare manovre speculative o ostili. Chi lavora in istituzioni pubbliche deve essere orgoglioso di lavorare al servizio della collettività...".
Alla seconda esigenza provvede lo stesso Berlusconi: il 31 marzo, in una dichiarazione a Radiocor, afferma pubblicamente che il governo punta ad aumentare il tetto per il possesso delle azioni proprie delle società quotate. E dichiara con assoluto candore di averne "parlato con il presidente della Consob", che si è detto "d'accordo su questa direzione". Nessuno lo nota, neanche i giornali specializzati. Ma è la smoking gun dell'ennesimo caso di conflitto di interessi.
Il resto è cronaca di questi ultimi giorni, con il Parlamento che approva definitivamente la norma ad aziendam. Nel silenzio assordante dei benpensanti. Si segnala una sola eccezione. Salvatore Bragantini, ex commissario Consob, in un commento nelle pagine interne del Corriere della Sera del 3 aprile scorso, critica giustamente il "decreto protezionista" corretto dagli emendamenti del Pdl, e si chiede: "Sarebbe interessante capire quale società potrà essere la vittima destinataria delle proposte". Ora lo sappiamo. Come temevamo, è la società del capo del governo.

Continua la litania degli sciacalli

Sempre Tonio Dell'Olio http://www.peacelink.it/mosaico/a/29239.html

È da sciacalli consegnare un bene pubblico come l’acqua ai privati. In attesa di farci pagare anche l’aria che respiriamo, mettono un prezzo a un bene primario e comune. È un’entrata sicura perché la sete accompagna la nostra vita dalla culla all’agonia.
Sciacalle sono le aziende farmaceutiche che investono nella ricerca per la cura delle malattie dei ricchi che possono pagare e non di quelle che affliggono le folle sterminate della popolazione nei meridiani del sud del pianeta o dei poveri del nord.
Sciacallo chi soffia sul fuoco dei conflitti per vendere armi.
Sciacallo chi condiziona e controlla la coscienza delle persone, imponendo macigni di regole e sensi di colpa e motivandoli con nobilissimi principi, dogmi religiosi, parole scritte sulla pietra e non nella vita.
Sciacalli di verità quelli che costruiscono falsi bisogni per farti spendere più soldi.
Sciacallaggio elettorale riempire di paura i teleschermi e i giornali per presentarsi come paladini della sicurezza in grado di allontanare, punire, controllare lavavetri, nomadi e barboni baciando le mani a vossia che porta voti e abita a meno di cento passi dalla sezione del partito.

martedì 14 aprile 2009

Il “piano guerra” del governo Berlusconi: al varo il più costoso progetto di riarmo mai realizzato.

Riprendo da ADISTA. E poi chiedono la solidarietà degli italiani per raccogliere fondi per la ricostruzione dell'Abruzzo o per sostenere le famiglie colpite dalla crisi finanziaria ed economica! Se a questo aggiungiamo le cifre enormi già stanziate per il monumento che il premier vuole costruire a se stesso - con l'apporto della mafia - sullo Stretto di Messina... Non ci sto!

È il più grande progetto di riarmo mai realizzato nel nostro Paese quello che il Parlamento ha iniziato a discutere lo scorso 25 marzo: 15 miliardi di euro per l’acquisto di 131 cacciabombardieri Joint strike fighter (Jsf). Ma forse parlare di “discussione” è eccessivo dal momento che il governo ha chiesto solo un parere alle commissioni Difesa di Camera e Senato - saldamente controllate dalla maggioranza di centro-destra sia per la forza dei numeri che per la debolezza dell’opposizione di centro-sinistra, assai poco combattiva su questo tema -, dopodiché potrà passare alla fase finale, che segue una lunga fase di sviluppo iniziata nel 1999 e già costata oltre un miliardo: l’acquisizione degli aerei (poco meno di 13 miliardi) e la realizzazione nell’aeroporto militare di Cameri (No) - dove fra l’altro è attivo da anni un movimento contro la base, che coinvolge anche la Chiesa locale, la rete Disarmiamoli (v. Adista n. 13/07) - di una linea di assemblaggio finale e di verifica destinata successivamente a trasformarsi in un centro di manutenzione, revisione, riparazione e modifica dei velivoli (605 milioni).
“Il progetto è faraonico”, spiegano Giulio Marcon e Massimo Paolicelli, della campagna Sbilanciamoci. Il cacciabombardiere Jsf - una coproduzione che coinvolge l’Italia insieme a Usa, Regno Unito, Paesi Bassi, Turchia, Canada, Australia, Norvegia e Danimarca - è un aereo da combattimento di attacco, attrezzato per poter portare anche bombe nucleari e con una tecnologia che lo rende pressoché invisibile ai radar. Secondo il ministero della Difesa, il programma produrrà 10mila posti di lavoro, “ma è puro marketing”, sostengono Marcon e Paolicelli: al massimo saranno mille, il numero promesso dalla Difesa è “un’autentica invenzione”. Capitolo costi: negli Usa la spesa è già cresciuta dai 245 miliardi di dollari iniziali fino a 270, e sembra destinata a salire ancora; in Olanda la Corte dei Conti ha lanciato l’allarme perché i costi sono lievitati dell’80%; è quindi molto probabile che anche in Italia, alla fine - cioè nel 2026, data prevista per la consegna di tutti gli aerei - i costi saranno molti alti.
Una spesa colossale per un bilancio militare che, fatta eccezione per il piccolo taglio operato da Tremonti nel 2008 (v. Adista n. 77/08), dal 2006 è in costante crescita: oltre 4 miliardi e 500 milioni di euro in più, per un aumento netto del 21%, durante il governo guidato da Prodi nel biennio 2006-2007 (v. Adista nn. 83/06 e 77/07). “Più o meno ogni aereo vale l’equivalente di 400 asili nido o se si preferisce, vista l’attualità, l’indennità di disoccupazione per 80mila precari”, calcolano Marcon e Paolicelli. “È paradossale che si possano stanziare tutti questi soldi per un sistema d’arma che in molti dei Paesi coinvolti viene valutato troppo costoso e molto discutibile dal punto di vista operativo, oltre che incoerente con le missioni di pace, mentre il governo non riesce a trovare le risorse necessarie per potenziare gli ammortizzatori sociali per chi perde il posto di lavoro”. E in parte anche un doppione, dal momento che l’Italia partecipa anche ad un altro programma internazionale di riarmo, per il caccia europeo Eurofighter, che non a caso il governo sta cercando di ridurre rispetto all’accordo iniziale che prevede l’acquisto di 121 esemplari.
Contro il progetto si sta muovendo l’associazionismo sociale e pacifista. La campagna Sbilanciamoci - a cui aderiscono fra gli altri Arci, Beati i Costruttori di Pace, Coordinamento nazionale comunità di accoglienza, Mani Tese, Pax Christi - ha infatti lanciato un appello contro il Jsf e per un diverso utilizzo delle risorse: quella del governo è “una decisione irresponsabile”, si legge nell’appello. “In un momento di grave crisi economica in cui non si riescono a trovare risorse per gli ammortizzatori sociali per i disoccupati e vengono tagliati i finanziamenti pubblici alla scuola, all'università e alle politiche sociali, destinare 14 miliardi di euro alla costruzione di 131 cacciabombardieri è una scelta sbagliata e incompatibile con la situazione sociale del Paese”. “Il parlamento faccia una scelta di pace e di solidarietà; blocchi la prosecuzione del programma. Destini le risorse alla società, all'ambiente, al lavoro, alla solidarietà internazionale”. (l. k.)

Sciacalli

Visto che si dice che Santoro fa opera di sciacallaggio solo perchè informa dicendo cose scomode, mi pare valga la pena leggere e meditare l'intervento dell'amico Tonio Dell'Olio... http://www.peacelink.it/mosaico/a/29228.html

Nello sciame sismico dell’informazione del dopo-terremoto, non vi sarà sfuggita la notizia dei “4 rumeni” arrestati in flagranza di reato mentre si introducevano furtivamente nelle case semidistrutte per sottrarre beni e valori. Il giorno dopo, con meno enfasi, siamo stati informati che i quattro, processati per direttissima nel tribunale da campo di L’Aquila, sono stati assolti con formula piena perché stavano
frugando sì, ma nelle proprie abitazioni e in quella di un anziano di cui una delle quattro è badante: cercavano di recuperare ciò che poteva essere utile alla sopravvivenza nella vita in tenda. Tante scuse!
Ma è lecito chiedersi a questo punto quando accadrà che televisioni, radio e giornali ci indicheranno a dito le forme di “sciacallaggio preventivo” compiuto da amministratori distratti o complici, imprese edili e speculatori d’altro genere che hanno costruito case ed edifici pubblici mettendo in pericolo la vita di tante persone per lucrare maggiori guadagni.
Quando indicheranno chi sta speculando sulla sciagura abruzzese per garantirsi visibilità e consenso?
Quando si dirà che sono sciacalli (e stupidi!) anche i giornalisti che pensando di partecipare a un reality, insistentemente andavano chiedendo di notte alla gente che dormiva in macchina: “Perché avete scelto di dormire in auto?”
È sciacallo chiunque trae vantaggio dalla disgrazia altrui, qualunque tipo di vantaggio.
Processiamoli per direttissima almeno nella nostra coscienza.

venerdì 10 aprile 2009

“E provò compassione per loro”. P. Musallam da Gaza scrive al Papa


Sua Santità Papa Benedetto XVI sta per arrivare nella Terra Santa di Palestina per incontrare i cristiani, le “pietre vive” con le quali è stata costruita proprio qui la chiesa di Cristo. Lui, pellegrino cristiano sulle orme di Cristo, verrà accolto da noi cristiani come il “Benedetto” del Signore. (...).
Noi tutti saliremo a Gerusalemme per incontrarlo.
Ma... noi speravamo che sua Santità avesse scelto un altro momento per il suo viaggio in Terra santa visto che Lei sa bene che Gerusalemme, i suoi luoghi santi e la sua gente vivono sotto questa orribile occupazione.
Noi, il popolo della Palestina, cristiani e musulmani insieme, non accettiamo che sua Santità sia costretto ad entrare a Betlemme attraverso lo stretto passaggio nel muro dell’apartheid che circonda “la Città della Pace”, o che debba uscire dalla porta opposta, circondato da armi israeliane.
Non volevamo che i Suoi occhi avessero visto la città di Gerusalemme lacerata dalla guerra, che il Papa fosse costretto a vedere il popolo palestinese crocifisso sul Golgota di Gerusalemme.
Noi desideravamo che Lei avesse potuto piuttosto guardare alla tomba gloriosa dove il Cristo Redentore è risorto.
Noi non volevamo che il suo cuore udisse i lamenti del popolo palestinese schiacciato dall'occupazione o che Lei sentisse gli effetti di questa distruzione che come un terremoto frantuma i muri dei nostri luoghi sacri e delle nostre vite. Volevamo invece che Lei potesse sentire tutta la gioia che la Resurrezione, come un terremoto di vita, fa nascere nei cuori dei cristiani palestinesi.
Noi cristiani palestinesi, figli dei testimoni della Resurrezione, Le confermiamo che se Cristo è risorto anche il nostro popolo risorgerà!
Noi vogliamo che Sua Santità ci possa incontrare a Gerusalemme, radunati intorno al nostro amato Patriarca Fouad Twal, e se questo non sarà possibile rifiuteremo ogni altra soluzione. Perchè non possiamo accettare che le porte di Gerusalemme siano chiuse davanti a noi e che noi siamo costretti ad andare a Betlemme per incontrarLa. Tutti i palestinesi sono nati a Gerusalemme e nessuno ci può portar via i nostri certificati di nascita. Non accetteremo di incontrarLa in alcun altro posto che a Gerusalemme, nella Chiesa del Santo Sepolcro, lungo la Via Crucis e sulla spianata della Moschea di Al-Aqsa, con tutto il nostro popolo, noi insieme con i musulmani.
A Gerusalemme Le consegneremo un ramo d’ulivo appena colto da uno dei nostri alberi, così che Lei possa credere con noi che, nonostante tanti lo dubitino, la pace arriverà in Medio Oriente, quando sarà tolta l'occupazione e sarà riportata Gerusalemme alla pace e la pace a Gerusalemme. (…)
Sua santità, Lei ci porterà la Parola che ci ha condotto durante la Quaresima: “E' questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene dei prigionieri, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo!”(Isaia 58).
Ma noi siamo stati esposti a una dura oppressione e siamo sotto occupazione da sessant'anni.
E noi, a Gaza, siamo stati schiacciati da una guerra barbarica. A Gaza si sono realizzate le parole del salmo: “Tutto il giorno mi insultano i miei nemici, furenti imprecano contro di me. Di cenere mi nutro come di pane, alla mia bevanda mescolo il pianto” (Sal 102)
Chi altro se non Lei, potrà gridare davanti a questa ingiustizia dicendo come Mosè: “O Dio libera il mio popolo”! Noi continueremo da figli ad impegnarci nella speranza che la pace di Cristo arrivi presto nella terra di Cristo.
E se il mondo, Sua Santità, avesse paura per la sua sicurezza tra la gente Gaza, e Le impedirà di venire e pregare con noi, noi La rassicuriamo che i cuori dei palestinesi sono pacifici, quieti e sicuri in mezzo alla gente mussulmana di Gaza. Noi abbiamo gli stessi diritti e gli stessi doveri, noi tutti siamo il popolo della Terra Santa della Palestina. Noi ci amiamo e rispettiamo reciprocamente e lavoreremo insieme per liberare la nostra terra.
Si, “Lei sia commosso dalla pietà” per noi, così come lo fu Gesù e venga da noi e prenda dimora nei nostri cuori.
Suo figlio in Cristo
Padre Manuel Musallam
Gaza, 1 Aprile 2009

giovedì 9 aprile 2009

Buona Pasqua a chi non ha chi l’ami


Buona Pasqua ai visitatori.
Due volte buona Pasqua a chi vive un dolore, un tradimento, a chi sente che gli sfuggono le forze o la memoria.
A ognuno che pena nella vita, a chi ha paura della morte e dunque – io penso – a tutti.
A chi ha smarrito il Vangelo, a chi non ha chi l’ami.
Cristo che torna alla vita porti vita nuova alla famiglia umana.
Torni a manifestarsi alla nostra incredulità.
Rifaccia credibile l’avventura cristiana sulla terra, come lo fu quel mattino di Pasqua.


«A dire il vero, noi non siamo molto abituati a legare il termine “pace” a concetti dinamici. Raramente sentiamo dire: “quell’uomo si affatica in pace” o “lotta in pace”. Più consuete nel nostro linguaggio sono invece le espressioni: “Sta seduto in pace” o “sta leggendo in pace”… La pace, insomma ci richiama più la vestaglia da camera che lo zaino del viandante. Più il conforto del salotto che i pericoli della strada. Più la tranquillità del caminetto che l’officina brulicante di problemi. Più la penombra raccolta di una chiesa che i rumori delle città. La pace richiede lotta, sofferenza, tenacia, rifiuta la tentazione del godimento. Non ha molto da spartire con la banale “vita pacificata”. La pace, prima che traguardo, è cammino, cammino in salita. Vuol dire che ha le sue tabelle di marcia e i suoi ritmi. I suoi rallentamenti e le sue accelerazioni. Forse anche le sue soste. Se è così occorrono attese pazienti. E sarà beato, perché operatore di pace, non chi pretende di trovarsi all’arrivo senza essere mai partito, ma chi parte». don Tonino Bello

venerdì 3 aprile 2009

Silvio? "Il giullare del gruppo": parola di Telegraph

da www.lastampa.it del 3 aprile 2009
Ma che vergogna essere rappresentati all'estero da uno così! Ancora più vergognoso il servilismo dei "giornalisti" del TG2 che si sono sforzati di presentare le volgari performance del premier come momenti alti della sua strategia dell'amicizia, così produttiva nei rapporti internazionali... Che vergogna, anche per il giornalismo italiano


Della stampa italiana, vocata a fraintenderlo sappiamo già. Ancora non si sapeva che al complotto avesse aderito The Telegraph, il compassato quotidiano inglese feudo dell'Inghilterra tradizionalista (non solo è tra i pochi a uscire nell'edizione cartacea in formato ampio, "broadsheet" snobbando l'ormai dominante versione tabloid, ma secondo un sondaggio almeno il 61% dei suoi lettori vota per il partito conservatore). Invece ecco un articolo nel dossoer dedicato al G20 che va giù duro sull'eterno tema del Berlusconi gaffeur. Fin dal titolo: «Battute sessiste, doppi sensi e scherzi da liceale». «Berlusconi - specifica il catenaccio - si vanta della sua abilità nel mettersi in sintonia con le persone comuni. ma si è costruito una reputazione legata ad una serie di gaffe sulla scena internazionale».
Che il corrispondente da Roma del quotidiano, Nick Squires, ricorda meticolosamente, definendoli comportamenti «che ci si potrebbe aspettare da un animatore su una nave da crociera, come lui è una volta è stato, piuttosto che da un leader nazionale».
Una vocazione irresistibile,che potrebbe metterlo di nuovo nei pasticci al G20, secondo Squires, dati i precedenti. E qualche avvisaglia già c'è stata. L'elenco proposto dal Telegraph è lungo e celebre, dalla battuta su Obama «bello e abbronzato» , a cui la settimana scorsa Berlusconi ha dato un seguito spiegando che la sua politica è più cauta di quella del presidente americano perché lui è «più pallido», alla celebre conferenza stampa di febbraio in cui è stato accusato di aver detto al presidente francese Nicolas Sarkozy di avergli «dato» la sua moglie italiana, Carla Bruni (frase contestata, com'è noto da Palazzo Chigi) fino all'invito a una disocccupata a risolvere il suo problema sposando il figlio, essendo purtroppo lui già ammogliato.
E poi il Berlusconi galante, che invoca soldati soldati da dispiegare in tutte le città italiane per proteggere le «belle ragazze» dal pericolo di stupri, che corteggia la presidente finlandese Tarja Halonen e che consiglia agli americani di investire in Italia perché le segretarie sono belle.
Il quotidiano conclude affermando che Berlusconi «si conforma al cliché sugli italiani» e «rimane, piuttosto letteralmente, il giullare del gruppo». Joker in the pack, in inglese, con riferimento al jolly del mazzo di carte.
Quello del Telegraph è il secondo attacco della stampa britannica contro Berlusconi in pochi giorni: lunedì il progressista Guardian se l’era presa con le origini «fasciste» del Pdl, pur riconoscendo l’evoluzione moderata del leader di An Gianfranco Fini. Stavolta il bersaglio è il premier. Tutta colpa della "perfida Albione" e dei suoi eterni pregiudizi?

giovedì 2 aprile 2009

Un'altra idea di Politica

Debora Serracchiani, imparate bene questo nome, perchè di lei ne sentiremo parlare ancora a lungo. Questa ragazza di 38 anni, che ne dimostra molti di meno, è infatti salita sul palco durante l’assemblea nazionale dei circoli del Partito Democratico ed ha tenuto un discorso di 12 minuti che ha lasciato tutti a bocca aperta. Il video su Youtube è uno dei più cliccati.