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"La coscienza del cristiano è impegnata a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo" ____________________________________________________________________________________________________________________

martedì 24 febbraio 2009

Flavio Lotti: i palestinesi non hanno bisogno di soldi ma di libertà.

Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace replica alle dichiarazioni del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che nel corso della conferenza stampa di ieri con il premier inglese Gordon Borwn ha presentato le sue "idee" per fare pace in Medio Oriente.

Ecco cosa ha detto ieri Berlusconi: "Continueremo ad operare nella direzione di favorire la conciliazione all'interno della comunità palestinese, per dare il via a rinnovate negoziazioni per il processo di pace, avendo ben chiaro che anche l'Occidente deve fare la sua parte, presentando ai palestinesi un piano che abbiamo voluto chiamare "Piano Marshall" per la Palestina. Siamo entrati nei dettagli su cosa fare concretamente per favorire il progresso economico della Cisgiordania, con la costruzione di un aeroporto, con l'installazione di strutture alberghiere, con contratti con le compagnie low cost affinché il grande numero di possibili turisti cattolici che da tempo aspettano di visitare i luoghi sacri e soprattutto Betlemme possano, una volta stabilizzata la situazione, una volta trovata la pace, possano portare il loro contributo ad una crescita del benessere della Palestina che noi riteniamo essenziale, non solo perché si possano formare i due stati, ma affinché uno stato, uno stato palestinese, non si trovi in condizioni inaccettabili, con un divario tra il benessere israeliano e la sua povertà troppo elevato. Su tutti questi temi abbiamo trovato le stesse opinioni e questo ci conforta nel continuare ad assumerci la responsabilità del G20, per quanto riguarda il signor Gordon Brown, e per quanto riguarda il G8, personalmente, Silvio Berlusconi".
Sdegnata la reazione di Flavio Lotti: "Ma di quali voli low cost per i turisti cattolici sta parlando Berlusconi? Ma di che sta parlando? Quale aeroporto, quali alberghi, quale piano Marshall?
I territori palestinesi, Betlemme e Gerusalemme incluse, sono già pieni di alberghi che potrebbero ospitare migliaia di turisti e pellegrini ma che sono spesso chiusi a causa dell'occupazione militare, del muro e dei posti di blocco che strangolano l'economia palestinese.
Persino gli aeroporti non mancano in Palestina. Quello di Gerusalemme è occupato dagli israeliani sin dal 1967. Quello di Gaza, costruito con i fondi dell'Unione Europea, è stato distrutto nel corso dell'ultimo attacco israeliano su Gaza.
Cosa intende dire Berlusconi quando dice queste cose? Forse Berlusconi sta pensando di pagare con i nostri soldi i costi dell'occupazione israeliana?
Altro che piano Marshall. I palestinesi non hanno bisogno di soldi ma di libertà e pace. Ben altre sono dunque le cose che deve fare l'Italia liberare gli israeliani e i palestinesi dalla morsa della guerra. Ecco 10 azioni concrete in grado di cambiare realmente le cose.
1. Spiegare a Israele che è folle (e illegale) continuare a punire collettivamente un milione e mezzo di persone e che deve far entrare nella Striscia i beni necessari per dare a quella gente la possibilità di avere una vita dignitosa;
2. portare soccorso alle famiglie di Gaza sopravvissute all'ultima battaglia (affermare, come fa il governo italiano, che si vuole soccorrere la popolazione di Gaza colpita dalla guerra e rifiutarsi di avere ogni relazione con Hamas vuol dire imbrogliare gli italiani);
3. promuovere il raggiungimento di una vera tregua tra Israele e Hamas che includa controlli più efficaci contro il traffico di armi, la fine del lancio dei razzi palestinesi e l'apertura di tutti valichi della Striscia di Gaza;
4. premere su Israele perché riduca immediatamente la pressione militare sui palestinesi della Cisgiordania e di Gerusalemme est, fermi la costruzione di nuovi insediamenti e del muro sui Territori palestinesi occupati, rimuova i posti di blocco e riapra le strade che possano consentire la riunificazione della Cisgiordania oggi frammentata;
5. sostenere tutte le organizzazioni della società civile e gli Enti locali che possono concorrere a costruire la pace dal basso con iniziative di dialogo, solidarietà e cooperazione;
6. favorire in ogni modo la riconciliazione nazionale palestinese e non accentuarne le divisioni (affermare, come fa il governo italiano, che ci sono palestinesi buoni e palestinesi cattivi, che si vuole rafforzare i buoni e combattere i cattivi e che, allo stesso tempo, si vuole favorire il processo di riconciliazione nazionale tra i palestinesi è un obiettivo completamente irrealistico);
7. riavviare il dialogo con tutti i paesi del mondo arabo per risolvere i diversi conflitti aperti e giungere ad un accordo di pace e di disarmo regionale;
8. promuovere la firma di un accordo di pace tra Israele e l'Autorità Nazionale Palestinese da sottoporre successivamente a referendum ad entrambi i popoli (la giusta formula "Due Stati per due popoli" non basta più a descrivere la meta. L'obiettivo deve essere garantire ad entrambi i popoli la stessa dignità, gli stessi diritti, la stessa libertà e la stessa sicurezza.);
9. promuovere un piano per affidare all'Onu, con il deciso sostegno dell'Unione Europea, la responsabilità di garantire contemporaneamente la sicurezza d'Israele e della Palestina;
10. promuovere il trasferimento della sede dell'Onu da New York a Gerusalemme e trasformare il cuore conteso del conflitto nella capitale della pace e della riconciliazione del mondo."

Dov'è il problema pastorale?

Condannato Mills. Da solo?

Riprendo dal blog di Grillo un post del 19 febbraio, il giorno dopo la condanna di Mills, quando tutti i giornali del mondo hanno fatto il nome del suo corruttore - intoccabile e innominabile in Italia per il "lodo Alfano". Si tocca il fondo del ridicolo sapendo che Mills deve restituire 250.000 € alla Presidenza del Consiglio, che si era costituita parte civile al processo! Se scandaloso è il comportamento del Corriere, inqualificabile per la sua falsità, ipocrisia e servilismo quello di tanta altra stampa ma, soprattutto quello delle televisioni, ormai tutte targate Berlusconi.

Negli anni ' 70 il Corriere della Sera era nelle mani della P2. Angelo Rizzoli, il proprietario, aveva la tessera 532, Tassan Din, il direttore generale, la tessera 534 e Franco Di Bella, direttore del giornale, la tessera 655. Oggi, anno 2009, chi controlla il Corriere della Sera? Chi suggerisce gli editoriali di Panebianco e di Battista? Chi ha ordinato a Mieli di togliere le inchieste giornalistiche di Why Not a Carlo Vulpio senza alcuna ragione apparente? Chi è la P3 che governa il Corriere della Sera? Dov'è la nuova lista di Castiglion Fibocchi?
Ieri, tutti i giornali del mondo hanno riportato la notizia della condanna di Mills. L'avvocato corrotto da mister B. Hanno spiegato che lo psiconano non è stato giudicato per il lodo Alfano. Una legge che si è fatto su misura e che lo rende intoccabile. Hanno argomentato che nessun premier sospettato di corruzione per evitare la condanna in due processi sarebbe ancora al suo posto in un Paese normale, democratico, occidentale. Se non si fosse dimesso lo avrebbero cacciato. Leggetevi El Pais, The Guardian, Le Figaro, The Herald Tribune. La reputazione di un Paese è importante come e più della sua economia e noi l'abbiamo persa. Se gli Stati Uniti hanno avuto il Watergate, l'Italia ha il suo Millsgate. Se Nixon sospettato di corruzione avesse imposto al Congresso una legge per la sua impunità e il corrotto fosse stato condannato, Nixon sarebbe stato cacciato in due minuti.
Li immaginate in quel caso titoli del Wall Street Journal o del New York Times?
Il Corriere della Sera è invece diversamente giornale.
Il Corriere della Sera ha toccato il fondo con la prima pagina di ieri. Meglio della Pravda.
Il titolo principale è: "Veltroni si dimette, il Pd è nel caos". L'editoriale di Panebianco Cuor di Leone è dedicato a: "Il Peso delle Oligarchie". A centro pagina campeggia: "Intercettazioni, Mancino attacca".Seguono in ordine di dimensione: "Maltrattati gli animali delle fiction Rai "(il solo titolo 15 x 2,5 cm), "Benigni, show politico su Berlusconacci e i gay" (9x7,3 cm), "Mori prepara le ronde anti-ronde" (13x3,6 cm), la vignetta di Giannelli (9x6 cm), "Roma: sparano alle gambe a Calvagna, regista del 'Lupo'" (5,7x5,5 cm) e "Il fondatore della tv islamica: 'Ho decapitato mia moglie'" (5,7x5,5 cm).
La notizia su Berlusconi presidente del Consiglio imputato a Milano al processo Mills per il quale il corrotto è stato condannato a 4 anni e mesi ha un riquadro di 3,5x9 cm. Nel titolo non è neppure menzionato Berlusconi: "Mills corrotto. Condannato a 4 anni e mezzo". Persino il colore di richiamo di un pezzo dale dimensioni di un francobollo è studiato per non attirare l'attenzione del lettore: un azzurrino chiaro al posto del blu e del rosso usati per gli altri. Infine, l'articolo è a pagina 21, dopo i gossip e le notizie di cronaca.
Licio Gelli disse: "Il vero potere risiede nelle mani dei detentori dei mass media". Chi controlla il Corriere della Sera e con quali obiettivi? L'elenco della P3 è in via Solferino 28 a Milano o a un altro indirizzo? Beppe Grillo

lunedì 23 febbraio 2009

Per capire la Palestina e le origini della violenza

Finalmente una presentazione chiara in italiano degli eventi storici che hanno portato alla situazione attuale in Palestina.
Indispensabile premessa di qualunque discorso su Israele e la Palestina.
(Prima parte di sette che si possono reperire su You Tube di seguito alla prima)

domenica 15 febbraio 2009

Vivere e morire secondo il Vangelo

Enzo Bianchi ha scritto oggi sulla "Stampa" di Torino l'articolo che vi ripropongo. Nei giorni scorsi ho scritto anch'io sull'argomento, se a qualcuno può interessare, ma quanto ho scritto sarà pubblicato tra qualche giorno sul Supplemento di Appunti alessandrini. Sono anch'io tra coloro che hanno taciuto sull'argomento Eluana Englaro, per le stesse ragioni esposte da Enzo Bianchi. Il modo di scrivere - e chi avrà la pazienza di leggere quanto ho scritto anch'io non appena sarà disponibile - è diverso, la profondità pure, ma trovo una sintonia straordinaria tra il pensiero di Bianchi e il mio; perciò mi pare l'unica cosa degna di comparire in questo blog. Anche se qualcuno si chiederà se siamo ancora "cristiani cattolici" doc. Io in coscienza credo di essere un uomo segnato dal Vangelo nel suo modo di pensare, nella sua mentalità, anche se purtroppo non lo sono sempre nel mio modo di essere... dwf

C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare» ammoniva Qohelet, così come «c’è un tempo per nascere e un tempo per morire; un tempo per uccidere e un tempo per guarire...». Veniamo da settimane in cui questa antica sapienza umana - prima ancora che biblica - è parsa dimenticata.
Anche tra i pochi che parlavano per invocare il silenzio v’era chi sembrava mosso più che altro dal desiderio di far tacere quanti la pensavano diversamente da lui. Da parte mia confesso che, anche se il direttore di questo giornale mi ha invitato più volte a scrivere, ho preferito fare silenzio, anzi, soffrire in silenzio aspettando l’ora in cui fosse forse possibile - ma non è certo - dire una parola udibile.
Attorno all’agonia lunga 17 anni di una donna, attorno al dramma di una famiglia nella sofferenza, si è consumato uno scontro incivile, una gazzarra indegna dello stile cristiano: giorno dopo giorno, nel silenzio abitato dalla mia fede in Dio e dalla mia fedeltà alla terra e all’umanità di cui sono parte, constatavo una violenza verbale, e a volte addirittura fisica, che strideva con la mia fede cristiana. Non potevo ascoltare quelle grida - «assassini», «boia», «lasciatela a noi»... - senza pensare a Gesù che quando gli hanno portato una donna gridando «adultera» ha fatto silenzio a lungo, per poterle dire a un certo punto: «Donna \ neppure io ti condanno: va’ e non peccare più»; non riuscivo ad ascoltare quelle urla minacciose senza pensare a Gesù che in croce non urla «ladro, assassino!» al brigante non pentito, ma in silenzio gli sta accanto, condividendone la condizione di colpevole e il supplizio. Che senso ha per un cristiano recitare rosari e insultare? O pregare ostentatamente in piazza con uno stile da manifestazione politica o sindacale?
Ma accanto a queste contraddizioni laceranti, come non soffrire per la strumentalizzazione politica dell’agonia di questa donna? Una politica che arriva in ritardo nello svolgere il ruolo che le è proprio - offrire un quadro legislativo adeguato e condiviso per tematiche così sensibili - e che brutalmente invade lo spazio più intimo e personale al solo fine del potere; una politica che si finge al servizio di un’etica superiore, l’etica cristiana, e che cerca, con il compiacimento anche di cattolici, di trasformare il cristianesimo in religione civile. L’abbiamo detto e scritto più volte: se mai la fede cristiana venisse declinata come religione civile, non solo perderebbe la sua capacità profetica, ma sarebbe ridotta a cappellania del potente di turno, diverrebbe sale senza più sapore secondo le parole di Gesù, incapace di stare nel mondo facendo memoria del suo Signore.
È avvenuto quanto più volte avevo intravisto e temuto: lo scontro di civiltà preconizzato da Huntington non si è consumato come scontro di religioni ma come scontro di etiche, con gli effetti devastanti di una maggiore divisione e contrapposizione nella polis e, va detto, anche nella Chiesa. Da questi «giorni cattivi» usciamo più divisi. Da un lato il fondamentalismo religioso che cresce, dall’altro un nichilismo che rigetta ogni etica condivisa fanno sì che cessi l’ascolto reciproco e la società sia sempre più segnata dalla barbarie.
Sì, ci sono state anche voci di compassione, ma nel clamore generale sono passate quasi inascoltate. L’Osservatore Romano ha coraggiosamente chiesto - tramite le parole del suo direttore, il tono e la frequenza degli interventi - di evitare strumentalizzazioni da ogni parte, di scongiurare lo scontro ideologico, di richiamare al rispetto della morte stessa. Ma molti mass media in realtà sono apparsi ostaggio di una battaglia frontale in cui nessuno dei contendenti si è risparmiato mezzi ingiustificabili dal fine. Eppure, di vita e di morte si trattava, realtà intimamente unite e pertanto non attribuibili in esclusiva a un campo o all’altro, a una cultura o a un’altra. La morte resta un enigma per tutti, diviene mistero per i credenti: un evento che non deve essere rimosso, ma che dà alla nostra vita il suo limite e fornisce le ragioni della responsabilità personale e sociale; un evento che tutti ci minaccia e tutti ci attende come esito finale della vita e, quindi, parte della vita stessa, un evento da viversi perciò soprattutto nell’amore: amore per chi resta e accettazione dell’amore che si riceve. Sì, questa è la sola verità che dovremmo cercare di vivere nella morte e accanto a chi muore, anche quando questo risulta difficile e faticoso. Infatti la morte non è sempre quella di un uomo o una donna che, sazi di giorni, si spengono quasi naturalmente come candela, circondati dagli affetti più cari. No, a volte è «agonia», lotta dolorosa, perfino abbrutente a causa della sofferenza fisica; oggi è sempre più spesso consegnata alla scienza medica, alla tecnica, alle strutture e ai macchinari...
Che dire a questo proposito? La vita è un dono e non una preda: nessuno si dà la vita da se stesso né può conquistarla con la forza. Nello spazio della fede i credenti, accanto alla speranza nella vita in Dio oltre la morte, hanno la consapevolezza che questo dono viene da Dio: ricevuta da lui, a lui va ridata con un atto puntuale di obbedienza, cercando, a volte anche a fatica, di ringraziare Dio: «Ti ringrazio, mio Dio, di avermi creato...». Ma il credente sa che molti cristiani di fronte a quell’incontro finale con Dio hanno deciso di pronunciare un «sì» che comportava la rinuncia ad accanirsi per ritardare il momento di quel faccia a faccia temuto e sperato. Quanti monaci, quante donne e uomini santi, di fronte alla morte hanno chiesto di restare soli e di cibarsi solo dell’eucarestia, quanti hanno recitato il Nunc dimittis, il «lascia andare, o Signore, il tuo servo» come ultima preghiera nell’attesa dell’incontro con colui che hanno tanto cercato... In anni più vicini a noi, pensiamo al patriarca Athenagoras I e a papa Giovanni Paolo II: due cristiani, due vescovi, due capi di Chiese che hanno voluto e saputo spegnersi acconsentendo alla chiamata di Dio, facendo della morte l’estremo atto di obbedienza nell’amore al loro Signore.
Testimonianze come queste sono il patrimonio prezioso che la Chiesa può offrire anche a chi non crede, come segno grande di un anticipo della vittoria sull’ultimo nemico del genere umano, la morte. Voci come queste avremmo voluto che accompagnassero il silenzio di rispetto e compassione in questi giorni cattivi assordati da un vociare indegno. La Chiesa cattolica e tutte le Chiese cristiane sono convinte di dover affermare pubblicamente e soprattutto di testimoniare con il vissuto che la vita non può essere tolta o spenta da nessuno e che, dal concepimento alla morte naturale, essa ha un valore che nessun uomo può contraddire o negare; ma i cristiani in questo impegno non devono mai contraddire quello stile che Gesù ha richiesto ai suoi discepoli: uno stile che pur nella fermezza deve mostrare misericordia e compassione senza mai diventare disprezzo e condanna di chi pensa diversamente.
Allora, da una millenaria tradizione di amore per la vita, di accettazione della morte e di fede nella risurrezione possono nascere parole in grado di rispondere agli inediti interrogativi che il progresso delle scienze e delle tecniche mediche pongono al limitare in cui vita e morte si incontrano. Così le riassumeva la lettera pontificale di Paolo VI indirizzata ai medici cattolici nel 1970: «Il carattere sacro della vita è ciò che impedisce al medico di uccidere e che lo obbliga nello stesso tempo a dedicarsi con tutte le risorse della sua arte a lottare contro la morte. Questo non significa tuttavia obbligarlo a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre una scienza instancabilmente creatrice. In molti casi non sarebbe forse un’inutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile? In quel caso, il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di voler prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va naturalmente verso il suo epilogo: l’ora ineluttabile e sacra dell’incontro dell’anima con il suo Creatore, attraverso un passaggio doloroso che la rende partecipe della passione di Cristo. Anche in questo il medico deve rispettare la vita».
Ecco, questo è il contributo che con rispetto e semplicità i cristiani possono offrire a quanti non condividono la loro fede, affinché la società ritrovi un’etica condivisa e ciascuno possa vivere e morire nell’amore e nella libertà. Enzo Bianchi, monaco di Bose

venerdì 13 febbraio 2009

L'Italia verso il baratro di leggi razziali

Famiglia Cristiana si rivela ancora un giornale eversivo! E dice "deliranti parole" che le hanno guadagnato una querela da parte del ministro Maroni. Visto che il sottoscritto ne ha scritte anche di più deliranti e sediziose da molti anni chiedo che il ministro denunci anche il sottoscritto!

Il soffio ringhioso di una politica miope e xenofoba, che spira nelle osterie padane, è stato sdoganato nell'aula del Senato della Repubblica. E dire che Beppe Pisanu, ex ministro dell'Interno con la schiena dritta, aveva messo in guardia circa quella brama di menare le mani, già colpevole attorno ai tavoli del bar.
Nessuno ha colto il suo grido d'allarme e l'Italia precipita, unico Paese occidentale, verso il baratro di leggi razziali, con medici invitati a fare la spia e denunciare i clandestini (col rischio che qualcuno muoia per strada o diffonda epidemie), cittadini che si organizzano in associazioni paramilitari, al pari dei "Bravi" di don Rodrigo, registri per i barboni, prigionieri virtuali solo perché poveri estremi, permesso di soggiorno a punti e costosissimo.
La "cattiveria", invocata dal ministro Maroni, è diventata politica di Governo, trasformata in legge. Così, questo Paese, già abbastanza "cattivo" con i più deboli, lo diventerà ancora di più: si è varcato il limite che distingue il rigore della legge dall'accanimento persecutorio. Il ricatto della Lega, di cui sono succubi maggioranza e presidente del Consiglio, mette a rischio lo Stato di diritto. La fantasia del "cattivismo" padano fa strame dei diritti di uomini, donne e bambini venuti nel nostro Paese in fuga da fame, guerre, carestie, in attesa di un permesso di soggiorno (a margine: che credibilità ha il progetto di un'Italia federalista in mano alla Lega?).
Eppure, nessuna indignazione da parte dei cattolici della maggioranza, nessun sussulto di dignità in nome del Vangelo: peccano di omissione e continuano a ingoiare "rospi" padani senza battere ciglio, ignari della dottrina sociale della Chiesa. La sicurezza è solo un alibi per norme inutili e dannose, per scaricare il malessere del Paese sugli immigrati, capro espiatorio della crisi.
Il circo politico ha dato prova, nei giorni scorsi, di manifesta incoerenza morale. Una parte si batte, giustamente, per Eluana ma, al tempo stesso, approva agghiaccianti leggi discriminatorie. L'altra si batte per gli immigrati, ma promuove una cultura di morte. La tutela della vita e della dignità di ogni essere umano va assunta nella sua interezza, così come la dottrina sociale della Chiesa vale per la vita nascente, per quella che si spegne o si vuole spegnere, ma anche per gli immigrati, i barboni e tutti i poveracci ai margini della società.
L'ignobile "cattivismo" leghista ha fatto scattare la maggioranza sull'attenti e oggi il Paese adotta un diritto speciale (indegno di una democrazia) che discrimina tra cittadini (gli italiani) e non-cittadini (gli extracomunitari). La Chiesa non ci sta; gli Ordini dei medici protestano e fanno sapere che non faranno i delatori; la Polizia, delegittimata, non accetta il Far west delle ronde e della giustizia "fai da te": «Quel provvedimento», dicono, «rischia di legittimare azioni incontrollabili di squadracce di esaltati».
La Lega, invece, esulta. Finalmente, il "bastone padano", evocato da Borghezio nel 1999, oggi è strumento d'ordine autorizzato dal Parlamento. Allora in molti sorridevano e liquidavano i desideri dei "volontari verdi" come chiacchiere. Appunto, da osteria. Le cose, purtroppo, sono andate diversamente. L'Italia più che di cattiveria ha bisogno di serietà e leggi giuste per affrontare la grave crisi economica, che è il vero problema delle famiglie. Altro che implementare il "fondo rimpatri" per stranieri! Presentando il "Fondo famiglia lavoro", il cardinale Tettamanzi ha detto: «La solidarietà si realizza attraverso il rifiuto di qualsiasi discriminazione».

Ancora Rosy Bindi sul ruolo dei cattolici in politica

Cattolici in politica: brava Rosy!

La Carta strappata
di Marco Damilano - da L'Espresso

Sul tavolo accanto alla scrivania di vicepresidente della Camera ci sono due testi: la Bibbia e la Costituzione. "E presto aggiungerò i documenti del Concilio". I punti di riferimento fondamentali per la cattolica Rosy Bindi: fedeltà ai propri valori di credente "che non si impongono per legge", fedeltà alla Carta del 1948 messa in pericolo in questi giorni: "Berlusconi ha usato la vita di Eluana contro gli equilibri istituzionali previsti dalla Costituzione".

Vita contro procedure istituzionali: è la partita che la politica ha giocato in queste settimane?
"È la contraddizione voluta e costruita da Berlusconi e dalla sua maggioranza. So bene che in un clima di emotività nazionale era difficile riflettere, ma ora che i toni si sono abbassati possiamo provare a chiederci: si può garantire la dignità e la vita di una persona mettendo a rischio i fondamenti della democrazia? Qui c'è ben altro che la ragione di Stato da difendere. Sul caso di Eluana il governo ha giocato una partita con le carte truccate. È stata usata una vita contro la Costituzione. L'obiettivo non era salvare una donna, ma perseguire ben altri scopi".

Quali?
"Quelli dichiarati dallo stesso Silvio Berlusconi. Nella conferenza stampa in cui ha usato parole irripetibili riferite a Eluana ha detto che il governo non può essere limitato nel suo potere di fare i decreti. E ha minacciato, in caso contrario, di ricorrere al popolo per cambiare la Costituzione. Ma la firma del presidente della Repubblica sui decreti non è un atto notarile: è la garanzia che il governo sta esercitando il suo potere nel rispetto dei valori costituzionali. Sono stata ministro per sei anni, sui decreti c'è sempre un dialogo tra il governo e il Quirinale. Non è mai successo invece che sui dubbi del presidente della Repubblica il governo costruisse uno show. Si è creato ad arte un pretesto, si è spettacolarizzato il dissenso di Giorgio Napolitano, si è fatto di tutto per farlo passare per uomo di parte. Sono arrivati a dire perfino che la sua è la parte della cultura della morte. Tutto per lanciare un unico messaggio al Paese: non si disturba il manovratore".

Però tra i cittadini aumenta la paura del futuro. E l'invocazione di un uomo che decida.
"Nella storia le svolte autoritarie arrivano spesso per la difficoltà a funzionare delle assemblee parlamentari, lo so bene. Per questo bisogna rapidamente agire per correggere il bicameralismo, riformare i regolamenti delle Camere, ridurre il numero dei deputati e senatori. Tutto per rendere più efficace la forma di governo parlamentare, che non può essere messa in discussione. Berlusconi pensa che chi vince le elezioni comanda il paese: questa è la profonda distanza tra lui e la Costituzione. So che anche in casa mia, nel Pd, qualcuno ha avuto simpatia per modelli presidenziali, l'elezione diretta del premier, il sindaco d'Italia. Ma questo non è tempo di presidenzialismo: in questo momento storico, con Berlusconi, con il conflitto di interessi, con i parlamentari nominati, con i pesi e i contrappesi vissuti con insofferenza, non ci sono in Italia le condizioni per alcun cedimento".

Ma l'attacco alla democrazia è solo un fatto di regole?
"La mia paura è che questo governo voglia approfittare della crisi economica per svuotare la democrazia. La democrazia disegnata dalla Costituzione è in crisi perché sono duramente colpiti i suoi principi di uguaglianza e di giustizia sociale che garantiscono la libertà degli individui. Al loro posto c'è il modello di società di questa destra. Lo vediamo sull'immigrazione, su come trattano il povero, il marginale, il diverso. Si utilizza la crisi per creare una società più disuguale, più immobile, con più privilegiati garantiti e con lo scatenamento della guerra tra i più poveri, i non tutelati. La destra mette insieme la difesa del proprio territorio, il liberismo straccione pronto a trasformarsi in protezionismo e l'imposizione della sua visione etica con una legge dello Stato".

Non lo fa solo la maggioranza. In queste settimane i cardinali Ruini e Poletto hanno teorizzato un principio: la legge dello Stato non può opporsi alla legge di Dio e della Chiesa, in caso di contrasto deve prevalere la legge di Dio. Cosa ne pensa la cattolica Bindi?
"Penso che la legge di Dio sia superiore alle leggi umane. Ma nessuno può pretendere che la propria visione sia interamente recepita da una legge dello Stato. Non puoi trasformare la legge superiore che guida le tue scelte e la tua coscienza in una legge dello Stato imposta anche a chi non la condivide. Laicità e democrazia non sono l'assenza di valori, ma la fatica di valori condivisi. Tenendo uniti due principi: il primato della coscienza e la non imposizione dei tuoi valori agli altri".

D'accordo, però torniamo nell'Italia 2009. Nel caso Englaro questi principi sono stati rispettati dalla gerarchia ecclesiastica e dal governo?
"Ho una gran paura: che per ottenere alcune leggi una parte della gerarchia ecclesiastica e del mondo cattolico resti in silenzio su i rischi che incombono sulla nostra democrazia. Non si può barattare un singolo principio con il valore della democrazia: se metti in pericolo la libertà degli altri prima o poi toccano anche la tua. È già successo: sono concordataria, ma ricordo che nel 1929 la Chiesa firmò il Concordato con Mussolini e solo due anni dopo il regime fascista fece chiudere i circoli dell'Azione cattolica. Questo dovrebbe mettere in guardia verso chi si propone di nuovo come l'uomo della Provvidenza. Lo dico alla mia Chiesa: solo con la democrazia e con la Costituzione tutto è possibile. Non si possono difendere i propri valori abbassando i principi di convivenza democratica, perché così anche la difesa della vita e della famiglia diventa un fatto puramente formale e alla fine se ne paga un prezzo ben più alto".

Berlusconi è in politica da 15 anni, siamo davvero alla sfida decisiva: cambio della Costituzione, spallata istituzionale, assalto al Quirinale?
"Eluana ne è la prova: se Berlusconi è arrivato a usare un caso così delicato con quella volgarità vuol dire che è disposto a tutto. Il suo è un annuncio: se non mi date i poteri di cui ho bisogno ricorrerò al popolo. Dimentica che nel 2006 il popolo italiano ha già bocciato a grande maggioranza la loro controriforma della Costituzione".

E il suo partito, il Pd, come si attrezza a questa sfida? Oscillate tra due estremi: un giorno Berlusconi è come un premier inglese, il giorno dopo lo si paragona a Putin. Questa settimana siete scesi in piazza per difendere la democrazia minacciata, ma con Berlusconi state votando la modifica della legge elettorale europea e sul federalismo leghista vi siete astenuti.
"Se andare in piazza serve a riprendere il cammino parlamentare sulla bozza Violante per rafforzare il Parlamento va benissimo. Se le intenzioni del governo sono altre ci opporremo con tutte le nostre forze. Su giustizia e intercettazioni nessuno di noi ha intenzione di fare l'inglese. Piacerebbe anche a me un centrodestra europeo, ma in Italia purtroppo non c'è. E noi dobbiamo ripartire dalla Costituzione: questa è la nostra missione.".

Per la verità, nelle manifestazioni del Pd si canta l'inno nazionale e c'è il tricolore sul palco, ma della Costituzione non si vede traccia.
"Benissimo: allora portiamo sul palco anche il testo della Costituzione. Ma il problema non è di simbologia: spesso facciamo fatica a definire l'identità culturale del Pd, ma gran parte della nostra identità è contenuta lì, in quelle parole".

In piazza ha parlato Oscar Luigi Scalfaro: non temete di tornare al vecchio anti-berlusconismo?
"Scalfaro è il simbolo dell'Assemblea Costituente. Il nostro obiettivo non è l'antiberlusconismo, è la difesa di principi fondamentali che sentiamo minacciati. E su questo speriamo di trovare tanti compagni di viaggio. Per esempio, Pier Ferdinando Casini: altrimenti che avrebbe fatto a fare la rottura con Berlusconi un anno fa? La sinistra, che spero ricostruisca una sua presenza politica e non si affidi alla difesa di piccole sigle dello zero virgola per cento. Le forze sociali: la Cisl di Pezzotta nel 2006 fu al nostro fianco nel referendum sulla Costituzione, mi chiedo dove sarà la Cisl di Bonanni. E altri compagni di strada inaspettati".

A chi si riferisce?
"Con Gianfranco Fini mi trovo a lavorare alla presidenza della Camera. Gli do atto di aver difeso il presidente della Repubblica e il Parlamento dall'aggressione del governo a colpi di decreto. E qui, a Montecitorio, la nostra sarà una vigilanza quotidiana".

giovedì 5 febbraio 2009

Sono medici e infermieri, non sono spie... o no?

Divieto di segnalazione
Siamo medici e infermieri, non siamo spie


Medici Senza Frontiere (MSF), Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione (ASGI), Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM) e Osservatorio Italiano sulla Salute Globale (OISG) lanciano un appello per chiedere ai Senatori di respingere l'emendamento che elimina il principio di non segnalazione alle autorità per gli immigrati irregolari che si rivolgono a una struttura sanitaria.
L'attuale Testo Unico sull'Immigrazione (Decreto Legislativo 286 del 1998) prevede che «l'accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all'autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano».
Il rischio di essere segnalato creerebbe nell'immigrato privo di permesso di soggiorno e bisognoso di cure mediche una reazione di paura e diffidenza, in grado di ostacolarne l'accesso alle strutture sanitarie. Ciò potrebbe creare condizioni di salute particolarmente gravi per gli stranieri - con aumenti dei costi legati alla necessità di interventi più complessi e prolungati - e ripercussioni sulla salute collettiva - con il rischio di diffusione di eventuali focolai di malattie trasmissibili.
La cancellazione del principio di non segnalazione vanificherebbe inoltre un'impostazione che nei 13 anni di applicazione (il principio è presente nell'ordinamento italiano già dal 1995) ha prodotto importanti successi nella tutela sanitaria degli stranieri: riduzione dei tassi di Aids, stabilizzazione di quelli relativi alla Tubercolosi, riduzione degli esiti sfavorevoli negli indicatori materno-infantili (basso peso alla nascita, mortalità perinatale e neonatale…).
MSF, SIMM, ASGI e OISG invitano la società civile a sottoscrivere l'appello ai Senatori, che ha già raccolto 8297 adesioni.

Questo era l'appello dei giorni scorsi... Oggi il senato ha approvato l'emendamento che obbliga i medici a denunciare all'autorità giudiziaria il paziente non in regola con i documenti.
Spero di sentire forte l'indignazione; spero di sentire forte questa indignazione nella Chiesa e tra i credenti.
Stiamo diventando, sotto la spinta dei leghisti e di altri difensori dei valori e dell'identità cristiana, sempre più un paese sudamericano, per non dire un paese un paese sempre più fascista. Chissà perchè oggi mi vengono in mente le famigerate "leggi sulla difesa della razza"...
Spero che i medici abbiano il coraggio di fare in massa obiezione di coscienza se operano nelle strutture pubbliche o di dedicare uno spazio e un tempo offerto gratuitamente agli immigrati senza mezzi di sussistenza negli ambulatori privati.

lunedì 2 febbraio 2009

Sparate d’inverno

In questi giorni d’inverno, spartiti tra la neve e qualche timido raggio di sole, non riesco ad abbozzare grandi pensieri. Non è una novità, si potrebbe anche assentire. Ma tant’è. Così proverò a formulare alla rinfusa qualche pensiero minimo, o meglio, qualche sparata, su alcuni temi d’attualità, giusto per ravvivare l’ambiente un po’ freddo di inizio febbraio.
1) Parto dalle polemiche suscitate dalle dichiarazioni razziste ed antisemite di mons. Williamson, rincarate dall’intervista di don Abrahamowicz, affermazioni che hanno fatto insorgere gli ebrei e scompaginato i rapporti tra Chiesa cattolica e Rabbinato d’Israele.
Come se non bastasse è intervenuto anche don Pierpaolo Petrucci, priore del Priorato di Rimini della Fraternità di San Pio X, secondo cui "per la revoca della scomunica non ci è stata posta alcuna condizione". Il religioso ha riferito che i seguaci di Lefebvre "sono rimasti scandalizzati dalla preghiera che Benedetto XVI ha fatto nella moschea blu di Istanbul durante il suo viaggio in Turchia" (nel novembre del 2006, ndr) e che riconoscono "il magistero della Chiesa fino al Concilio Vaticano II".
La scomunica non fu comminata a questi signori per le loro posizioni sull’ultimo Concilio, ma per l’ordinazione in opposizione al parere del Romano Pontefice di 4 vescovi, tra i quali lo stesso Williamson.
E’ però logico chiedersi perché il Papa senta solo ora, ex post, la necessità di richiedere ai lefebvriani un’adesione integrale al magistero della Chiesa, ivi comprese le ultime indicazioni conciliari.
L’imbarazzo segue l’inciampo, sempre a Ratisbona, sulle parole di Manuele II il Paleologo che diedero la stura a violente polemiche con il mondo mussulmano e viene dopo altri gesti quantomeno sorprendenti della Santa Sede come la passeggiata con Bush nei giardini vaticani quando il Pontefice si improvvisò cicerone, mostrando al presidente Usa le bellezze della capitale.
Quante gaffes…Non si può insegnare al Papa a fare il Papa - Domine non sum dignus – ma un pizzico di attenzione in più forse non guasterebbe.
2) Caso di Eluana Englaro.
Si tratta, purtroppo, di un caso dannatamente serio.
Vedo che molti, su un tema tanto delicato, continuano ad uscire con dichiarazioni di sostegno pubbliche e prese di distanze altrettanto tonanti di segno opposto, come se ci trovassimo in presenza di due contrapposte tifoserie.
Io ammetto di non aver maturato una posizione ben definita.
Diciamo pure che penso di avere dubbi a non finire.
Per questo mi chiedo come si faccia a sostenere su una questione del genere con tanta leggerezza l’una o l’altra tesi.
Spesso la differenza tra eutanasia ed accanimento terapeutico è assai esile.
Mi piacerebbe vedere un dibattito sobrio, con toni pacati che non sminuiscono la passione con cui è possibile far valere il proprio punto di vista.
Una discussione rispettosa delle posizioni altrui, una serena fermezza tale per cui chi dissente da me non né un assassino, né un ayatollah.
In fin dei conti stiamo discutendo sulla vita o la morte di una ragazza.
Qualunque posizione si possa tenere, se profonda e non superficiale, non potrà che assumere i contorni di una irriducibile problematicità.
3) Ho letto con un misto di tristezza e rabbia le illazioni di Antonio Di Pietro riguardanti il nostro Presidente della Repubblica.
Per il presidente Napolitano nutro una grandissima stima, pur provenendo da un percorso politico completamente diverso dal suo.
E’ uno dei pochissimi esponenti politici – si contano sulle dita di mezza mano – che mi evitano di cadere in una cupa disperazione perché incarnano il meglio dell’Italia e, a dispetto dell’età, costituiscono un esempio (aggiungerò poi qualcosa su questo aspetto) e una speranza di riscatto anche per i giovani del nostro Paese.
Per questo sentire vomitare in piazza contro il capo dello Stato certe idiozie mi deprime.
Sembra ormai che questo Paese sia un’osteria dove vince chi la spara più grossa.
Se Di Pietro rappresenta l’opposizione dei duri e puri arridatece pure Bevtinotti.
4) Lo sbarramento per le europee.
Speravamo di esserceli tolti dai piedi dopo le ultime politiche (purtroppo con qualche eccezione).
Invece i nanetti son di nuovo all’arrembaggio.
Mi riferisco alla ridda di partitini e partitucoli dell’”uno virgola” che riponevano le loro residue speranze di sopravvivenza nel mantenimento del proporzionale puro alle prossime Europee.
Se non rappresentate niente o poco più, cari amici, compagni e camerati dei micro partiti, mettetevi insieme. Lavorate bene e vedrete che supererete l’asticella.
Leggo, anche su Città Futura, di un suggestivo Comitato per la Democrazia che raggruppa, fra gli altri, Ps, Prc, Udeur, radicali, Verdi, Pli, Psdi, Liberaldemocratici, Partito D’Azione, Sinistra Democratica, Comitato dei 101 (saranno mica quelli della famosa carica?) che manifesterà davanti al Quirinale e a Montecitorio.
Vi risparmio le considerazioni su come si vota negli altri paesi occidentali e dei relativi sbarramenti e sistemi uninominali che riducono e neutralizzano la presenza di residuati bellici del genere.
Mi si obietterà che le idee non contano per il consenso, ma per la loro intrinseca valenza e bontà. Di fronte a cotali considerazioni, da rozzo montanaro quale mi considero, mi permetto di replicare: fateci il piacere, andate a lavorare.
5) Ultimamente c’è una cosa che non sopporto: il non parlar chiaro.
Quanti distinguo, anche nel mio partito, il PD; quanti tatticismi; quante iperboli.
Non mi meraviglia che la sinistra continui a perdere.
Il guitto di Arcore ha un vantaggio, la semplicità: via l’ICI, i soldati nelle strade, via la monnezza da Napoli, l’Alitalia agli italiani, abbasso i comunisti.
Poi manda l’Italia in malora.
Ma almeno non ti fa innervosire con le prediche.
Sempre più la sinistra sembra la casa della chiacchiera: parole, parole, parole, ripeteva una celebre canzone di Mina.
E mai una decisione chiara.
Con i suoi intellettuali impegnati in defatiganti dibattiti sui massimi sistemi, che non concluderanno mai nulla.
Colgono tutto, tranne l’essenziale.
In più, i nostri politici da pochi soldi, si prendono il lusso di credersi dei grandi governanti.
Che dire? Fanno veramente pena.
In realtà sono solo asini vanesi che purtroppo non valgono più di una cicca.
Come scegliere tra i delinquenti distruttori di finanze della destra e gli incapaci narcisisti della sinistra?
6) E’ un periodo che sento la nostalgia per alcuni personaggi (che non nominerò perché attengono alla mia sfera personale) che ho considerato e continuo ad ammirare come buoni esempi di vita.
Credo che tutti noi, nei più svariati ambiti, familiare, scolastico, professionale, politico, religioso, culturale ne abbiamo conosciuti e, magari anche solo per un periodo, siamo rimasti appesi alle loro labbra.
Ultimamente, faccio fatica ad individuare figure di tale levatura; forse sono in via di estinzione.
Solo mi chiedevo se sono io che ho perso la capacità di riconoscerli o se effettivamente scarseggino, come l’acqua in mezzo al deserto.
Ogni tanto, nel baillame di parole, sentite, lette, scritte o più semplicemente pensate, si fa sentire la sensazione che si tratti veramente di soffi e nulla più.
Ed è in quei momenti che il rimpianto di personalità coerenti, di poche parole e grande saggezza, mi prende come una stretta al cuore.

marco ciani@hotmail.com

Padre Musallam, parroco di Gaza a chi crede all'informazione firmata Pagliara

“Gaza stava già soffrendo prima di questa guerra, soffre durante questa guerra e continuerà a soffrire dopo questa guerra. Molte famiglie si sono rifugiate nelle scuole della Nazioni Unite (UNRWA) dove pensavano sarebbero state al sicuro. Ma sono state bombardate. Le condizioni di vita sono terribili, con 50-60 persone a sopravvivere in una stanza, senza elettricità, acqua, senza letti o cibo e nessun luogo in cui lavarsi. Gli aiuti dell’emergenza non ci sono ancora arrivati e dato che tutti sono troppo spaventati per avventurarsi nelle strade, la nostra gente non può raggiungere i magazzini dove sono conservati gli aiuti della Croce Rossa e dell’UNRWA.
Così come le distruzioni e le ferite fisiche sono incalcolabili, è incalcolabile anche il trauma psicologico della nostra gente. Avrà bisogno di aiuto e supporto per chissà quanti anni a venire. Dovrà trovare un qualche posto in cui vivere e noi avremo bisogno di centri per i feriti resi disabili dai bombardamenti, di scuole
speciali per i traumatizzati, per i bambini orfani e tutta una serie di servizi di riabilitazione. L’acqua pulita è scarsa, così che entrambe le nostre scuole in Remal e a Zaitoon forniscono l’acqua alla gente locale grazie ad un pozzo artesiano, scavato dalla generosità di donatori austriaci. Il generatore della scuola produce elettricità per il forno vicino, dato che non si trova pane da settimane. La gente dice: “Il prete è diventato un panettiere”, ed è vero, e siamo contenti di essere in grado di farlo.”

“La guerra deve finire ora. Il mondo deve trovare una soluzione per il popolo palestinese e non semplicemente tornare alla situazione in cui si trovava prima che tutto questo iniziasse. I confini con Israele devono essere ridisegnati e l’occupazione, che è iniziata 60 anni fa, deve finire.
Lo status dei rifugiati palestinesi deve essere risolto perseguendo il Diritto al Ritorno, mentre Gerusalemme Est deve essere la capitale dello Stato palestinese.
Dobbiamo radere al suolo il Muro dell’apartheid, aprire i passaggi di frontiera, liberare i detenuti palestinesi e rimuovere gli insediamenti israeliani, così che la terra potrà tornare ai suoi originari proprietari palestinesi.
La pace è possibile solo se comprende la giustizia.
Quando il mondo restituirà al popolo palestinese i suoi diritti, allora ci sarà
sicuramente la pace nel Medio Oriente.
Tutta la gente di Gaza dice grazie a voi, nostri amici ovunque voi siate, per le vostre preghiere costanti e particolarmente per l’aiuto di cui abbiamo urgentemente bisogno e che speriamo ci raggiunga presto”.
Padre Manuel Musallam

domenica 1 febbraio 2009

Parole di politica

"Screditamento dell'avversario". "Martellamento dei media". "Stordimento" dei cittadini. "Indagini demoscopiche e opinion polls" per dimostrare che le parole-armi hanno "prodotto effetti devastanti sugli avversari". Tutto per rendere "incomprensibile la realtà e difficile distinguerla dalla mistificazione". Ecco come si fa politica, oggi. Mettendo "addirittura a rischio la vita della democrazia". A dipingere un quadro tetro e chiamare alla reazione è il Grande Scomparso della politica italiana: Romano Prodi. Prodi, per le parole più dure da quasi un anno, ha scelto Hope, (da HOPE - n.15 - dicembre 2008) rivista dell'Hospice Madonna dell'Uliveto di Montericco di Albinea (Reggio Emilia), casa di accoglienza per malati di cancro. La rivista ha chiesto all'ex-presidente del Consiglio e della Commissione europea un intervento su "parole e politica". Lui ha tirato fuori una riflessione che, di questi tempi, è uno splendido regalo per la mente e per il cuore. "Altri" parlano - e straparlano, salvo la smentita del giorno dopo - molto, ma il vuoto di pensiero è non solo deprimente, ma anche un pericolo reale per la nostra povera democrazia.

Mi è stato chiesto di riflettere sul rapporto tra la parola e la politica, e cioè di dire la mia su un tema immenso e quasi smisurato. Confesso che non ce la faccio proprio ad affrontarlo tutto intero, con tutte le sue infinite implicazioni. Mi limiterò quindi a ragionare su un solo aspetto del rapporto fra la parola e la politica e cioè sulla parola come strumento di conquista del consenso politico. Per essere ancora più preciso sulla parola nella campagna elettorale.
Sotto molti aspetti si può affermare che, almeno negli ultimi duemila anni, nulla è cambiato nell’uso della parola per convincere gli elettori. Ma poi, guardando bene dentro alle cose, possiamo invece affermare che tutto è cambiato.
Cerchiamo di divertirci un poco partendo da due documenti di duemila anni fa per poi passare direttamente a oggi.
Il primo documento è un vero e proprio manuale scritto da Quinto Tullio Cicerone per aiutare il più illustre fratello Marco Tullio durante la campagna elettorale per il consolato nel 63 avanti Cristo. Un documento raffinato ma anche estremamente semplice su cosa bisogna fare ma, soprattutto, su cosa bisogna dire per conquistare la fiducia degli elettori (Quinto Tullio Cicerone, Manualetto di campagna elettorale, Ed. Salerno, Roma, 2006).
Di insegnamenti che oggi potremmo chiamare “politicamente corretti” ne leggiamo ben pochi. La parola è ritenuta un semplice strumento per convincere gli elettori e, perciò, ogni parola, ogni promessa è lecita, purché raggiunga il suo scopo.
La conquista del voto dipende dalla promessa di benefici, dalla speranza e, anche, dalla simpatia che si riesce a suscitare in coloro che debbono depositare il loro voto nelle urne. La parola deve perciò essere esclusivamente dedicata a raggiungere questi tre obiettivi.
Tutto il manuale elettorale è perciò dedicato a come promettere, a come creare speranze e simpatia, con qualsiasi strumento. E per raggiungere questo obiettivo tutto è lecito, a partire dalla simulazione, per cui il candidato non dovrà limitarsi a pronunciare solo le parole gradite ai suoi interlocutori, ma dovrà anche accompagnare alle parole le espressioni del volto e gli atteggiamenti che più saranno in grado di costruire consenso attorno alla propria persona.
Il raffinato manuale non si limita tuttavia a questo e, come succede nelle migliori famiglie, si dedica accuratamente ad elencare gli strumenti di denigrazione da usare nei confronti degli avversari politici.
Antonio e Catilina debbono essere perciò attaccati nel modo più violento possibile, calcando la mano sui loro debiti, le amicizie dubbie, lo sperpero del denaro, il lusso, la lussuria e tutti i vizi di cui si può macchiare un essere umano. Si adombrano anche ipotesi (non ben confermate) di delitti e di nefandezze che, certamente, possono colpire l’immagine degli elettori.
Un manuale completo, metodico e raffinato per un politico raffinato che, chiamandosi Cicerone sa, più di ogni altro, fare buon uso della parola.
Il secondo documento a cui voglio riferirmi, ci porta di fronte ad una realtà radicalmente più popolare, riguardo alla quale vengono usate parole semplici, dirette al popolo minuto, per una gara elettorale di livello locale. Mi riferisco alle divertentissime e semplici scritture murali di propaganda elettorale che ancora oggi si possono leggere sui muri di Pompei. Parole che il Vesuvio ha portato direttamente a noi.
“I fruttivendoli chiedono di votare per Marco Cerinio”. E tante altri scritti in favore del candidato degli osti, dei professori, dei mulattieri o degli abitanti dei diversi quartieri. Nessuna raffinata motivazione: al massimo il candidato viene definito virtuoso, meritevole e capace di interpretare gli interessi della collettività.
Parole semplici, che vengono ripetute migliaia di volte sui muri di tutta Pompei: basta pensare che più di mille di questi “murales” ante-litteram sono arrivati fino a noi.
In fondo analizzando questi due diversi esempi di espressione politica, si potrebbe concludere che, riguardo all’uso della parola, non vi è nulla di nuovo rispetto alle campagne elettorali di oggi: allora come oggi si usavano parole semplici per le persone semplici e parole raffinate per convincere gli elettori di livello più elevato.
Le similitudini sono evidentemente molte perché anche oggi la parola nelle campagne elettorali è usata per creare promesse, speranze, simpatie e, soprattutto, per denigrare gli avversari. E, oggi come allora, non vengono dedicate molte energie perché queste parole siano fra di loro coerenti e, complessivamente veritiere.
Le similitudini, però, si fermano qui perché la parola, nelle campagne elettorali moderne, viene accompagnata da strumenti che la rendono infinitamente più potente ed efficace rispetto a quanto avveniva in passato.
Il primo strumento è la moltiplicazione in modo diretto ed indiretto della sua intensità attraverso i moderni canali di comunicazione.
Ed in questi canali il modo indiretto prevale ormai sulla parola stessa.
Un moderno manuale di campagna elettorale non solo non potrebbe mai contenere le scritte ingenue e dirette dei muri di Pompei ma non potrebbe nemmeno accontentarsi dei complessi insegnamenti del fratello minore di Cicerone.
L’attacco diretto all’avversario si rivolgerebbe facilmente contro a chi lo pronuncia. Occorre qualcosa di più complesso: uno screditamento generale dell’avversario e di tutto quello che gli sta attorno. Una demolizione progressiva della sua personalità, un feroce uso del ridicolo: il tutto possibilmente in modo obliquo, nel quale il linguaggio del candidato è sempre accompagnato dagli echi presunti o reali degli effetti delle sue parole sugli elettori.
Non basta la parola ma occorre dimostrare che essa ha prodotto effetti devastanti sugli avversari.
Alla parola si accompagnano perciò le indagini demoscopiche e gli “opinion polls”. Essi non servono solo a mettere in luce la forza del “nostro candidato”, ma ci abituano a modificare e ad adattare le parole che verranno pronunciate successivamente agli effetti delle parole precedenti, che appunto emergono dalle indagini e dagli “opinion polls”.
La parola diventa quindi non solo strumentale ma sempre più provvisoria, in attesa di essere modificata a seconda delle reazioni che la parola precedente ha provocato. Viviamo cioè nel continuo inseguimento fra la parola ed il suo eco. E l’eco diventa più importante della parola stessa.
Questo gioco fra la parola e il suo eco diventa così rapido che il cittadino, cioè l’elettore finisce con l’essere così stordito, da non capire più il significato delle parole stesse.
Lo stordimento è tale che si perde una condizione indispensabile perché la parola sia efficace, e cioè la memoria. E senza la memoria diventa impossibile giudicare l’aspetto più importante della parola, e cioè la sua coerenza.
Il martellamento diretto ed indiretto dei media raggiunge infatti dimensioni e ritmi tali per cui diventa sempre più difficile costruire i legami e i collegamenti che permettono alla parola di conservare il suo contenuto espressivo.
Se è quindi vero che l’uso della parola nella campagna elettorale non sembra offrire novità radicali rispetto a duemila anni fa, esso è oggi totalmente diverso per effetto della presenza sempre più pervasiva del sistema dei media.
L’eccesso di parole e il modo con cui questo eccesso viene gestito rende incomprensibile la realtà sottostante e rende sempre più difficile distinguere questa realtà dalla mistificazione.
Il processo è andato così avanti per cui molti si chiedono se questo non mette addirittura a rischio la vita della democrazia stessa.
Io credo che questo processo di deterioramento stia procedendo in modo quasi inarrestabile e che sia perciò necessario ed urgente adottare importanti misure correttive.
La democrazia, per funzionare, richiede infatti una presenza equilibrata della parola e dell’ascolto.
Questo obiettivo non è però raggiungibile senza un uso misurato ed equilibrato dei media che trasportano ed amplificano la parola fino a falsarne completamente l’ascolto.
Senza equilibrio e senza misura la parola non può arrivare né al cuore né al cervello. E se non vi arriva non dobbiamo stupirci se la democrazia si inaridisce e i cittadini diventano sempre più scettici e rabbiosi. Romano Prodi

“Abbiamo intenzione di convertire Roma”

Pubblichiamo da La Stampa l’intervista di Alain Elkann a Bernard Tissier de Mallerais, uno dei quattro vescovi lefebvriani a cui Benedetto XVI ha revocato la scomunica con l’atto del perdono pontificio del 21 gennaio 2009.

Monsignor Bernard Tissier de Mallerais, per lei che ha partecipato alla fondazione della Fraternità Sacerdotale San Pio X con monsignor Lefebvre, ricevere la notizia della cessata scomunica da parte di Benedetto XVI è stata una grande emozione? E’ stata una grande gioia quella di essere nuovamente accettati nella casa del Padre?
«No, non nel senso di essere tornati nella casa del Padre, perché noi non l’avevamo in effetti mai lasciata».
E allora qual è stata la sua emozione?
«Vedere indirettamente riconosciuto il bene fondato dei sacramenti episcopali del 1988».
Ma cosa era successo?
«Che Sua eccellenza monsignor Marcel Lefebvre aveva dato nel 1988 sacramenti episcopali senza “mandato apostolicum”, ne è quindi seguita una scomunica ipso facto perché non si può essere nominati vescovi senza il permesso del Papa».
Ma tutti questi anni come li avete vissuti?
«Mah, questa scomunica è durata 20 anni ma noi non la consideravamo valida perché monsignor Lefebvre ci aveva nominato per un caso di necessità e il caso di necessità è riconosciuto valido secondo il diritto canonico».
Ma come venivate considerati dalla Chiesa?
«Eravamo considerati scismatici e devo dire che abbiamo sofferto per vent’anni di essere separati dalla Chiesa di Roma. Io ero prete e appunto ero stato fatto vescovo da Lefebvre nel 1988».
Ma adesso che cosa è successo?
«E’ successo, in modo molto semplice, che attraverso la comunicazione del cardinale Re il Papa ci ha tolto la scomunica senza nessuna particolare cerimonia».
Ma voi oggi siete vescovi per il Papa?
«No, non siamo ancora vescovi perché non abbiamo una sede episcopale».
Ma allora le cose non sono del tutto risolte?
«La cosa non è finita, ci vorrà del tempo».
E chi deciderà della vostra sorte?
«Lo deciderà il Papa con l’intermediazione della Curia romana».
Ma in senso pratico quali sono i passi che devono essere fatti?
«Vi saranno delle discussioni teologiche dottrinali a proposito delle dottrine del Concilio Vaticano II tra noi e i rappresentanti della Santa Sede».
Ma voi pensate di tornare indietro per quanto riguarda le vostre divergenze?
«No, assolutamente no. Noi non cambiamo le nostre posizioni ma abbiamo intenzione di convertire Roma, cioè di portare il Vaticano verso le nostre posizioni».
E per quanto riguarda le dichiarazioni molto contestate dal mondo ebraico di monsignor Richard Williamson, un altro dei vescovi che erano stati scomunicati insieme a lei?
«Non ho opinione in proposito».
Ma cosa pensa di quanto è stato detto?
«Penso che la questione non mi interessa e non ho nessuna opinione su questa domanda».
Ma lei cosa farà in futuro?
«Io resterò qui a Ecône».
Nel seminario di Ecône, di cui lei è rettore, quanti sono i sacerdoti?
«Ci sono 60 seminaristi. Ne abbiamo altri duecento in sei altri centri di formazione».
Voi naturalmente avete sempre continuato a celebrare messa in latino?
«Certo, la bella messa latina con messa gregoriana».
Ma anche il Papa ha ripreso a officiare la messa in latino?
«Di questo non ho veramente notizia e non sono in grado di dare un giudizio».
Com’è avvenuta la remissione della scomunica? Il decreto dalla Santa Sede vi è giunto inaspettato?
«Per noi è stata una grazia della Santa Vergine».
In che senso una grazia della Santa Vergine?
«Perché abbiamo dato al Papa i settecentomila rosari che abbiamo offerto in regalo da parte della Santa Vergine».
Come vi siete mossi per ottenere la remissione della scomunica?
«Abbiamo indirizzato a Sua Eminenza il cardinale Dario Castrillon Hoyos, presidente della Pontificio Commissione Ecclesia una lettera di monsignor Bernard Fellay, scritta anche a nome di monsignor Alfonso de Galarreta, monsignor Richard Williamson,e mio, ovvero dei vescovi consacrati da Lefebvre il 30 giugno 1988. E’ stata sollecitata la rimozione della scomunica che datava dal 1° luglio 1988. In questa lettera monsignor Fellay ha affermato “Siamo sempre fermamente determinati nella volontà di rimanere cattolici e di mettere tutte le nostre forze al servizio della Chiesa e di Nostro Signore Gesù Cristo che è la Chiesa Cattolica Romana. Noi accettiamo i suoi insegnamenti con animo filiale. Noi crediamo fermamente al primato di Pietro e alle sue prerogative e per questo ci fa tanto soffrire l’attuale situazione». Con queste parole ci siamo rivolti appunto a Sua Santità Benedetto XVI perché venisse riconsiderata la nostra situazione canonica».