(pubblicato su Appunti alessandrini, n. 3)
Chi persiste nel rischiare quotidianamente la depressione e si informa, ha la sensazione di vivere oggi in un mondo estremamente violento. Non solo nel ricco, sazio e assediato Occidente: è tutto il villaggio umano che è intriso di violenza. Ci bruciano ancora le immagini dei funerali del Maresciallo Daniele Paladini di Novi Ligure, morto da poco in un attentato nei pressi di Kabul, in Afganistan. Ogni giorno è una litania: periodici omicidi di o tra giovani bene, normali; orribili delitti familiari; episodi cosiddetti di “bullismo” a scuola, ma che manifestano in realtà un'aggressività che sconfina nel crimine; la densa e caliginosa nebbia del “terrorismo” che ricopre ogni angolo del mondo; l’uccisione di un tifoso che scatena la reazione violenta di facinorosi e teppisti, degenerazione dei movimenti del tifosi del calcio italiano, ma solo ultimo di un lungo elenco di episodi di teppismo e delinquenza legati al calcio, tanto che frequentemente cronaca sportiva e cronaca nera sono tutt’uno; non fanno più cronaca, se non c’è un esito cruento o non c’è la responsabilità di uno “straniero”, i casi quotidiani di violenza sessuale; si compone così un enorme mosaico di violenza fisica e di violenza psicologica. Nonostante l’alto livello di civilizzazione e di sicurezza personale e sociale (altre epoche hanno conosciuto violenze più efferate e più frequenti e mai il mondo è stato così sicuro come adesso), ci sentiamo insicuri e minacciati, la parola ricorrente è insicurezza, paura. Come spiegare la violenza che domina e avvelena tutta la società? È indubbio lo scarso valore dato alla vita dell'uomo da quella concezione che vede l'uomo, padrone del mondo, al centro dell'universo, capace di disporre la realtà esterna a proprio piacimento; la nostra cultura ha fatto crescere nel suo seno l’assioma di Protagora: «L’uomo è la misura di tutte le cose», ritenendo erroneamente che questa potesse essere la radice di un autentico Umanesimo. Questa concezione ha portato gli uomini a centrarsi su se stessi, a ripiegarsi solo sulla propria vita e sul proprio modello di società, sul proprio personale benessere; ha spinto ad agire per ribaltare tutto quanto la società aveva costruito nell'ambito della morale, del diritto, delle regole di condotta in genere. Il bisogno di uscire fuori dai parametri sociali comuni, di evadere a qualunque costo, ha portato all'uso della droga, alla violenza come mezzo di evasione e di ribellione ai quadri sociali esistenti, alla necessità del facile guadagno, al disprezzo per la vita. Questo clima ha arrecato un affievolimento anche dei vincoli familiari, alla violenza contro tutti e contro se stessi. Di più la fine delle ideologie, l'indebolimento delle fedi religiose, la secolarizzazione, fanno sì che ci sentiamo piuttosto disorientati nei confronti delle norme e dei valori. Tutti finiamo per orientarci ad un edonismo spicciolo, ad una ricerca ossessiva del piacere e del divertimento immediati, ai soldi, alla carriera, al potere: ma è l’esito ovvio di una società che presenta come modelli di “uomo riuscito” quelli che sommano in sé e mostrano e incarnano questi versanti della vita che non oso chiamare “valori”. «Se Dio non esiste, tutto è permesso» diceva Dostoevskij. Così tendiamo a rimuovere, con un'aggressività che a volte sconfina nel crimine, ogni ostacolo che si frappone alla realizzazione del nostro desiderio. A ciò aggiungiamo il fatto di vivere in società sempre più solitarie ed anonime, di essere soggetti ad un potere sempre più impersonale che ci fa sentire inermi e impotenti, il potere economico ci rende un’entità insignificante nella grande equazione dell'economia mondiale: basta un niente, una crisi passeggera, e di colpo molti sono estromessi, reietti, perdenti, emarginati, precari. Il dio-Mercato è il moloch che educa alla violenza e il vero nome dell’insicurezza è Precarietà; arginare e ridurre le ingiustizie e le ineguaglianze sociali, mitigare le situazioni di sofferenza e povertà è dare sicurezza, eliminare le radici della violenza. Non da oggi diciamo che proporre la sola guerra come soluzione dei problemi di larga fetta dell’umanità, è terreno di cultura per nuova e più aspra violenza e che spesso quelli che onoriamo come eroi sono in realtà essi stessi vittime delle facili e ottuse scelte di guide grandi solo nella loro miopia; non da oggi diciamo che costruire le proprie fortune politiche (o le proprie “fortune”) creando e costruendo mediaticamente un “nemico” da combattere e abbattere ad ogni costo, ha un terribile impatto educativo sulla società; non da oggi diciamo che la “caccia all’untore” in cui è stato trasformato il gigantesco e ineliminabile fenomeno migratorio non può che far crescere il razzismo e insieme la fiducia nella violenza e nella forza bruta: ne sono testimoni i muri delle nostre civilissime città, testimoni non muti di una follia già conosciuta nella storia! La peste della violenza la portiamo dentro di noi, non sta nei lavavetri, nei rom, nei rumeni, nei tossici, nelle prostitute, nei magrebini, nei musulmani, in chi non ha casa né lavoro né pane né dignità riconosciuta. Giorgio Bocca diceva che questo desiderio di pena di morte, di chiusura delle frontiere, oggi di deportazione in massa degli stranieri, di fiducia cieca nella forza, questo trasformare la solidarietà in buonismo da deridere, è “voglia di fascismo”. La rinuncia a pensare, a capire, l’affidarsi ad una cultura fatta di slogans, la scelta della menzogna come principio di azione politica, il rinascente culto della personalità, il bisogno e poi il servile ossequio di un capo, mi fanno pensare che forse non ha torto… dwf
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