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"La coscienza del cristiano è impegnata a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo" ____________________________________________________________________________________________________________________

domenica 16 dicembre 2007

IV domenica di Avvento

Due protagonisti, Giuseppe e Maria, ma in realtà uno solo: Dio, che prepara un evento di salvezza. Un evento che matura nella sofferenza umana e psicologica di due persone, come spesso avviene per i progetti di Dio. Due persone, un uomo “giusto”, una donna povera, che vivono un dramma personale. Come sempre nella storia della salvezza Dio si manifesta attraverso strumenti poveri, strumenti deboli; si manifesta attraverso la collaborazione dei “piccoli”. Mi colpisce il fatto che en-trambi, Giuseppe e Maria, sono “interpreti” silenziosi, né l’uno né l’altra dicono una parola. Un fatto che darà agio a zelanti predicatori di addebitare loro ogni interpretazione, ogni stato d’animo, ogni psicologismo… e darà modo di esaltare la loro esemplare “obbedienza” così attuale in un tempo in cui in ogni campo in cui si svolge la nostra vita tutti cercano il nostro “obbediente silenzio”: silenzio nella vita ecclesiale, silenzio nella vita politica, silenzio a riguardo delle scelte economiche, silenzio a riguardo della giustizia, silenzio a riguardo della verità che non va cercata attraverso domande, dubbi, indagini, verità parziali, ma deve essere tacitamente accolta così come ti viene data da chi “la possiede” come un dato.
Una prima sottolineatura: la via della sofferenza ci è spesso indicata dalla Scrittura come il nostro modo tipico di collaborare con Dio nella realizzazione del suo progetto di salvezza; forse questo pensiero può dare sostegno e forza ai molti che vivono con sofferenza spirituale questo tratto di sto-ria sociale ed ecclesiale.
Una seconda sottolineatura: il silenzio, oggi per noi, è ancora una virtù? È di fronte a Dio e al dipa-narsi dei suoi misteriosi eventi che Maria e Giuseppe tacciono, non dicono una parola, sembrano come in ombra; ma è per non occupare il posto centrale. La loro posizione è relativa all’Emmanuele, condividendone la situazione e il destino, il rifiuto e l'accoglienza. Sono obbedienti, non protagonisti, ma neppure sono timidi e passivi strumenti nelle mani di un Altro: in realtà sono collaboratori, cooperatori, in qualche misura corresponsabili dell’Evento. In un mondo, sociale ed ecclesiale, di arroganti, di giudici severi degli altri ma arrendevoli, miti e lassisti con se stessi, in un mondo dove la verità è “posseduta” ed usata come clava, in un mondo dove tanti urlano per non far sentire il nulla che hanno da dire, il silenzio è proprio una virtù? Diceva il card. Martini in un me-morabile discorso del 1995, citando S. Ambrogio: «C'è un tempo adatto per tutto: un tempo per ta-cere e un tempo per parlare. Devi tacere quando non trovi un interlocutore disponibile; devi parlare quando il Signore ti concede una lingua sapiente, così da rendere efficace il tuo discorso nel cuore dei tuoi ascoltatori» (Explanatio Psalmi XLIII, 72); e continua: «È necessario, da una parte, prendere atto che non è dato oggi di perseguire l'obiettivo di cristianizzazione della società con strumenti forti del potere; dall'altra, preservare con la massima cura e quasi gelosia la differenza e la peculiarità della Parola cristiana rispetto alle parole correnti, sapendo che proprio così la Parola sarà efficace anche per la salvaguardia e la promozione dell'ethos pubblico di una nazione». Ottima meditazione è comunque tutto il discorso, di cui suggerisco la meditazione (http://www.chiesadimilano.it) per dare il giusto valore spirituale al “silenzio”, senza farne un alibi alla propria pavidità ed al proprio opportunismo e senza delegare ad altri la parola. Viviamo in un tempo in cui si parla molto (forse troppo) della Chiesa e la Chiesa parla molto (forse troppo) di sé stessa, a volte con l’obiettivo di una “cristianizzazione della società con gli strumenti forti del pote-re”; e dunque, proprio per preservare con la “massima cura e gelosia la differenza e la peculiarità della Parola cristiana rispetto alle parole correnti”, oggi il silenzio non è più una virtù! È necessario parlare, è necessario ridare primato a Dio, all’evangelizzazione, all’imprevedibilità delle strade in-dicate dalla Parola, come era imprevedibile e “diverso” dai calcoli umani il “futuro, l’Avvento pro-gettato da Dio per Maria e Giuseppe. Il futuro pensato da Dio non è mai in continuità con il presente dell’uomo. I suoi progetti richiedono strappi, rotture, dialettica. La fede in Lui richiede disponibilità ad uscire dallo status quo rassicurante. Il cristiano e la Chiesa non possono trincerarsi nel chiuso della propria sicurezza dottrinale e nella “mummia” di una “tradizione” malintesa per proteggere la propria identità ed un ruolo, un peso morale ed un rilievo sociali che offrono sicurezza, prestigio e privilegi. Giuseppe, per obbedire all’imprevedibilità di Dio, ribalta un progetto di vita familiare probabilmente già articolato nei dettagli pensati e sognati; Maria per la stessa imprevedibilità sa rischiare la solitudine, l'abbandono, e sa prestare il corpo e la mente perché siano luogo d'innesto di un futuro sognato da Dio. Ma il sogno di Dio era “farsi uomo” e rimanere fra gli uomini. Come entrare noi pure nel “sogno di Dio”? Non ponendoci mai lontano dagli uomini né fuori dal mondo, ma vivendo nel concreto una totale disponibilità ad aiutare questo mondo e questa umanità che Dio ama, amando le diversità e l’imprevedibilità del futuro che Dio pazientemente costruisce.

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