Concludo la pubblicazione delle "omelie" richiestemi da Adista con quella per Natale. La offro come meditazione per un Natale alternativo rispetto a quello offerto dal contesto e come augurio ai miei pochi affezionati lettori!
È difficile la festa di Natale! Si dibatte ormai tra la retorica del consumismo, la retorica del buonismo, la retorica delle frasi fatte religiose, la retorica non del sentimento ma dei sentimentalismi, la retorica di una gioia a comando che spesso è solo nostalgia della gioia che avevamo da bambini di fronte al differenziarsi del Natale da ogni altro giorno…
Eppure resta vero ciò che scrive San Leone Magno: «Non c'è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e porta la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti. Esulti il santo, perché si avvicina il premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita». Forse ragioni di gioia le possiamo trovare proprio nella meditazione di ciò che è quel bambino: il Figlio di Dio che “si fa carne”! Forse ragioni di gioia le possiamo trovare nella valutazione del contesto in cui questo evento inaudito e impensabile da mente umana avviene.
Da alcuni anni cerco di aiutare questa comprensione per la mia comunità realizzando il presepio in una forma non originale ma espressiva: l’altare della mia chiesa diventa la grotta di Betlemme dove trovano posto i protagonisti del fatto, Maria, Giuseppe, il Bambino, l’asino e il bue; davanti all’altare, sui gradini che scendono verso la navata trovano posto i pastori prima e i magi poi; ma dai gradini il presepio deborda nella navata stessa, come per abbracciare e includere in sé tutti coloro che sono venuti magari convinti di festeggiare un compleanno, o perché richiamati da nostalgie di infanzia, o perché, segnati dalla vita, provano anche questa possibilità di un eventuale momento di serenità. Ma ciò che voglio aiutare a capire con questo semplice strumento è la sostanza del Natale: il Figlio di Dio si è fatto carne, si è fatto uomo, ha amato la vita dell’uomo, oserei dire che ha “invidiato” la nostra vita, tanto da volerla condividere; ma si è fatto carne nel “verso” della storia dell’uomo, non nel “dritto”! Come quando contempliamo un arazzo: è solo il confuso, caotico, apparentemente irrazionale e brutto a vedersi intreccio di fili del “verso” che dà corpo alla bellezza, alla nitidezza, alla gioia di guardare finalmente il “dritto”. Così è per il presepio, o meglio per l’evento rappresentato dal presepio: una festa che include, una festa che abbraccia tutti quale che sia la condizione di vita di ognuno.
Del resto, consideriamo il contesto: una grotta, ricovero di animali domestici. Poesia? No, puzza! I protagonisti: Maria, una ragazza madre che avrà indubbiamente dato molto da parlare alle pettegole e ai benpensanti di Nazareth; Giuseppe, un giovane padre che non riesce a fornire alla sua sposa che sta per partorire niente di meglio di una stalla; i pastori, reietti, emarginati, gente esclusa dai rapporti sociali e religiosi perché di poca onestà, sempre pronti ad approfittare delle proprietà altrui per mantenere in vita in quell’arida terra la loro unica ricchezza, il gregge; di più, assolutamente improponibili e impresentabili perché di indubbia immoralità, data la loro convivenza con il loro gregge! E poi un bambino, in una mangiatoia, un bambino segno di fragilità, di debolezza, di povertà, di dipendenza totale: è proprio il rovesciamento della logica umana per la quale contano la ricchezza, il potere, gli onori, l’autorità… è un fatto che sconvolge il nostro comune modo di pensare, anche religioso! Perché il farsi carne di Dio in questo modo dà fiato e speranza ai poveri della terra, ai derelitti, a quelli che non contano, agli esclusi, ai reprobi, ai moralmente impresentabili. Ecco, a Natale tutti sono inclusi, tutti hanno il diritto di esserci, tutti hanno diritto a un pezzo di pane e di speranza e di accoglienza, tutti sono a diritto nel presepio: il tossico e la prostituta, chi ha perso fiducia, chi è in carcere o è uscito per l’indulto ed è guardato come se anche di questo fosse colpevole, chi prende continuamente porte in faccia o è messo da parte, le coppie “regolari” e le coppie “di fatto”, l’omosessuale che si sente discriminato ed emarginato e guardato con sospetto e l’eterosessuale che cerca faticosamente di imparare ad amare, magari sbagliando i percorsi, lo straniero, come i magi, con la loro religiosità aperta alla ricerca, i credenti non sazi e sicuri nei loro “punti fermi”, ma sempre in cammino un po’ a tentoni, i mal credenti con l’insoddisfazione per i vuoti che trovano in sé, gli atei non “devoti” al loro clericalismo ma perché atei più per disperazione che per convinzione, poiché la loro onesta ricerca è finita in “sentieri interrotti”… Tutti possono tornare a casa lasciando risuonare la parola più bella che risuona a Natale: «Non temete!». «Come Cristo da ricco che era si fece povero, così anche la Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria della terra, bensì per diffondere anche col suo esempio, l'umiltà e l'abnegazione: essa riconosce nei poveri l'immagine del suo Fondatore» (Lumen Gentium, 8). E dunque, buon Natale ai poveri, agli ultimi, agli sconfitti. Per noi, è nato un Salvatore: Dio abita la nostra debole umanità. E non è assente per nessuno.
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