Data l'attualità e l'interesse riprendo l'articolo pubblicato da Agostino Pietrasanta su http://www.cittafutura.al.it
Sono cose che non stupiscono, ma certamente non esaltano. Un politico “di razza”, che spadroneggia nell’area di centro/sinistra, sostiene la necessità degli inciuci nei rapporti tra le parti che dovrebbero decidere del destino istituzionale, e non solo, del Paese. E per darne prova tangibile e provarne la ragionevolezza, cita l’accordo in Costituente, sull’art.7 della Costituzione, ben noto a tutti come la sanzione formale dei rapporti Stato/Chiesa, fondati sui Patti lateranensi.
Personalmente non mi ha neppure stupito che la citazione proposta sia stata riportata, con “rispettoso” rilievo e riproposta virgolettata, ma con evidente espressione di consenso, dal quotidiano cattolico nazionale, “vulgo dictus” dei Vescovi italiani: non mi ha stupito, ma, ancora una volta, non esaltato. Così non ho potuto non sottolineare nel pensiero che, quasi contemporaneamente, un quotidiano “laico”, per la penna di un giornalista che si dichiara non credente abbia al contrario osservato che quell’accordo non fu affatto un inciucio, ma un trasparente atto politico con il quale i Costituenti, col concorso indispensabile del P.C.I., avrebbero voluto superare la storica contrapposizione tra “laici” e cattolici.
Richiamo la schermaglia solo per introdurre poche osservazioni che mi paiono indispensabili: ovviamente tra le tante possibili. Certamente si trattò di un rilevante e cospicuo atto politico, non condiviso dall’unanimità ed ancora oggi contestato legittimamente (non tutto ciò che è legittimo deve essere per forza condiviso) anche da persone di ragguardevole senso delle istituzioni e dello Stato.
Pensiamo, per intanto, al contesto, in cui il rilevante atto politico (non l’inciucio!) ebbe corso e conclusione. La Chiesa, nonostante gli innegabili compromessi col regime del ventennio, negli anni conclusivi del secondo conflitto mondiale, aveva acquisito un prestigio di grande rilievo ed una popolarità significativa. Già negli anni sessanta, la storiografia lo aveva intuito; le ricerche e gli studi successivi hanno, da tempo, confermato. Le ragioni sono indicate nel fatto che mentre le istituzioni statuali si sfaldavano, in particolare dopo l’otto settembre, e le alte cariche dello Stato, centrali e periferiche scappavano, alla lettera, dalle loro responsabilità, la Chiesa nei suoi vertici rimase al proprio posto e, comunque la pensassero, vescovi preti e, prima di loro il papa si assunsero anche responsabilità di supplenza in campo civile.
Forte di tale prestigio, a conflitto concluso, la Chiesa vantò il diritto “all’incasso”: chiedeva che nella nuova Costituzione fosse mantenuto il principio affermato nello statuto Carlo/albertino, per il quale la religione cattolica era “religione di Stato” e che le fossero garantite le prerogative (qualcuno dice, privilegi) previste dai “patti lateranensi”. La richiesta fu esplicitata nella prolusione alla XIX settimana sociale dei cattolici italiani, celebrata a Firenze nell’ottobre del 1945 sul tema “Costituzione e costituente”, dal card. Elia dalla Costa, arcivescovo della città.
Alla prima richiesta rispose subito La Pira, nel corso dei lavori della settimana. Egli affermò con forza che si poteva benissimo fondare la nuova Costituzione anche sulla ispirazione cristiana, ma che detta ispirazione “non consiste nel fatto che lo Stato riconosca la religione cattolica come religione di Stato…essa dipende invece dall’oggetto della carta che deve avere come fine la persona umana…”
Ora in questa risposta sta la prima ragione del comportamento dei costituenti cattolici nella prima sottocommissione che preparò le bozze della Carta da presentare in assemblea e sta la premessa dell’incontro con i costituenti “laici”: il superamento dello Stato cattolico, il superamento cioè dell’idea di istituzioni come braccio secolare della religione; e, nel contempo, ci sta la proposta di una ispirazione cristiana della politica che si confronta, al massimo possibile dei valori conseguenti, per la costruzione della Stato o, se vogliamo, per la costruzione della città dell’uomo.
Altro che inciucio! vero on. D’Alema? Peraltro, Ella sa benissimo che gli inciuci si fanno per la gestione del potere e, molto spesso, senza fini, né obiettivi di programma: non per l’incontro sui valori da confrontare con la forza della dialettica democratica.
Più difficile salvaguardare i caratteri della laicità a fronte della richiesta di mantenere all’Italia i “patti lateranensi”. Qui sul serio, però, fu realizzato il massimo possibile di indipendenza dello Stato dalla Chiesa, date le circostanze di contesto che abbiamo richiamato.
In fondo si trattava di scegliere tra due opzioni: accedere al ricatto politico, presentando agli interlocutori “laici” il costo altissimo di una rottura con la S. Sede; oppure salvaguardare la sostanza delle richieste della Chiesa, proponendo un modello accettabile alla cultura ed alla coscienza giuridica contemporanea. Si scelse la seconda opzione, grazie all’intervento (rectius, all’iniziativa) di Giuseppe Dossetti, alla forza del suo gruppo in Costituente ed alla risposta dialettica, ma attenta e sostanzialmente positiva di Togliatti.
Dossetti che era anche un canonista e dunque ben consapevole del ruolo da giocare, richiamò il principio degli ordinamento sovrani ed originari individuando tanto nella Chiesa, quanto nello Stato i depositari di tale sovranità; ne conseguiva che né la Chiesa poteva dipendere dallo Stato, né quest’ultimo dalla Chiesa: la loro indipendenza era pertanto un reciproco conseguente. Il regime concordatario fu così basato su tale presupposto di cultura giuridica. Certo, fra tutti i possibili percorsi concordatari si scelse quello lateranense, ma questo fu appunto l’inevitabile presa d’atto di una situazione di cui abbiamo già detto e le cui conseguenze sarebbero potute sfuggire di mano alla gestione dei rapporti Stato/Chiesa, nella temperie del secondo dopo/guerra.
Resta intesa la legittima opzione di una diversa interpretazione dei fatti e delle scelte sullo specifico; ciò che non si può negare è lo sforzo lucidissimo di una classe dirigente che volle decidere autonomamente sui criteri da seguire in materie sulle quali non poteva ignorare (o non ha voluto ignorare) le richieste della Chiesa.
La conseguenza si espresse in una decisione autonoma dei laici che si ispirano ai principi della coscienza cristiana, sulle scelte concrete che attengono la costruzione della città dell’uomo; lo avrebbe poi richiamato il Concilio. Sinceramente qui, non vedo che cosa ci sia di inciucio.
Mi sia permesso, lo chiedo con sincera umiltà, un semplice invito. On. D’Alema, se proprio vuol rilanciare e nobilitare l’inciucio, individui altri temi ed altri protagonisti: attorno a Lei non ne mancano certo. Auguri per la scelta!
Agostino Pietrasanta (27/12/2009)
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