Pubblico il pezzo che con i miei due compagni d'avventura abbiamo steso di getto appena rientrati - si fa per dire - da Gaza! Mi sembra che esprima bene e bene faccia comprendere qual è la tragica situazione. Gaza è un autentico "campo di concentramento" da cui nessuno esce e niente e nessuno può entrare se la sicurezza israeliana non lo consente (e non lo consente quasi mai), non solo dalla cosiddetta "guerra" (perchè ci sia una guerra ci devono essere almeno due eserciti che si contrappongono, sia pure nella disparità di forze... quello che c'è stato è stato solo un vero e proprio massacro: 1500 morti, per ora, di cui 400 bambini. Gaza era da anni e anni una prigione a cielo aperto; ora è un campo di concentramento. Rischio l'accusa di antisemitismo se affermo che quello che è Yad Vashem (il Museo della Shoah a Gerusalemme) per gli Ebrei, sta diventando Gaza per i Palestinesi, con la differenza che a Yad Vashem ci sono foto e documenti, mentre a Gaza ci sono un milione e mezzo di esseri umani!
8 marzo 2009, seconda domenica di Quaresima
I permessi richiesti con largo anticipo, la corsia preferenziale del Patriarcato Latino, l’auto diplomatica e “le amicizie giuste” contattate fino all’ultimo momento: non e’ bastato tutto questo per farci entrare nella Striscia di Gaza. Quattro ore del nostro attendere invano ad Eretz non sono comunque nulla rispetto all’attesa di decenni di un milione e mezzo di persone per i rifornimenti sufficenti a sopravvivere ad un embargo che continua ancora intatto dopo il massacro di Natale. Ma non siamo i soli ad essere stati respinti. Davanti alla bella soldatessa che distribuisce a tutti con soddisfazione lo stesso rifiuto ad un sospirato ingresso nella prigione di Gaza, siamo comunque in buona compagnia: dai funzionari svizzeri della Croce Rossa internazionale ai membri di un’equipe di tecnici dell’Unione Europea, ai dottori svedesi che seguono progetti per la salute mentale dei bambini. È uno di loro che ci bisbiglia sottovoce: “Noi avevamo monitorato anche la città di Jenin dopo la strage, ma qui a Gaza, stavolta, il livello distruttivo del massacro non ha paragoni con quello del 2002”. La fila dei rifiutati ad Eretz annovera nel tempo figure ben più autorevoli di noi, dal Relatore Speciale dell’ONU Falk al Patriarca Emerito di Gerusalemme e al Nunzio Apostolico, dalla delegazione degli Enti locali per la pace con Flavio Lotti e l’intero staff italiano la scorsa settimana ai membri di Medici senza frontiere che stamattina sperano che l’assoluta arbitrarietà dei responsabili dell’ingresso nella prigione di Gaza giochi a loro favore.
Non conta chi tu sei. Tutti fuori. Non c’è niente da vedere nella Striscia devastata da venti giorni di feroce assalto dal cielo, dalla terra e dal mare. E noi ingenui a pretendere la motivazione del rifiuto: ad ogni cambio di guardia continuavamo a domandare se fosse arrivato il permesso ma la risposta era sempre uguale.
La sicurezza. Ecco il motivo per cui oggi non possiamo entrare a Gaza. La sicurezza: il grande, assoluto motivo che giustifica da anni ogni azione illegale e criminale di Israele, il grande dio a cui sacrificare tutto. “La sicurezza - ci ricordava qualche giorno fa un prete vicino a Ramallah - è la prima religione in Terra santa, l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam vengono subito dopo”.
Per motivi di sicurezza oggi tre preti italiani non possono andare a celebrare la Messa nella parrocchia di Gaza. In effetti, la preghiera può essere davvero pericolosa, perché Dio non ha mai sopportato i soprusi dei violenti e l’arroganza degli oppressori, e “ha rovesciato i potenti dai troni e innalzato gli umili”.
Sotto il sole del valico di Eretz, lo stesso che a pochi metri di distanza fa maturare le meravigliose fragole di Gaza -ormai tutte inquinate, come del resto l’ottimo pesce, dalle armi di distruzione di massa israeliane - aspettiamo invano l’ennesima gentile concessione dell’esercito di occupazione, ma ad ogni ora che passa si fa più chiara la percezione che nessuna autorità al mondo, né quelle consolari (“Stiamo provando... ma in certi casi è meglio non forzare...”) né quelle ecclesiastiche, possono illudersi di dare indicazioni alla suprema autorità che difende la sicurezza di Israele.
Solo la voce calda e tristissima del parroco di Gaza ci benedice da quel suo cellulare che durante l’assedio di Natale inviava ogni giorno ai suoi parrocchiani disperati, un versetto del Vangelo via sms: “La comunità cristiana di Gaza è triste oggi - ci dice abouna Manawel - perché avevamo preparato per voi una grande festa. Vi aspettavamo per celebrare l’Eucarestia in comunione con le chiese in Italia e per un bel pranzo, ma non ci rassegnamo all’ennesima prova. Continuiamo a sperare in Dio!”.
Negli uomini, in effetti, è molto più difficile riporre la nostra speranza... Sembra ricordarcelo l’enorme dirigibile militare che dal cielo spia ogni movimento di ogni palestinese di Gaza, strumento sottile per quella che viene ritenuta dal mondo intero una lotta senza quartiere contro tutte le forme di terrorismo che in ogni istante agiscono con l’obiettivo di distruggere lo stato d’Israele.
I fiori di campo, con la loro elegante bellezza, si distendono dentro i prati di Gaza ben oltre questo terminal di cemento e odio, annunciando la primavera. Poco più in là le tracce minacciose dei cingolati nel fango rappreso sanno solo ricordarci una “Striscia” infinita di sangue e una tregua che non ha niente a che fare con la pace.
E mentre il vento, irriverente forza della natura che Israele non e’ ancora riuscito a controllare, porta fino a noi il suono delle campane a festa della chiesa di Gaza, non ci resta che risalire nella macchina diplomatica per far ritorno a Gerusalemme.
don Mario Cornioli, don Nandino Capovilla, don Walter Fiocchi
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