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"La coscienza del cristiano è impegnata a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo" ____________________________________________________________________________________________________________________

giovedì 31 luglio 2008

Quale cristianesimo nel mondo postmoderno

Da "Avvenire" di domenica 27 luglio 2008! Testo originale in "America" di maggio del 2008, ricavato da una conferenza del 3 maggio 2007 al XIVL capitolo generale dell'Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane di Roma
di Carlo Maria Martini


Che cosa posso dire sulla realtà della Chiesa cattolica oggi? Mi lascio ispirare dalle parole di un grande pensatore ed uomo di scienza russo, Pavel Florenskij, morto nel 1937 da martire per la sua fede cristiana: «Solo con l'esperienza immediata è possibile percepire e valutare la ricchezza della Chiesa». Per percepire e valutare le ricchezze della Chiesa bisogna attraversare l'esperienza della fede.
Sarebbe facile redigere una raccolta di lamentele piena di cose che non vanno molto bene nella nostra Chiesa, ma questo significherebbe adottare una visione superficiale e deprimente, e non guardare con gli occhi della fede, che sono gli occhi dell'amore. Naturalmente non dobbiamo chiudere gli occhi sui problemi, dobbiamo tuttavia cercare anzitutto di comprendere il quadro generale nel quale essi si situano.

Un periodo straordinario nella storia della chiesa
Se dunque considero la situazione presente della Chiesa con gli occhi della fede, io vedo soprattutto due cose.
Primo, non vi è mai stato nella storia della Chiesa un periodo così felice come il nostro. La nostra Chiesa conosce la sua più grande diffusione geografica e culturale e si trova sostanzialmente unita nella fede, con l'eccezione dei tradizionalisti di Lefebvre.
Secondo, nella storia della teologia non vi è mai stato un periodo più ricco di quest'ultimo.
Persino nel IV secolo, il periodo dei grandi Padri della Cappadocia della Chiesa orientale e dei grandi Padri della Chiesa occidentale, come San Girolamo, Sant'Ambrogio e Sant'Agostino, non vi era un'altrettanto grande fioritura teologica.
È sufficiente ricordare i nomi di Henri de Lubac e Jean Daniélou, di Yves Congar, Hugo e Karl Rahner, di Hans Urs von Balthasar e del suo maestro Erich Przywara, di Oscar Cullmann, Martin Dibelius, Rudolf Bultmann, Karl Barth e dei grandi teologi americani come Reinhold Niebuhr - per non parlare dei teologi della liberazione (qualunque sia il giudizio che possiamo dare di loro, ora che ad essi viene prestata una nuova attenzione dalla Congregazione della Dottrina della fede) e molti altri ancora viventi. Ricordiamo anche i grandi teologi della Chiesa orientale dei quali conosciamo così poco, come Pavel Florenskij e Sergei Bulgakov.
Le opinioni su questi teologi possono essere molto diverse e variegate, ma essi certamente rappresentano un incredibile gruppo, come non è mai esistito nella Chiesa nei tempi passati.
Tutto ciò è avvenuto in un mondo carico di problemi e di sfide, come la ingiusta distribuzione delle ricchezze e delle risorse, la povertà e la fame, i problemi della violenza diffusa e del mantenimento della pace. È poi particolarmente vivo il problema della difficoltà di comprendere con chiarezza i limiti della legge civile in rapporto alla legge morale. Questi sono problemi molto reali, soprattutto in alcuni Paesi, e sono spesso oggetto di differenti letture che generano una dialettica anche molto accesa.
A volte sembra possibile immaginare che non tutti stiamo vivendo nello stesso periodo storico. Alcuni è come se stessero ancora vivendo nel tempo del Concilio di Trento, altri in quello del Concilio Vaticano Primo. Alcuni hanno bene assimilato il Concilio Vaticano Secondo, altri molto meno; altri ancora sono decisamente proiettati nel terzo millennio. Non siamo tutti veri contemporanei, e questo ha sempre rappresentato un grande fardello per la Chiesa e richiede moltissima pazienza e discernimento.
Ma preferisco accantonare almeno per il momento questo genere di problemi e considerare piuttosto la nostra situazione pedagogica e culturale con le conseguenti questioni collegate all'educazione e all'insegnamento.

Una mentalità postmodernaPer cercare un dialogo proficuo tra la gente di questo mondo ed il Vangelo e per rinnovare la nostra pedagogia alla luce dell'esempio di Gesù, è importante osservare attentamente il cosiddetto mondo postmoderno, che costituisce il contesto di fondo di molti di questi problemi e ne condiziona le soluzioni.
Una mentalità postmoderna potrebbe essere definita in termini di opposizioni: un'atmosfera e un movimento di pensiero che si oppone al mondo così come lo abbiamo finora conosciuto. È una mentalità che si distacca spontaneamente dalla metafisica, dall'aristotelismo, dalla tradizione agostiniana e da Roma, considerata come la sede della Chiesa, e da molte altre cose.
Il pensare postmoderno è lontano dal precedente mondo cristiano platonico in cui erano dati per scontati la supremazia della verità e dei valori sui sentimenti, dell'intelligenza sulla volontà, dello spirito sulla carne, dell'unità sul pluralismo, dell'ascetismo sulla vitalità, dell'eternità sulla temporalità. Nel nostro mondo di oggi vi è infatti una istintiva preferenza per i sentimenti sulla volontà, per le impressioni sull'intelligenza, per una logica arbitraria e la ricerca del piacere su una moralità ascetica e coercitiva. Questo è un mondo in cui sono prioritari la sensibilità, l'emozione e l'attimo presente. L'esistenza umana diventa quindi un luogo in cui vi è libertà senza freni, in cui una persona esercita, o crede di poter esercitare, il suo personale arbitrio e la propria creatività.
Questo tempo è anche di reazione contro una mentalità eccessivamente razionale. La letteratura, l'arte, la musica e le nuove scienze umane (in particolare la psicoanalisi) rivelano come molte persone non credono più di vivere in un mondo guidato da leggi razionali, dove la civiltà occidentale è un modello da imitare nel mondo. Viene invece accettato che tutte le civiltà siano uguali, mentre prima si insisteva sulla cosiddetta tradizione classica. Oggi un po' tutto viene posto sullo stesso piano, perché non esistono più criteri con cui verificare che cosa sia una civiltà vera e autentica.
Vi è opposizione alla razionalità vista anche come fonte di violenza perché le persone ritengono che la razionalità può essere imposta in quanto vera.
Si preferisce ogni forma di dialogo e di scambio per il desiderio di essere sempre aperti agli altri e a ciò che è diverso, si è dubbiosi anche verso se stessi e non ci si fida di chi vuole affermare la propria identità con la forza. Questo è il motivo per cui il cristianesimo non viene accolto facilmente quando si presenta come la 'vera' religione. Ricordo un giovane che recentemente mi diceva: «Soprattutto, non mi dica che il cristianesimo è verità. Questo mi dà fastidio, mi blocca. È diverso che dire che il cristianesimo è bello...». La bellezza è preferibile alla verità.
In questo clima, la tecnologia non è più considerata uno strumento al servizio dell'umanità, ma un ambiente in cui si danno le nuove regole per interpretare il mondo: non esiste più l'essenza delle cose, ma solo l'utilizzo di esse per un certo fine determinato dalla volontà e dal desiderio di ciascuno.
In questo clima, è conseguente il rifiuto del senso del peccato e della redenzione. Si dice: «Tutti sono uguali, ma ogni persona è unica».
Esiste il diritto assoluto di essere unici e di affermare se stessi. Ogni regola morale è obsoleta. Non esiste più il peccato, né il perdono, né la redenzione e tanto meno il «rinnegare se stessi». La vita non può più essere vista come un sacrificio o una sofferenza.
Un'ultima caratteristica della postmodernità è il rifiuto di accettare qualunque cosa che sa di centralismo o di volontà di dirigere le cose dall'alto.
In questo modo di pensare vi è un «complesso anti-romano». Siamo ormai oltre il contesto in cui l'universale, ciò che era scritto, generale e senza tempo, contava di più; in cui ciò che era durevole e immutabile veniva preferito rispetto a ciò che era particolare, locale e datato. Oggi la preferenza è invece per una conoscenza più locale, pluralista, adattabile a circostanze e a tempi diversi.
Non voglio ora esprimere giudizi. Sarebbe necessario molto discernimento per distinguere il vero dal falso, che cosa viene detto con approssimazione da ciò che viene detto con precisione, che cosa è semplicemente una tendenza o una moda da ciò che è una dichiarazione importante e significativa. Ciò che mi preme sottolineare è che questa mentalità è ormai dappertutto, soprattutto presso i giovani, e bisogna tenerne conto.
Ma voglio aggiungere una cosa. Forse questa situazione è migliore di quella che esisteva prima. Perché il cristianesimo ha la possibilità di mostrare meglio il suo carattere di sfida, di oggettività, di realismo, di esercizio della vera libertà, di religione legata alla vita del corpo e non solo della mente. In un mondo come quello in cui viviamo oggi, il mistero di un Dio non disponibile e sempre sorprendente acquista maggiore bellezza; la fede compresa come un rischio diventa più attraente. Il cristianesimo appare più bello, più vicino alla gente, più vero.
Il mistero della Trinità appare come fonte di significato per la vita e un aiuto per comprendere il mistero dell'esistenza umana.

«Esamina tutto con discernimento»
Insegnare la fede in questo mondo rappresenta nondimeno una sfida. Per essere preparati, bisogna fare proprie queste attitudini:
Non essere sorpreso dalla diversità. Non avere paura di ciò che è diverso o nuovo, ma consideralo come un dono di Dio. Prova ad essere capace di ascoltare cose molto diverse da quelle che normalmente pensi, ma senza giudicare immediatamente chi parla. Cerca di capire che cosa ti viene detto e gli argomenti fondamentali presentati. I giovani sono molto sensibili ad un atteggiamento di ascolto senza giudizi. Questa attitudine dà loro il coraggio di parlare di ciò che realmente sentono e di iniziare a distinguere che cosa è veramente vero da ciò che lo è soltanto in apparenza. Come dice San Paolo: «Esamina tutto con discernimento; conserva ciò che è vero; astieniti da ogni specie di male» (1 Ts 5:21-22).
Corri dei rischi. La fede è il grande rischio della vita. «Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt. 16,25). Tutto deve essere dato via per Cristo e il suo Vangelo.
Sii amico dei poveri. Metti i poveri al centro della tua vita perché essi sono gli amici di Gesù che ha fatto di se stesso uno di loro.
Alimentati con il Vangelo. Come Gesù ci dice nel suo discorso sul pane della vita: «Perché il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo» (Gv. 6,33).

Preghiera, umiltà e silenzio
Per aiutare a sviluppare queste attitudini, propongo quattro esercizi:
1. Lectio divina. È una raccomandazione di Giovanni Paolo II: «In particolare è necessario che l'ascolto della Parola diventi un incontro vitale, nell'antica e sempre valida tradizione della lectio divina che fa cogliere nel testo biblico la parola viva che interpella, orienta, plasma l'esistenza» ( Novo Millennio Ineunte, N. 39). «La Parola di Dio nutre la vita, la preghiera e il viaggio quotidiano, è il principio di unità della comunità in una unità di pensiero, l'ispirazione per il rinnovamento continuo e per la creatività apostolica» ( Ripartendo da Cristo, N. 24).
2. Autocontrollo. Dobbiamo imparare di nuovo che sapere opporsi alle proprie voglie è qualcosa di più gioioso delle concessioni continue che appaiono desiderabili ma che finiscono per generare noia e sazietà.
3. Silenzio. Dobbiamo allontanarci dalla insana schiavitù del rumore e delle chiacchiere senza fine, e trovare ogni giorno almeno mezz'ora di silenzio e mezza giornata ogni settimana per pensare a noi stessi, per riflettere e pregare.
Questo potrebbe sembrare difficile, ma quando si riesce a dare un esempio di pace interiore e tranquillità che nasce da tale esercizio, anche i giovani prendono coraggio e trovano in ciò una fonte di vita e di gioia mai provata prima.
4. Umiltà. Non credere che spetti a noi risolvere i grandi problemi dei nostri tempi. Lascia spazio allo Spirito Santo che lavora meglio di noi e più profondamente. Non cercare di soffocare lo Spirito negli altri, è lo Spirito che soffia. Piuttosto, sii pronto a cogliere le sue manifestazioni più sottili. Per questo hai bisogno di silenzio.

mercoledì 23 luglio 2008

I fatti e le parole

Una lettera aperta dei Beati i costruttori di pace in merito al documento "L'Arcobaleno: sincretismo o pace?" dell'Agenzia Fides

Abbiamo conosciuto molto in ritardo il vostro documento: "L'Arcobaleno: sincretismo o pace?". Abbiamo letto anche le risposte semplici e chiare di alcuni amici; per questo avevamo rinunciato a intervenire. Ma quando, il 10 luglio scorso sul quotidiano "Libero", abbiamo letto l'articolo volgare e violento contro l'arcivescovo Luigi Moretti, perché a Lourdes aveva dispiegato davanti alla statua della Madonna una bandiera della pace e abbiamo scoperto che il vostro documento è servito da motivo e supporto per quell'attacco, non abbiamo potuto non indignarci non solo con il giornalista Luigi Santambrogio, ma anche con gli estensori del documento della Fides.
Siamo l'Associazione che più di altre ha contribuito alla diffusione della bandiera della pace in Italia; ma anche in Bosnia, in Kosovo, nella Repubblica Democratica del Congo, in Israele e Palestina e negli USA, in Francia , in Gran Bretagna, in Olanda, in Belgio, in Svizzera, in Germania.
Possiamo dirvi con tutta sincerità che la vostra presa di posizione è fuori luogo, fuori tempo e semplicemente ci scandalizza?
In un momento così convulso della storia italiana, che ha urgente bisogno di un forte annuncio evangelico per i più poveri, voi sentite il bisogno di mettere in guardia i cattolici dall'uso di un simbolo che in qualche raro caso ha fatto capolino anche davanti a qualche ambone e a qualche altare; in particolare nel 2003 prima e durante la guerra contro l'Iraq. Quello che impressiona della vostra nota è tutto l'impianto ideologico fondato su una realtà che non esiste proprio. La vostra ricerca sulle possibili origini e sulle possibili valenze e significati della bandiera della pace poggia tutta su una serie di ipotesi, che rispecchia forse le vostre paure ideologiche, ma che certamente non coglie le motivazioni e il significato reale dato da chi in tutti questi anni ha esposto e ha portato sulle spalle la bandiera arcobaleno come espressione della sua volontà e del suo impegno di pace e di nonviolenza.
C'è un abisso tra la vostra verità costruita per deduzione su una ipotesi smaccatamente falsa e la verità incarnata espressa dalla vita delle persone. Si sente lontano un miglio che nessuno di coloro che hanno scritto il vostro documento ha mai camminato per la pace. Lo scrivete anche voi che "sarebbe interessante interrogare uno per uno coloro che, forse anche inconsapevolmente, hanno affisso sugli altari, ingressi e campanili delle chiese lo stendardo arcobaleno". Non diciamo tutti, ma qualcuno non poteva essere interpellato da voi?
Sarebbe stata l'unica modalità corretta per affrontare il problema: "come mai uomini di chiesa, laici o chierici che siano, hanno per tutti questi anni ostentato la bandiera arcobaleno e non la croce come simbolo di pace?". Avete preferito "ipotizzare qualche risposta per loro conto" sostituendovi a loro e dando un giudizio semplicemente aberrante. I cattolici, secondo quanto scrivete, avrebbero preferito la bandiera della pace al simbolo della croce perché "la chiesa avrebbe brandito la croce come simbolo di sopraffazione". È su questo che poggia tutto il vostro castello ideologico-dottrinale accusatorio contro "i cattolici pacifisti".
Mai pensato, neanche lontanamente, di sostituire o contrapporre la bandiera arcobaleno al Crocifisso, ma nemmeno mai pensato di considerare la croce uno "stendardo". È troppo vitale e diretto il rapporto con Gesù, l'unico Dio che conosciamo, né cristiano né cattolico ma semplicemente uomo, troppo diretta la relazione di fede in Lui, il Vivente, che ci sembra blasfemo ridurre la Croce a simbolo da "ostentare". Abbiamo portato il legno della croce in manifestazioni come "Via Crucis" o "Veglie", ma all'interno di un'espressione comunitaria di fede. Mai ci siamo permessi di paragonarla o, peggio, offuscarla con la bandiera della pace!
Ma, rimanendo interni al vostro ragionamento, perché ve la prendete tanto con la bandiera della pace e non con tutti gli altri simboli presenti nelle chiese? Se dovesse essere "ostentata" solo la Croce, perché accettate tutto il resto fino al mercato delle immagini e delle candele, accese davanti a tante immagini e simulacri ma non davanti al Crocifisso. Con "offerta", si vende di tutto nelle chiese. Che ne pensate di tutto il folclore delle grandi adunate cattoliche; non solo bandiere ad hoc, ma anche magliette, cappellini, gadgets e sponsorizzazioni varie ...?
Nessun pronunciamento per la scandalosa campagna pubblicitaria, che sa più di idolatria che di devozione, per la salma di san Padre Pio. Un'operazione finanziaria in grande stile, una speculazione della pietà popolare! E a San Giovanni Rotondo non c'è la coda per il Crocifisso! Eppure il volto dell'ultimo dei bambini rom vale più di tutte le cere e di tutte le salme del mondo, perché manifesta la presenza viva del Signore. Anche le nostre eucaristie, assieme al pane e vino, si arricchiscono di tanti altri simboli al momento delle offerte, per agganciare il rito all'attualità della vita e della storia. Se aveste l'onestà e il desiderio di conoscere le storie e le vicende vissute con quella bandiera, potreste verificare di persona come è stata accolta dovunque come segno di speranza, di pace e di nonviolenza, come simbolo unificante e gioioso anche e soprattutto dentro alle sofferenze e alle crudeltà della guerra: a Sarajevo come a Pristina, a Gerusalemme come a Ramallah, a Butembo come a Bagdad; nei luoghi istituzionali come in quelli privati e in tutte le celebrazioni ecumeniche per la pace. Ricordiamo con commozione come nel 2003, durante la guerra contro l'Iraq, la proposta di digiuno fatta da Giovanni Paolo II per invocare la pace, sia stata accolta trasversalmente con immediatezza in tutto il mondo da credenti e non-credenti. Anche la bandiera della pace è stata ed è tuttora uno dei segni di questo cammino comune, non imposto né ostentato che niente ha a che vedere con i vostri esorcismi al relativismo, alla new age, al sincretismo e al movimento omosessuale. Quello che maggiormente addolora è che di fatto finora il vostro documento è servito a chi ha espresso con ironia e supponenza giudizi acri e di disprezzo contro la persona dell'arcivescovo Luigi Moretti. Non abbiamo riscontrato una vostra nota di riprovazione o di presa di distanza da quelle offese volgari.
È da un po' di tempo che responsabili di partiti politici, cui non importa del Vangelo e della pratica delle comunità ecclesiali, si impalcano a dottori di teologia e a difensori della cristianità per censurare la vita di fede di tanti cristiani. Il vostro documento fornisce loro un buon supporto.
Siamo in tempi di religione civile a discapito della fede in Gesù. Sono molti i vescovi che hanno portato sulle loro spalle la bandiera della pace e non soltanto in Italia. Ricordate don Tonino Bello, vescovo compatito e a volte vilipeso per il suo impegno per la pace quando era in vita, onorato ora da morto come profeta dei poveri e della pace. Era già in metastasi; ha voluto ad ogni costo partecipare nel dicembre '92 a quella grande azione di pace che ha visto più di 500 persone, le più varie, proprio con quella bandiera, entrare a Sarajevo, rompendo l'assedio, per testimoniare la loro volontà di pace nel cuore della guerra, accettando di mettere a rischio per amore la loro vita. Una di quelle bandiere, con la firma dei partecipanti a quell'azione, è stata posta a testimonianza e memoria prima sulla sua tomba e ora conservata ad Alessano nella sua casa natale.
A volte contano più i fatti che le parole.
Beati i costruttori di pace
Padova, 18 luglio 2008

mercoledì 16 luglio 2008

Le verità imbarazzanti

Nei giorni scorsi, in occasione del G8, grande imbarazzo ha suscitato la circolazione tra i delegati americani della nota biografica su Silvio Berlusconi, a cui sono seguite le scuse del portavoce del Governo statunitense per "l'incresciosa gaffe" compiuta - dicono - da un giovane funzionario. Quando la verità è imbarazzante... Ma del resto sarebbe stata imbarazzante anche la verità sul G8 di Genova, ancor più imbarazzante per chi oggi di nuovo governa e per i tanti che, per i meriti acquisiti in quei giorni, hanno compiuto un balzo di carriera.
Comunque mi pare interessante riportare il testo biografico americano.

Questo quanto scritto su Silvio Berlusconi: “Il premier italiano è stato uno dei più controversi leader nella storia di un paese conosciuto per corruzione nel governo e vizio. Principalmente un uomo d’affari con grandi proprietà e grande influenza sui media internazionali. Berlusconi era da molti considerato un dilettante in politica che ha conquistato la sua importante carica solo grazie alla sua notevole influenza sui media nazionali finché non ha perso il posto nel 2006. Odiato da molti ma rispettato da tutti almeno per la sua bella figura e la pura forza della sua volontà, Berlusconi ha trasformato il suo senso degli affari e la sua influenza in un impero personale che ha prodotto il governo italiano di più lunga durata assoluta e la sua posizione di persona più ricca del paese”. La nota su Berlusconi cita anche il fatto che da ragazzo organizzava spettacoli di marionette per cui faceva pagare il biglietto di ingresso e mentre studiava a Milano, il futuro premier italiano faceva soldi vendendo aspirapolvere, cantando sulle navi da crociera e facendo ritratti fotografici e – sempre a pagamento - i compiti degli altri studenti.

martedì 15 luglio 2008

Manifesto per la Sinistra Cristiana

Ma, per fortuna, ci sono ancora, nella Chiesa e nella società, fermenti diversi, che odorano più di Vangelo che di Mediaset!


Siamo tutti vittime di una disfatta della politica che, dopo la rimozione del muro di Berlino, vissuta come la vittoria ultima di una parte sull’altra, ha rinunciato a fare un mondo nuovo preferendo rilanciare il vecchio, a cominciare dal suo ancestrale sovrano “diritto alla guerra”. Ciò facendo i poteri dell’Occidente hanno abdicato alla responsabilità di guidare il corso storico, mettendo tutto nelle “mani invisibili” del Mercato, del quale si sono fatti sudditi, guardiani e sacerdoti. E questo lo dice pure Tremonti, dal fondo del pensiero reazionario. Ma poiché il meccanismo così innescato ha creato isole di ricchezza in un oceano di naufraghi, incrementando povertà, insicurezza e disordine, la politica si è fatta polizia per domare terroristi e riottosi, alzando il livello di violenza preventiva e repressiva e mettendo sotto i piedi verità, diritto, Costituzioni e Convenzioni internazionali, ivi comprese quelle umanitarie. E questo non lo fa solo Tremonti, lo hanno fatto dirigenti di destra e di sinistra, anche in regimi inutilmente bipolari.
Oggi non solo c’è bisogno di tornare alla politica da cui molti con giusto disappunto si sono allontanati, come hanno fatto due milioni e mezzo di nuovi astenuti nelle ultime elezioni, ma c’è bisogno di una politica “altra”; né del resto alla vecchia politica questo ritorno sarebbe possibile, né ad essa possibile l’approdo dei giovani; c’è bisogno di una ricostruzione della politica come un “essere per gli altri”, a cui tutti sono chiamati.
Perciò rivolgiamo questo appello alle donne e agli uomini che vogliono operare per la giustizia per un ritorno alla politica. Proponiamo pertanto di promuovere con il nome di Sinistra Cristiana una rete di Gruppi, di aggregazioni e di servizi “per la Costituzione, la laicità e la pace”: cioè per l’unità degli uomini nella giustizia e nel diritto, per la responsabilità comune di “credenti” e “non credenti”, per la crescita del mondo. Dire Sinistra Cristiana non significa qui riferirsi alla pur positiva esperienza che ebbe questo nome dal 1938 al 1945, né crearne oggi una nuova, ma fare appello a quella Sinistra Cristiana che è già nel Paese ed è nascosta nel fondo di molti di noi. Ciò comporta una scelta di campo di sinistra, cosa che in un’Italia drasticamente divisa in due sole parti politiche non significa più sposare una determinata ideologia, ma assumere il peso della contraddizione, mentre della sinistra rivendica la dignità, contro tutte le delegittimazioni e diffamazioni.
Si tratterebbe di dar vita ovunque sia possibile, nel territorio, nelle istituzioni e nelle assemblee elettive, a un “Servizio politico” che da un lato abbia lo scopo di favorire la partecipazione politica dei cittadini, offrendo loro, indipendentemente dalle rispettive opinioni, dei servizi e degli aiuti per agevolarli nell’adempimento dell’art. 49 della Costituzione; dall’altro che abbia lo scopo, come parte tra le parti, di promuovere in modo associato iniziative, corsi e scuole di formazione politica, riattivare canali di comunicazione coi giovani, elaborare culture, soluzioni e proposte legislative, intervenire nel dibattito pubblico e, se necessario, partecipare anche direttamente all’azione politica per concorrere a determinare con metodo democratico la politica nazionale e instaurare la giustizia e la pace tra le nazioni, sempre promuovendo alternative costruttive e nonviolente nei conflitti; e ciò entrando nelle contraddizioni in atto, tra cittadini e stranieri come tra uomini e donne, tra regolari e clandestini, tra necessari ed esuberi, e cercando di ristabilire i legami tra il quotidiano, la cultura, la politica e una speranza nuovamente credibile; sapendo che se non subito si può cambiare il mondo, si può intanto cambiare il modo di stare al mondo.
La definizione di questa rete di Gruppi e di iniziative come “Servizio politico”, intende non solo identificare il criterio della politica nel servizio e non nel potere, ma anche riprendere la radicale illuminazione secondo la quale il vero modo per evitare che nella vita collettiva gli uni siano nemici degli altri, è che tutti si riconoscano servi gli uni degli altri.
Il nome di Sinistra Cristiana, poi, non comporta un’identificazione confessionale, che in nessun modo può confondersi con una divisa politica, ma intende alludere a un mondo di valori, tutti negoziabili, ossia non imposti, purché prevalgano l’amore e la libertà, vuole indicare come discriminante il principio di eguaglianza e, nel conflitto, significa fare la scelta dei poveri, delle vittime e degli esclusi.
Si tratta dunque di un nome nuovo che si riferisce tuttavia a una ricca e variegata tradizione di impegno politico che va da Murri a Sturzo a Dossetti, dai cristiani della Resistenza ai “professorini” della Costituente, da Rodano a Ossicini a Gozzini, dalla cruenta testimonianza di Moro a quella della salvadoregna Marianella Garcia Villas, che hanno attraversato il Novecento italiano.
Quanti intendono associarsi a questo appello sono invitati a farsi promotori delle relative iniziative nelle realtà a cui ciascuno appartiene, salvo poi ogni possibile coordinamento. E se per ottenere risultati è necessario coinvolgere molti, anche due o tre che si riuniscano per queste cose già compendiano tutto il significato dell’azione.
Per un incontro di carattere nazionale, da convocarsi a settembre, si può prevedere fin da ora di mettere all’ordine del giorno, come primissime urgenze, il ritorno alla rappresentanza proporzionale senza snaturamenti maggioritari, e l’affermazione del principio che i diritti sono uguali per tutti: dove la proporzionale è la condizione per non dare troppo potere a qualunque “sovrano del popolo” e perché anche una minoranza possa continuare a rivendicare diritti uguali per tutti contro maggioranze che li neghino.

Raniero La Valle, Patrizia Farronato, Giovanni Galloni, Rita Borsellino, Adriano Ossicini, Carla Busato Barbaglio, Domenico Gallo, Giuseppe Campione, Boris Ulianich, Annamaria Capocasale, Roberto Mancini, Amelia Pasqua, don Mario Costalunga, Laura Brustia, Francesco De Notaris, Agata Cancelliere, Giovanni Franzoni, Renata Ilari, Giovanni Avena, Emilia Carnevale, Giulio Russo, Nicola Colaianni, p. Nicola Colasuonno, Donatella Cascino, Pasquale Colella, Franco Ferrara, p. Alberto Simoni, Bernardetta Forcella, Giovanni Benzoni, Angelo Bertani, Enrico Peyretti, Francesco Comina, Chiara Germondari, Ettore Zerbino, Alessandro Baldini, Claudio Bocci, Antonio Cascino, Anna La Vista, Federico D’Agostino, Pasquale De Sole, Franco Ferrari, Gianvito Iannuzzi, Angela Mancuso, Gianfranco Martini, Giuseppe Mirale, Francesco Paternò Castello, Maria Antonietta Piras, Fiammetta Quintabà, Corrado Raimeni, Maurizio Serofilli, Gabriella Saccami Vezzami, Luca Spegne, Maria Rosa Tinaburri, Paola e Claudio Tosi, Angelo Cifatte, Piero Pinzauti, Nanni Russo, Alessandra Chiappino, Enrico Grandi, Franco Borghi, Antonio De Lellis.

Per aderire a questo appello si può utilizzare l’ospitalità di Adista, inviando una mail all’indirizzo manifestosinistracristiana@adista.it, specificando nome, cognome, indirizzo, professione e recapito postale telefonico e informatico. Un contributo simbolico di 10 euro - o più - per le spese può essere invece versato sul conto di “Pace e diritti” presso la Bnl del Senato (Iban IT36V0100503373000000010470), oppure sul conto corrente postale n. 10654507 intestato a “Comitato per i campi di pace”. I firmatari saranno poi invitati a una riunione costituente per decidere come condurre il seguito dell’iniziativa)

Cardinali e preti "rossi"

Interessantissimo l'articolo di Giacomo Galeazzi su La Stampa di sabato 12 luglio 2008. Non è necessario nessun commento. Chi mi conosce e mi ha letto negli anni scorsi può agevolmente intravvedere nella filigrana dell'articolo, o meglio, nelle cose che dicono gli intervistati, a partire dal ciellino Amicone (che di solito non fa onore al suo cognome quando bolla gli avversari politici e - peggio ancora - ecclesiali!), passando attraverso quella perla di prete che è figura esemplare, perchè, come ci insegnano oggi un buon prete non fa e non parla di politica, a meno che non abbia compreso dov'è oggi il verbo e che "Forza Italia - o la sua figliazione - è nata per ispirazione dello Spirito Santo" (l'ha detto e scritto!!!), per finire con il "liberale" Biondi, che dà un'ulteriore dimostrazione di quanto poco significato abbiano le parole e definizioni politiche, chi li legge può intravvedere anche la mia fotografia in filigrana. Anche se è troppo onore per me sentirmi accostato a taluni pensatori politici e a figure ecclesiali che mi hanno certamente ispirato e per le quali nutro stima e affetto filiali.

La roccaforte è l’arcidiocesi retta dal cardinale Dionigi Tettamanzi, la più grande d’Europa, e il megafono è «Famiglia cristiana», l’ammiraglia dell’editoria cattolica (tre milioni di lettori) che da settimane prende di petto governo e Pdl. Dopo la sconfitta elettorale, parte da Milano la «reconquista» dei cattolici di sinistra. «E’ un’operazione camaleontica, studiata a tavolino - attacca il ciellino Luigi Amicone, direttore del settimanale “Tempi” -. Più i catto-progressisti perdono terreno nelle parrocchie, più sentono il bisogno di riorganizzarsi attorno all’arcivescovo e al giornale che tengono in vita un marchio decaduto. Nuovi sentieri, stessi marciatori, dunque. Sono i soliti pacifisti, dossettiani e terzomondisti usciti a pezzi dalle urne. I gattopardi come Bindi, Castagnetti e Franceschini si affidano ai Paolini, editori del Papa, e alla Chiesa ambrosiana per imbastire una manovra di vertice, priva di effetti concreti su quella base ecclesiale che si muove autonomamente - osserva Amicone-. Il cattolicesimo di sinistra alza la voce perché si sente mancare la terra sotto ai piedi: la gran parte della galassia bianca segue altre strade e vota altrove». L’ala sinistra di quello che fu lo sterminato bacino della Dc «soffre il distacco dalla realtà per un ansia di visibilità ed è senza popolo né idee», quindi, secondo Amicone, «reagisce in modo artificioso, astioso e verticistico allo spostamento dell’elettorato cattolico verso il centrodestra». Nei giorni scorsi le bordate dalla Curia milanese e di «Famiglia cristiana» nelle infuocate polemiche sulle impronte ai bimbi rom e la moschea di viale Jennner hanno provocato persino la convocazione al Viminale dell’ambasciatore italiano in Vaticano. La Curia di Milano ha definito fascista il «giro di vite» sulla sicurezza e il ministro dell’Interno, Roberto Maroni ha deciso che d’ora in avanti non accetterà più alcuna offesa o insulto e risponderà per via istituzionale all’attacco di una parte minoritaria della chiesa cattolica, assicura la Padania. L’ultimo strappo è l’affondo del responsabile del dialogo interreligioso della Curia di Milano, monsignor Gianfranco Bottoni, che domenica ha bollato come un «provvedimento fascista e populista che limita la libertà religiosa» la chiusura della moschea di viale Jenner ipotizzata da Maroni. E già Tettamanzi aveva sentito il bisogno di prendere le distanze dalla decisione del governo di impiegare temporaneamente l’esercito per garantire la sicurezza dei cittadini. Un’opposizione frontale all’esecutivo che non è certo passata inosservata nei Sacri Palazzi vaticani, dove più di qualcuno s’interroga sulla piega presa da quest’ultimo scorcio dell’episcopato di Tettamanzi e dall’influenza di alcuni suoi collaboratori. «Sono un “teocon” e difendo il diritto dei vescovi di giudicare persone e leggi, ma non quello di insultare le autorità dello Stato - insorge il senatore a vita Francesco Cossiga-. E’ una vergogna che Tettamanzi insulti un ministro della Repubblica. Ho consigliato al premier di presentare una nota di protesta alla Segreteria di Stato chiedendone la rimozione e, in caso di rifiuto, di sospendere alla diocesi di Milano la quota statale dell’otto per mille». Nell’area sinistra del cattolicesimo italiano, spiega il politologo don Gianni Baget Bozzo, è in corso una rivoluzione. «Il bastone del comando è passato dalla prodiana scuola di Bologna al movimentismo antipolitico dell’arcidiocesi di Milano e della casa editrice San Paolo - sottolinea Baget Bozzo-. Il pensatoio che ha ispirato la svolta è la comunità di Bose e l’ecumenismo estremo del priore Enzo Bianchi è il collante ideologico dei nuovi cattocomunisti. Grazie a Dio, però, alla Chiesa ambrosiana filoislamica e modernista si oppone la Genova moderata e degasperiana di Bertone e di Bagnasco che per dialogare preferisce Scajola ai noglobal anti-Occidente e agli imam fomentatori dell’odio verso i cristiani». A smussare i toni dello scontro è il cardinale di Curia Achille Silvestrini, «Famiglia cristiana dà voce agli umori delle parrocchie e alle istanze sottoposte dai suoi lettori - afferma l’ex ministro degli Esteri vaticano e fautore della «Ostpolitik» della Santa Sede -. A Milano il terreno di confronto tra Chiesa e istituzioni riguarda soprattutto problemi locali ed è fuorviante estenderne la portata». Eppure sente puzza di bruciato anche l’ex Guardasigilli, Alfredo Biondi, allievo del cardinale conservatore Giuseppe Siri. «Tettamanzi è una “porpora rossa”, nel senso ideologico del termine. Si muove sulla scia del suo predecessore Carlo Maria Martini attaccando un giorno il governo di centrodestra e l’altro, sia pur più velatamente, Benedetto XVI - sostiene Biondi-. Ma chi crede di essere compiendo tutte queste invasioni di campo? Si limiti a fare il pastore d’anime senza ribellarsi all’autorità dello Stato e al Papa. Purtroppo Martini ha fatto scuola e a Milano i preti cattobuonisti senza clergyman predicano come animatori di un villaggio Valtur. Intanto il modernismo uccide la Chiesa, che per sua natura deve essere dogmatica come ripeteva Siri, mio insegnante di religione alla scuola Doria di Genova. Nella gerarchia ecclesiastica, avremmo bisogno di più cardinali come lui, Bertone e Bagnasco, cioè coerenti con il Magistero e fedeli ai principi invece che alle mode». Bersaglio costante dei fulmini di «Famiglia Cristiana», la componente cattolica dell’esecutivo (Rotondi e Giovanardi in primis) attribuiscono da settimane l’interventismo dei Paolini alla volontà di riorganizzare i cattolici di sinistra attorno alle bandiere guelfe dell’episcopato progressista. «Rimpiangono i tempi in cui al governo avevano i loro amici Prodi e Bindi e sognano un’improbabile rivincita», chiosa il cattolico Giovanardi.

venerdì 4 luglio 2008

Democrazia in pericolo

Riprendo e volentieri diffondo, condividendone com’è ovvio il contenuto e la sostanza, la seguente lettera indirizzata da Umberto Eco a Furio Colombo, Paolo Flores d'Arcais e Pancho Pardi, promotori della manifestazione in difesa della democrazia che si terrà l'8 luglio in piazza Navona a Roma.

Cari amici,
mentre esprimo la mia solidarietà per la vostra manifestazione, vorrei che essa servisse a ricordare a tutti due punti che si e' sovente tentati di dimenticare:
1) Democrazia non significa che la maggioranza ha ragione. Significa che la maggioranza ha il diritto di governare.
2) Democrazia non significa pertanto che la minoranza ha torto. Significa che, mentre rispetta il governo della maggioranza, essa si esprime a voce alta ogni volta che pensa che la maggioranza abbia torto (o addirittura faccia cose contrarie alla legge, alla morale e ai principi stessi della democrazia), e deve farlo sempre e con la massima energia perché questo è il mandato che ha ricevuto dai cittadini. Quando la maggioranza sostiene di aver sempre ragione e la minoranza non osa reagire, allora e' in pericolo la democrazia.
Umberto Eco

martedì 1 luglio 2008

“Ero straniero e mi avete ospitato” (Mt 25, 35)

Ricevo ben due interventi ecclesiali sul tema "immigrazione". Finalmente! Molti avvertono una sorta di cortina di silenzio dentro la Chiesa su questo tema, al di là di quanto dicono i soliti "impallinati" dei temi sociali e dei soliti catto-comunisti. Certo, non è facile prendere posizione su temi controversi, quando sai che la maggior parte della gente, la maggior parte dei cristiani, su questi temi la pensa come la maggioranza tutt'altro che silenziosa a cui gli "untori" politici hanno additato, per distogliere l'attenzione da sè, i nuovi "portatori di peste"...
Ringrazio per le segnalazioni gli amici Carlo Baviera e Andrea Zanello. Di seguito i due interventi


C’è una diffusa inquietudine attorno al fenomeno “immigrazione”. Se ne parla ovunque, a tutti i livelli; e con le parole tornano le domande: è utopia il coniugare insieme immigrazione e solidarietà o ciò fa parte del più elementare realismo evangelico? Siamo ancora sull’onda dell’emergenza o stiamo andando verso una cultura dell’integrazione? Siamo ancora in un regime del sospetto o stiamo entrando pacificamente in una convivenza accogliente della sua multi-etnicità?
Mentre il dibattito è aperto anche nelle sedi più alte del mondo politico, non è fuori luogo una sorta di “decalogo” per illuminare le coscienze dei credenti e degli uomini di buona volontà. D’altra parte il fenomeno immigrazione esiste, sta sotto gli occhi di tutti: da una parte si sta imponendo il bisogno di manodopera immigrata per l’agricoltura mediterranea, per l’impresa edilizia, per il basso terziario, per l’industria e l’assistenza; dall’altra, balza pure all’occhio la violenza consumata dagli immigrati, che non mancano di creare una grave turbativa nell’ordine pubblico e aggravano il disagio sociale della gente. Parole come “sicurezza”, “legalità” stanno sulla bocca di tutti; fanno parte del pacchetto delle promesse elettorali di ogni schieramento politico; ma hanno bisogno di essere sdoganate con vera saggezza politica. Sono il pane del bene comune; sono al primo posto nelle attese di una società civile. Al punto di provocare opinioni contrastanti e non sempre coerenti con il messaggio evangelico di Matteo 25: “Ero straniero e mi avete ospitato” (Mt 25, 35).

Pertanto - ed è il primo punto luce - va ricordato un dovere preciso della Chiesa che voglia essere stella polare per le coscienze del credenti: essa è sentinella vigile di tutti i valori e in particolare di quelli non negoziabili, che ruotano attorno alla sacralità intangibile della persona; essa richiama il comandamento dell’amore accogliente; e affida soprattutto ai laici la responsabilità delle scelte concrete capaci di calare nella storia i grandi valori enunciati. Così tocca alla Chiesa il giudizio etico circa la coerenza tra scelte concrete e principi proclamati.
Secondo: tocca pure ai laici preposti al governo del bene comune il dovere di salvaguardare il bene della propria identità storica e culturale; il bene della libertà al plurale, in cui va inclusa la libertà datrice di senso qual è la libertà religiosa. Un ‘autentica convivenza civile e solidale garantisce le differenze e le mette in dialogo, senza annullarle. Non manca di stupire un potere politico reticente con i poteri di altri Stati sui diritti civili e sul principio di reciprocità.
Terzo: ogni straniero, rispettosamente accolto, deve rispettare le regole della Stato in cui immigra. La nostra gente è giustamente allarmata di fronte al fatto che la presenza degli immigrati di diverse religioni diventi il pretesto per azioni volte a rimuovere il crocifisso dalle pareti delle nostre scuole.
Quarto: ogni popolo deve promuovere una cultura dell’accoglienza, soprattutto se radicata sul terreno dei valori della gratuità e dell’amore cristiano; senza dimenticare le stagioni della nostra storia, in cui anche noi siamo stati emigranti in terra straniera, sia verso l’Europa e sia verso le Americhe. Il movimento migratorio non è “ad tempus”: appartiene alla stessa natura dell’uomo sin dai tempi biblici; e l’accoglienza appartiene alla natura relazionale e ospitale della persona umana. Anche per questo l’espressione - emergenza migrazione - è impropria; siamo entrati nella norma di una cultura multietnica.
Quinto: è urgente pertanto promuovere una cultura dell’integrazione, a partire dalla scuola, là dove la nuova didattica sa trasmettere, con intelligenza, i valori culturali e religiosi di tutti, e sa mettere in dialogo le differenze. La cultura dell’integrazione significa capacità di promuovere iniziative soprattutto nei confronti del più deboli e dei più poveri.
Sesto: in fatto di immigrazione l’attenzione alla famiglia costituisce un cardine importante per una legislazione favorevole all’integrazione e alla sicurezza sociale. Per questo va pensata una seria politica del ricongiungimento familiare; il contrario provoca instabilità e sradicamento sociale.
Settimo: una politica dell’accoglienza solidale va soprattutto garantita a livello legislativo, con la lungimirante consapevolezza che ogni legge ha una valenza pedagogica nel bene e nel male; genera cultura, crea mentalità e costruisce l’immagine di un paese solidale o intollerante. Il futuro di una nazione sta pure nel DNA delle sue leggi.
Ottavo: alla luce di quanto detto l’immigrazione clandestina non può essere ritenuta reato. Questa impostazione rischia d’essere impraticabile per il grande numero di persone coinvolte; è ipocrita e contraddittoria per il fatto che ampi settori della società italiana (famiglie comprese) impegnano lavoratori e lavoratrici in posizione irregolare; è soprattutto iniqua se pensiamo alla storia drammatica che appartiene ad una persona impedita di abitare la terra con dignità. Non va dimenticato che sovente la sorte dei clandestini nasconde la condizione miserabile dei poveri più poveri: senza una dignitosa sicurezza in patria, in viaggio e sulle rive di approdo. Senza dimenticare che la condizione disumana dei paesi di origine e le guerre sono nutrite dalle armi e dagli interessi dell’occidente opulento; gli stenti economici sono provocati dal protezionismo dei paesi ricchi.
Nono: tocca certo ai responsabili del bene comune intessere relazioni internazionali per promuovere ed operare scelte rispettose dei diritti umani e per creare condizioni di effettiva democrazia quale contesto idoneo per l’affermazione dei diritti. Sembra risuonare invano l’appassionato invito di Benedetto XVI a globalizzare la solidarietà. Il potere politico ha il compito di governare la globalizzazione, senza cedere alle dinamiche del solo mercato che approfondisce i solchi tra poveri e ricchi.
Decimo: resta scontato il dovere dello Stato di garantire la sicurezza di tutti i cittadini e di intervenire nei confronti di tutti coloro che delinquono, siano essi italiani e siano immigrati. Il puntare l’indice contro la delinquenza straniera, come sovente accade nei media nostrani, non può che alimentare la cultura della paura e delle emozioni, e non favorisce una cultura della convivenza civile e solidale.
… Sono chiamate in causa soprattutto le comunità cristiane sapientemente motivate e incoraggiate dai loro pastori. Il futuro che si annuncia non è quello di una società anarchica, senza un’anima etica, ma ricca della diversità dei suoi valori. Il cammino gomito a gomito sulla strada inedita di una società multi-etnica e multi-religiosa è una prospettiva che ormai si profila all’orizzonte. Il vocabolario dei discorsi quotidiani va rieditato: perché nonostante le fatiche va coltivata una cultura di pace per il bene di tutti.
Enrico Masseroni Arcivescovo
(Documento condiviso da Ufficio di pastorale Sociale, Caritas, Ufficio Missionario, Pax Christi, ACI, ACLI, MEIC)



Sull’onda di quello che sta capitando in questi giorni, in particolare dopo la notizia del progetto di legge che introdurrebbe il reato di immigrazione clandestina, sento il dovere di esprimere sul settimanale diocesano – come persona, cittadino, credente e responsabile della Commissione missionaria diocesana – ciò che al riguardo sento dentro di me, mosso anche dal desiderio di contribuire all’apertura della mente e del cuore delle nostre comunità cristiane. Ricordando il versetto evangelico “Ero forestiero e mi avete ospitato”, parto da una citazione del documento C.E.I. del 4 ottobre 1993 che ha come titolo questa stessa frase: «Per un adeguato accostamento al fenomeno immigratorio, occorre tener conto non solo dei dati relativi al numero e alla nazionalità degli immigrati, ma anche delle varietà di modelli culturali, di tradizioni religiose, civili, familiari, associative. È un compito, questo, non facile, ma necessario e prezioso, se si vuole cogliere e accettare, sia pure a determinate condizioni, il “diverso” come una potenziale ricchezza e non come una minaccia o un fattore negativo. Per questo è necessario accostare con fiducia, rispetto e prudenza quegli atteggiamenti culturali e quei comportamenti che, non in sintonia con i nostri, non sempre sono immediatamente riconoscibili nel loro autentico significato e nel loro specifico valore».
«D’altra parte il contatto con immigrati di diverse culture, accanto ad un obiettivo e reciproco arricchimento, può comportare – senza i necessari sostegni – anche alcuni rischi, come quelli, ad esempio: di disorientare i cittadini e i fedeli più sprovvisti di conoscenze e di informazioni; di creare facili e pericolosi sincretismi morali e religiosi; di vedere tutto ciò che viene da altri Paesi come negativo o comunque lesivo della propria identità. Se non vengono superati, tali atteggiamenti compromettono gli aspetti positivi del pluralismo etnico e culturale; possono altresì ingenerare malintesi, pregiudizi e sospetti, che – assieme alla mancanza o scarsità di conoscenze umane sul fenomeno migratorio – rappresentano una via aperta a forme di intolleranza razzista e xenofoba» (§ 8).
Il documento suggeriva l’istituzione di un “Osservatorio sulle migrazioni” a livello nazionale e, ove possibile, anche a livello locale: una proposta concreta avanzata già 15 anni fa, di cui oggi tutti riconosciamo l’urgenza e la necessità.
Lasciando da parte quanti abbandonano la propria terra di origine per delinquere o per fenomeni legati alla droga e alla criminalità (fenomeni che devono essere contrastati con fermezza, ma colpendo chi sta realmente dietro questo florido commercio), ci siamo mai chiesti il perchè di questi movimenti di massa, che coinvolgono anche donne e minorenni in cerca di sopravvivenza?
Forse è più onesto dire che ci sentiamo impotenti di fronte ad una situazione così travolgente che viene a sconvolgere la nostra vita, già piena di problemi, e per questo invochiamo misure drastiche. In fondo ci interessa salvaguardare la nostra tranquillità, un certo benessere... continuando con la beneficenza “purchè stiano nei loro Paesi!”.
Ma chi è che ha portato via da questi Paesi – e porta via tutt’ora – le materie prime, chi paga stipendi da fame, foraggia i loro governanti spesso corrotti, vende loro armi, etc... senza che dal mondo del benessere (di cui facciamo parte) si alzi un grido corale, costante e coraggioso che dica “basta!”? Non è più il tempo della semplice “beneficenza”, ma della giustizia, rimettendoci anche di tasca nostra affinchè queste persone possano godere, come noi, del diritto ad una vita dignitosa nei loro Paesi di origine.
Tutto ciò implica però un cambiamento di stile di vita: “Contro la fame, cambia la vita”.
Con tutto il rispetto per la laboriosità della nostra gente, dobbiamo infatti riconoscere che è anche grazie ai poveri del Sud del mondo che abbiamo potuto far crescere e maturare il nostro benessere, perchè se noi possiamo comprare merci a basso prezzo è perchè loro vivono con stipendi insufficienti, senza scuole, ospedali, etc... I poveri del Sud del mondo non ci stanno più: morire per morire, preferiscono prendere la carretta del mare e tentare una drammatica avventura. Ed è a questo punto che si verifica lo “shock”.
Dice ancora il sopraccitato documento della C.E.I. (§ 9): «Constatiamo con profonda amarezza le diverse aggressioni violente, e non solo verbali, che vengono ripetutamente compiute contro gli immigrati. Accanto ad episodi di vera e propria violenza razzista e xenofoba, si deve registrare il fenomeno, più diffuso e non meno preoccupante, di un certo “apartheid”, che si esprime in forme sfumate e “morbide” di indifferenza, di intolleranza e di discriminazione».
Che fare allora?
Continua il testo (§ 7): «La conoscenza del fenomeno immigratorio e delle sue molteplici cause, pur essendo utile e necessaria, non è però fine a se stessa. É piuttosto il presupposto indispensabile perché tutta la comunità cristiana e, in essa, gli operatori pastorali e sociali in particolare, siano sempre più attenti e sensibili: alla personale partecipazione e solidarietà alle complesse e gravi vicende legate alle migrazioni; all’apprezzamento e all’accoglienza dei valori positivi offerti dagli immigrati; alla ricerca di un cammino umano da percorrere assieme, nel rispetto reciproco delle legittime diversità. La mutua conoscenza può divenire, così, premessa per un coinvolgimento personale che stimola a una vita più cristiana, a una presa di coscienza più viva della propria fede e ad una più coraggiosa testimonianza del “Vangelo della carità”».
Siamo dunque chiamati a lottare perchè il fiume dirompente della rivalità, della contrapposizione e del rifiuto sia incanalato nella logica del dialogo, del rispetto e soprattutto della ricerca responsabile di soluzioni alternative che garantiscano a tutti il diritto alla vita.
Il “Vangelo della carità” deve essere letto in pratica come il “Vangelo della giustizia” perchè “giustizia e pace” si abbracceranno. Vogliono farci pensare che tutto questo sia impossibile, che si tratta di “utopie” e “belle favole”, mentre la realtà è un’altra... ma intanto vediamo sin troppo bene dove ci sta portando questa realtà e dove continuerà a portarci se continuiamo su questa strada! Dice ancora il documento della C.E.I. «Tutta la comunità cristiana sia sempre più attenta e sensibile al fenomeno». E l’enclicica Sollecitudo rei socialis aggiunge (§ 30): «La solidarietà non è un sentimento di vaga compassione, ma è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune... perchè tutti siamo veramente responsabili di tutti».
La luce dello Spirito aiuterà le persone e i gruppi di buona volontà a trovare soluzioni alternative a quelle vigenti. Mi pare, intanto, che ad ognuno di noi sia richiesto, in questo momento storico, di verificare se i valori in cui crediamo (e per le comunità cristiane è in gioco anzitutto la fede in Cristo) sono veramente radicati in noi da spingerci a creare una nuova mentalità nel tessuto sociale e a fare scelte scomode e sofferte, ma cariche di certezze e di speranza in una convivenza umana possibile, per cui Lui e tanti altri al suo seguito hanno dato la vita. Solo così sulla terra può risplendere ancora il sorriso del Creatore.
don Gianni Martino, Commissione missionaria, Mondovì

Altrettanto importante e significativo l'intervento di Mons. Sebastiano Dho, Vescovo di Alba, che ripropongo.
IL REATO DI ESSERE UOMINI
(ovvero la cultura dell’egoismo)

Sinteticamente così potremmo definire l’oggetto in questione di certi progetti di leggi, per ora solo deprecabili ipotesi che ci auguriamo restino tali, riguardanti la dignità e la libertà di essere umani colpevoli solo, fino a prova contraria, di cercare pane e lavoro in paesi diversi dai loro, spesso in condizioni disperate. Tutto questo in un contesto di una marea montante di un impressionante brodo di cultura di autentico e violento crescente egoismo. Giustamente il presidente della Repubblica in un suo forte e calibrato recente intervento ha denunciato il pericolo reale “dell’intolleranza” e della “regressione civile”; dal canto suo Enzo Bianchi ha affermato che “non si difende la nostra identità di nazione civile fomentando la barbarie”. Ci riferiamo precisamente e direttamente senza mezzi termini o timori di disturbare “il manovratore”, ai disegni di leggi governative che prevedono di modificare addirittura il codice penale o sue applicazioni, istituendo il reato di clandestinità, l’aggravio di pena in caso di violazioni di leggi già vigenti, solo in base a diversità di provenienza specie extracomunitaria, la trasformazione dei Centri di identificazione in vere e proprie carceri, le gravi difficoltà di ricongiungimento familiare. Così pure ai tutti quei segni gravemente preoccupanti che da tempo stanno imponendosi all’attenzione anche dei più distratti, vedi la violenta e programmata cacciata indiscriminata dei rom, con degli autentici pogrom. Di qui alle leggi razziali di sciagurata memoria il passo è più breve di quanto si possa credere. La storia impietosa anche se inascoltata non perdona nessuno. “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento … (con tutto quello che segue), fin che un giorno vennero a prendere anche me e non c’era rimasto nessuno a protestare”. Non si tratta di una cantilena per bambini ma della cronaca di una triste, amara tragedia accaduta.
Due brevi riflessioni:
1-Da un punto di vista strettamente giuridico illustri costituzionalisti, per quanto spetta all’ipotesi di istituire il reato di clandestinità e l’aggravio di pena in base all’essere straniero, già hanno dato il loro giudizio decisamente negativo, perché non concepibile in uno stato di diritto ed in contrasto con i diritti dell’uomo universalmente riconosciuti. Dal lato etico poi è evidente che non tutto ciò che è o può diventare legale per ciò stesso è morale; prima di ogni legge scritta esiste quella naturale o “delle genti” per cui possiamo e dobbiamo contestare ogni legislazione positiva che violi i diritti fondamentali dell’uomo tra i quali certamente va annoverato quello di emigrare come la storia dei popoli dimostra da sempre. La differenza è una
sola: se questo avviene con buone o con le cattive, vale a dire o integrazione o conflitto, con la meglio, fuori dubbio, dei popoli giovani, piaccia o non piaccia. Su un piano poi semplicemente fattuale, nella deprecata ipotesi che tale aberrazione venga approvata dal Parlamento, a giudizio di rappresentanti delle stessa compagine governativa proponente (“follia” è stata definita), difficilmente potrà essere applicata, come è avvenuto in larga misura per l’altra legge inspirata agli stessi principi discriminatori, la Bossi-Fini, per impossibilità operative. Inoltre è quasi certo, comunque da sperare che magistrati attenti e coraggiosi sollevino tutte le fondate obiezioni di costituzionalità in merito.
2- Ma ciò che ci sta ovviamente più a cuore e ci preoccupa maggiormente per un senso di responsabilità pastorale è l’atteggiamento dei cristiani, sia singoli che come comunità ecclesiale, a riguardo di questi gravi problemi. Molto opportunamente mons. Giovanni Nervo, l’indimenticabile presidente della Caritas Nazionale degli anni ’70, in un suo recente intervento, scrive testualmente: “Ma come si può dire che sono delinquenti perché clandestini? Questa è la linea della Lega, sostenuta anche con il voto di molti cattolici proprio nei paesi di maggiore frequenza religiosa. Come cristiani non abbiamo nulla da dire su questo? Sessant’anni fa la Chiesa ha duramente e giustamente condannato il comunismo ateo. Questa non è una nuova forma di ateismo pratico? Chi respinge l’uomo immagine di Dio, non respinge Dio? (Settimana n 19-11 maggio 2008). A sua volta Enzo Bianchi, nel suo ultimo intervento su La Stampa di domenica 1°giugno sc., già citato, in modo approfondito e dettagliato analizza questa situazione con testi biblici e magisteriali abbondantissimi, anche se basterebbe da solo il passo di Matteo 25: “avevo fame, sete, ero straniero… mi avete o non mi avete accolto”, invitando a guardare alle emergenze non come una minaccia ma un’occasione per misurarci con i veri criteri di fede e vita evangelica.
Siamo convinti che tenendo conto della larga adesione anche nelle nostre terre a forze politiche sociali ispirate a teorie razziste e xenofobe, un serio esame di coscienza s’imponga urgentemente per le comunità cristiane, poiché qui si tratta di veri valori “non negoziabili” (la dignità della persona e la vita stessa!) e occorra perciò ricordare a tutti, smascherando ogni ipocrisia o illusione, ciò che ha scritto in tempi drammatici ed eroici il grande martire vittima del nazismo D. Bonhoeffer: “Chi non grida a difesa degli ebrei non può cantare in gregoriano!”.
+ Sebastiano Dho, vescovo