Ricevo ben due interventi ecclesiali sul tema "immigrazione". Finalmente! Molti avvertono una sorta di cortina di silenzio dentro la Chiesa su questo tema, al di là di quanto dicono i soliti "impallinati" dei temi sociali e dei soliti catto-comunisti. Certo, non è facile prendere posizione su temi controversi, quando sai che la maggior parte della gente, la maggior parte dei cristiani, su questi temi la pensa come la maggioranza tutt'altro che silenziosa a cui gli "untori" politici hanno additato, per distogliere l'attenzione da sè, i nuovi "portatori di peste"...
Ringrazio per le segnalazioni gli amici Carlo Baviera e Andrea Zanello. Di seguito i due interventi
C’è una diffusa inquietudine attorno al fenomeno “immigrazione”. Se ne parla ovunque, a tutti i livelli; e con le parole tornano le domande: è utopia il coniugare insieme immigrazione e solidarietà o ciò fa parte del più elementare realismo evangelico? Siamo ancora sull’onda dell’emergenza o stiamo andando verso una cultura dell’integrazione? Siamo ancora in un regime del sospetto o stiamo entrando pacificamente in una convivenza accogliente della sua multi-etnicità?
Mentre il dibattito è aperto anche nelle sedi più alte del mondo politico, non è fuori luogo una sorta di “decalogo” per illuminare le coscienze dei credenti e degli uomini di buona volontà. D’altra parte il fenomeno immigrazione esiste, sta sotto gli occhi di tutti: da una parte si sta imponendo il bisogno di manodopera immigrata per l’agricoltura mediterranea, per l’impresa edilizia, per il basso terziario, per l’industria e l’assistenza; dall’altra, balza pure all’occhio la violenza consumata dagli immigrati, che non mancano di creare una grave turbativa nell’ordine pubblico e aggravano il disagio sociale della gente. Parole come “sicurezza”, “legalità” stanno sulla bocca di tutti; fanno parte del pacchetto delle promesse elettorali di ogni schieramento politico; ma hanno bisogno di essere sdoganate con vera saggezza politica. Sono il pane del bene comune; sono al primo posto nelle attese di una società civile. Al punto di provocare opinioni contrastanti e non sempre coerenti con il messaggio evangelico di Matteo 25: “Ero straniero e mi avete ospitato” (Mt 25, 35).
Pertanto - ed è il primo punto luce - va ricordato un dovere preciso della Chiesa che voglia essere stella polare per le coscienze del credenti: essa è sentinella vigile di tutti i valori e in particolare di quelli non negoziabili, che ruotano attorno alla sacralità intangibile della persona; essa richiama il comandamento dell’amore accogliente; e affida soprattutto ai laici la responsabilità delle scelte concrete capaci di calare nella storia i grandi valori enunciati. Così tocca alla Chiesa il giudizio etico circa la coerenza tra scelte concrete e principi proclamati.
Secondo: tocca pure ai laici preposti al governo del bene comune il dovere di salvaguardare il bene della propria identità storica e culturale; il bene della libertà al plurale, in cui va inclusa la libertà datrice di senso qual è la libertà religiosa. Un ‘autentica convivenza civile e solidale garantisce le differenze e le mette in dialogo, senza annullarle. Non manca di stupire un potere politico reticente con i poteri di altri Stati sui diritti civili e sul principio di reciprocità.
Terzo: ogni straniero, rispettosamente accolto, deve rispettare le regole della Stato in cui immigra. La nostra gente è giustamente allarmata di fronte al fatto che la presenza degli immigrati di diverse religioni diventi il pretesto per azioni volte a rimuovere il crocifisso dalle pareti delle nostre scuole.
Quarto: ogni popolo deve promuovere una cultura dell’accoglienza, soprattutto se radicata sul terreno dei valori della gratuità e dell’amore cristiano; senza dimenticare le stagioni della nostra storia, in cui anche noi siamo stati emigranti in terra straniera, sia verso l’Europa e sia verso le Americhe. Il movimento migratorio non è “ad tempus”: appartiene alla stessa natura dell’uomo sin dai tempi biblici; e l’accoglienza appartiene alla natura relazionale e ospitale della persona umana. Anche per questo l’espressione - emergenza migrazione - è impropria; siamo entrati nella norma di una cultura multietnica.
Quinto: è urgente pertanto promuovere una cultura dell’integrazione, a partire dalla scuola, là dove la nuova didattica sa trasmettere, con intelligenza, i valori culturali e religiosi di tutti, e sa mettere in dialogo le differenze. La cultura dell’integrazione significa capacità di promuovere iniziative soprattutto nei confronti del più deboli e dei più poveri.
Sesto: in fatto di immigrazione l’attenzione alla famiglia costituisce un cardine importante per una legislazione favorevole all’integrazione e alla sicurezza sociale. Per questo va pensata una seria politica del ricongiungimento familiare; il contrario provoca instabilità e sradicamento sociale.
Settimo: una politica dell’accoglienza solidale va soprattutto garantita a livello legislativo, con la lungimirante consapevolezza che ogni legge ha una valenza pedagogica nel bene e nel male; genera cultura, crea mentalità e costruisce l’immagine di un paese solidale o intollerante. Il futuro di una nazione sta pure nel DNA delle sue leggi.
Ottavo: alla luce di quanto detto l’immigrazione clandestina non può essere ritenuta reato. Questa impostazione rischia d’essere impraticabile per il grande numero di persone coinvolte; è ipocrita e contraddittoria per il fatto che ampi settori della società italiana (famiglie comprese) impegnano lavoratori e lavoratrici in posizione irregolare; è soprattutto iniqua se pensiamo alla storia drammatica che appartiene ad una persona impedita di abitare la terra con dignità. Non va dimenticato che sovente la sorte dei clandestini nasconde la condizione miserabile dei poveri più poveri: senza una dignitosa sicurezza in patria, in viaggio e sulle rive di approdo. Senza dimenticare che la condizione disumana dei paesi di origine e le guerre sono nutrite dalle armi e dagli interessi dell’occidente opulento; gli stenti economici sono provocati dal protezionismo dei paesi ricchi.
Nono: tocca certo ai responsabili del bene comune intessere relazioni internazionali per promuovere ed operare scelte rispettose dei diritti umani e per creare condizioni di effettiva democrazia quale contesto idoneo per l’affermazione dei diritti. Sembra risuonare invano l’appassionato invito di Benedetto XVI a globalizzare la solidarietà. Il potere politico ha il compito di governare la globalizzazione, senza cedere alle dinamiche del solo mercato che approfondisce i solchi tra poveri e ricchi.
Decimo: resta scontato il dovere dello Stato di garantire la sicurezza di tutti i cittadini e di intervenire nei confronti di tutti coloro che delinquono, siano essi italiani e siano immigrati. Il puntare l’indice contro la delinquenza straniera, come sovente accade nei media nostrani, non può che alimentare la cultura della paura e delle emozioni, e non favorisce una cultura della convivenza civile e solidale.
… Sono chiamate in causa soprattutto le comunità cristiane sapientemente motivate e incoraggiate dai loro pastori. Il futuro che si annuncia non è quello di una società anarchica, senza un’anima etica, ma ricca della diversità dei suoi valori. Il cammino gomito a gomito sulla strada inedita di una società multi-etnica e multi-religiosa è una prospettiva che ormai si profila all’orizzonte. Il vocabolario dei discorsi quotidiani va rieditato: perché nonostante le fatiche va coltivata una cultura di pace per il bene di tutti.
Enrico Masseroni Arcivescovo
(Documento condiviso da Ufficio di pastorale Sociale, Caritas, Ufficio Missionario, Pax Christi, ACI, ACLI, MEIC)
Sull’onda di quello che sta capitando in questi giorni, in particolare dopo la notizia del progetto di legge che introdurrebbe il reato di immigrazione clandestina, sento il dovere di esprimere sul settimanale diocesano – come persona, cittadino, credente e responsabile della Commissione missionaria diocesana – ciò che al riguardo sento dentro di me, mosso anche dal desiderio di contribuire all’apertura della mente e del cuore delle nostre comunità cristiane. Ricordando il versetto evangelico “Ero forestiero e mi avete ospitato”, parto da una citazione del documento C.E.I. del 4 ottobre 1993 che ha come titolo questa stessa frase: «Per un adeguato accostamento al fenomeno immigratorio, occorre tener conto non solo dei dati relativi al numero e alla nazionalità degli immigrati, ma anche delle varietà di modelli culturali, di tradizioni religiose, civili, familiari, associative. È un compito, questo, non facile, ma necessario e prezioso, se si vuole cogliere e accettare, sia pure a determinate condizioni, il “diverso” come una potenziale ricchezza e non come una minaccia o un fattore negativo. Per questo è necessario accostare con fiducia, rispetto e prudenza quegli atteggiamenti culturali e quei comportamenti che, non in sintonia con i nostri, non sempre sono immediatamente riconoscibili nel loro autentico significato e nel loro specifico valore».
«D’altra parte il contatto con immigrati di diverse culture, accanto ad un obiettivo e reciproco arricchimento, può comportare – senza i necessari sostegni – anche alcuni rischi, come quelli, ad esempio: di disorientare i cittadini e i fedeli più sprovvisti di conoscenze e di informazioni; di creare facili e pericolosi sincretismi morali e religiosi; di vedere tutto ciò che viene da altri Paesi come negativo o comunque lesivo della propria identità. Se non vengono superati, tali atteggiamenti compromettono gli aspetti positivi del pluralismo etnico e culturale; possono altresì ingenerare malintesi, pregiudizi e sospetti, che – assieme alla mancanza o scarsità di conoscenze umane sul fenomeno migratorio – rappresentano una via aperta a forme di intolleranza razzista e xenofoba» (§ 8).
Il documento suggeriva l’istituzione di un “Osservatorio sulle migrazioni” a livello nazionale e, ove possibile, anche a livello locale: una proposta concreta avanzata già 15 anni fa, di cui oggi tutti riconosciamo l’urgenza e la necessità.
Lasciando da parte quanti abbandonano la propria terra di origine per delinquere o per fenomeni legati alla droga e alla criminalità (fenomeni che devono essere contrastati con fermezza, ma colpendo chi sta realmente dietro questo florido commercio), ci siamo mai chiesti il perchè di questi movimenti di massa, che coinvolgono anche donne e minorenni in cerca di sopravvivenza?
Forse è più onesto dire che ci sentiamo impotenti di fronte ad una situazione così travolgente che viene a sconvolgere la nostra vita, già piena di problemi, e per questo invochiamo misure drastiche. In fondo ci interessa salvaguardare la nostra tranquillità, un certo benessere... continuando con la beneficenza “purchè stiano nei loro Paesi!”.
Ma chi è che ha portato via da questi Paesi – e porta via tutt’ora – le materie prime, chi paga stipendi da fame, foraggia i loro governanti spesso corrotti, vende loro armi, etc... senza che dal mondo del benessere (di cui facciamo parte) si alzi un grido corale, costante e coraggioso che dica “basta!”? Non è più il tempo della semplice “beneficenza”, ma della giustizia, rimettendoci anche di tasca nostra affinchè queste persone possano godere, come noi, del diritto ad una vita dignitosa nei loro Paesi di origine.
Tutto ciò implica però un cambiamento di stile di vita: “Contro la fame, cambia la vita”.
Con tutto il rispetto per la laboriosità della nostra gente, dobbiamo infatti riconoscere che è anche grazie ai poveri del Sud del mondo che abbiamo potuto far crescere e maturare il nostro benessere, perchè se noi possiamo comprare merci a basso prezzo è perchè loro vivono con stipendi insufficienti, senza scuole, ospedali, etc... I poveri del Sud del mondo non ci stanno più: morire per morire, preferiscono prendere la carretta del mare e tentare una drammatica avventura. Ed è a questo punto che si verifica lo “shock”.
Dice ancora il sopraccitato documento della C.E.I. (§ 9): «Constatiamo con profonda amarezza le diverse aggressioni violente, e non solo verbali, che vengono ripetutamente compiute contro gli immigrati. Accanto ad episodi di vera e propria violenza razzista e xenofoba, si deve registrare il fenomeno, più diffuso e non meno preoccupante, di un certo “apartheid”, che si esprime in forme sfumate e “morbide” di indifferenza, di intolleranza e di discriminazione».
Che fare allora?
Continua il testo (§ 7): «La conoscenza del fenomeno immigratorio e delle sue molteplici cause, pur essendo utile e necessaria, non è però fine a se stessa. É piuttosto il presupposto indispensabile perché tutta la comunità cristiana e, in essa, gli operatori pastorali e sociali in particolare, siano sempre più attenti e sensibili: alla personale partecipazione e solidarietà alle complesse e gravi vicende legate alle migrazioni; all’apprezzamento e all’accoglienza dei valori positivi offerti dagli immigrati; alla ricerca di un cammino umano da percorrere assieme, nel rispetto reciproco delle legittime diversità. La mutua conoscenza può divenire, così, premessa per un coinvolgimento personale che stimola a una vita più cristiana, a una presa di coscienza più viva della propria fede e ad una più coraggiosa testimonianza del “Vangelo della carità”».
Siamo dunque chiamati a lottare perchè il fiume dirompente della rivalità, della contrapposizione e del rifiuto sia incanalato nella logica del dialogo, del rispetto e soprattutto della ricerca responsabile di soluzioni alternative che garantiscano a tutti il diritto alla vita.
Il “Vangelo della carità” deve essere letto in pratica come il “Vangelo della giustizia” perchè “giustizia e pace” si abbracceranno. Vogliono farci pensare che tutto questo sia impossibile, che si tratta di “utopie” e “belle favole”, mentre la realtà è un’altra... ma intanto vediamo sin troppo bene dove ci sta portando questa realtà e dove continuerà a portarci se continuiamo su questa strada! Dice ancora il documento della C.E.I. «Tutta la comunità cristiana sia sempre più attenta e sensibile al fenomeno». E l’enclicica Sollecitudo rei socialis aggiunge (§ 30): «La solidarietà non è un sentimento di vaga compassione, ma è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune... perchè tutti siamo veramente responsabili di tutti».
La luce dello Spirito aiuterà le persone e i gruppi di buona volontà a trovare soluzioni alternative a quelle vigenti. Mi pare, intanto, che ad ognuno di noi sia richiesto, in questo momento storico, di verificare se i valori in cui crediamo (e per le comunità cristiane è in gioco anzitutto la fede in Cristo) sono veramente radicati in noi da spingerci a creare una nuova mentalità nel tessuto sociale e a fare scelte scomode e sofferte, ma cariche di certezze e di speranza in una convivenza umana possibile, per cui Lui e tanti altri al suo seguito hanno dato la vita. Solo così sulla terra può risplendere ancora il sorriso del Creatore.
don Gianni Martino, Commissione missionaria, Mondovì
Altrettanto importante e significativo l'intervento di Mons. Sebastiano Dho, Vescovo di Alba, che ripropongo.
IL REATO DI ESSERE UOMINI
(ovvero la cultura dell’egoismo)
Sinteticamente così potremmo definire l’oggetto in questione di certi progetti di leggi, per ora solo deprecabili ipotesi che ci auguriamo restino tali, riguardanti la dignità e la libertà di essere umani colpevoli solo, fino a prova contraria, di cercare pane e lavoro in paesi diversi dai loro, spesso in condizioni disperate. Tutto questo in un contesto di una marea montante di un impressionante brodo di cultura di autentico e violento crescente egoismo. Giustamente il presidente della Repubblica in un suo forte e calibrato recente intervento ha denunciato il pericolo reale “dell’intolleranza” e della “regressione civile”; dal canto suo Enzo Bianchi ha affermato che “non si difende la nostra identità di nazione civile fomentando la barbarie”. Ci riferiamo precisamente e direttamente senza mezzi termini o timori di disturbare “il manovratore”, ai disegni di leggi governative che prevedono di modificare addirittura il codice penale o sue applicazioni, istituendo il reato di clandestinità, l’aggravio di pena in caso di violazioni di leggi già vigenti, solo in base a diversità di provenienza specie extracomunitaria, la trasformazione dei Centri di identificazione in vere e proprie carceri, le gravi difficoltà di ricongiungimento familiare. Così pure ai tutti quei segni gravemente preoccupanti che da tempo stanno imponendosi all’attenzione anche dei più distratti, vedi la violenta e programmata cacciata indiscriminata dei rom, con degli autentici pogrom. Di qui alle leggi razziali di sciagurata memoria il passo è più breve di quanto si possa credere. La storia impietosa anche se inascoltata non perdona nessuno. “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento … (con tutto quello che segue), fin che un giorno vennero a prendere anche me e non c’era rimasto nessuno a protestare”. Non si tratta di una cantilena per bambini ma della cronaca di una triste, amara tragedia accaduta.
Due brevi riflessioni:
1-Da un punto di vista strettamente giuridico illustri costituzionalisti, per quanto spetta all’ipotesi di istituire il reato di clandestinità e l’aggravio di pena in base all’essere straniero, già hanno dato il loro giudizio decisamente negativo, perché non concepibile in uno stato di diritto ed in contrasto con i diritti dell’uomo universalmente riconosciuti. Dal lato etico poi è evidente che non tutto ciò che è o può diventare legale per ciò stesso è morale; prima di ogni legge scritta esiste quella naturale o “delle genti” per cui possiamo e dobbiamo contestare ogni legislazione positiva che violi i diritti fondamentali dell’uomo tra i quali certamente va annoverato quello di emigrare come la storia dei popoli dimostra da sempre. La differenza è una
sola: se questo avviene con buone o con le cattive, vale a dire o integrazione o conflitto, con la meglio, fuori dubbio, dei popoli giovani, piaccia o non piaccia. Su un piano poi semplicemente fattuale, nella deprecata ipotesi che tale aberrazione venga approvata dal Parlamento, a giudizio di rappresentanti delle stessa compagine governativa proponente (“follia” è stata definita), difficilmente potrà essere applicata, come è avvenuto in larga misura per l’altra legge inspirata agli stessi principi discriminatori, la Bossi-Fini, per impossibilità operative. Inoltre è quasi certo, comunque da sperare che magistrati attenti e coraggiosi sollevino tutte le fondate obiezioni di costituzionalità in merito.
2- Ma ciò che ci sta ovviamente più a cuore e ci preoccupa maggiormente per un senso di responsabilità pastorale è l’atteggiamento dei cristiani, sia singoli che come comunità ecclesiale, a riguardo di questi gravi problemi. Molto opportunamente mons. Giovanni Nervo, l’indimenticabile presidente della Caritas Nazionale degli anni ’70, in un suo recente intervento, scrive testualmente: “Ma come si può dire che sono delinquenti perché clandestini? Questa è la linea della Lega, sostenuta anche con il voto di molti cattolici proprio nei paesi di maggiore frequenza religiosa. Come cristiani non abbiamo nulla da dire su questo? Sessant’anni fa la Chiesa ha duramente e giustamente condannato il comunismo ateo. Questa non è una nuova forma di ateismo pratico? Chi respinge l’uomo immagine di Dio, non respinge Dio? (Settimana n 19-11 maggio 2008). A sua volta Enzo Bianchi, nel suo ultimo intervento su La Stampa di domenica 1°giugno sc., già citato, in modo approfondito e dettagliato analizza questa situazione con testi biblici e magisteriali abbondantissimi, anche se basterebbe da solo il passo di Matteo 25: “avevo fame, sete, ero straniero… mi avete o non mi avete accolto”, invitando a guardare alle emergenze non come una minaccia ma un’occasione per misurarci con i veri criteri di fede e vita evangelica.
Siamo convinti che tenendo conto della larga adesione anche nelle nostre terre a forze politiche sociali ispirate a teorie razziste e xenofobe, un serio esame di coscienza s’imponga urgentemente per le comunità cristiane, poiché qui si tratta di veri valori “non negoziabili” (la dignità della persona e la vita stessa!) e occorra perciò ricordare a tutti, smascherando ogni ipocrisia o illusione, ciò che ha scritto in tempi drammatici ed eroici il grande martire vittima del nazismo D. Bonhoeffer: “Chi non grida a difesa degli ebrei non può cantare in gregoriano!”.
+ Sebastiano Dho, vescovo
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