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giovedì 27 ottobre 2011

Stato palestinese? IL DISCORSO DEL PRESIDENTE

di Walter Fiocchi - www.appuntialessandrini.wordpress.com

Un Presidente debole e indebolito che fa un coraggioso discorso all’Assemblea Generale dell’Onu; un Primo Ministro potente dal punto di vista economico e militare che fa un roboante e ipocrita discorso nella stessa sede; potremmo aggiungere il retorico e vergognoso discorso di Obama, con un unico orizzonte: quello dei calcoli elettoralistici. Avevamo sperato ben diversamente! L’unica positività mi pare stia nel discorso di Abu Mazen e nella sua richiesta al Consiglio di Sicurezza: il popolo palestinese chiede il riconoscimento di uno Stato sovrano e indipendente, a pieno titolo parte della comunità internazionale e delle sue istituzioni, e la totale applicazione della Risoluzione ONU del 4 giugno 1967.
Ora sono tre le soluzioni sottoposte sulle quali l’Assemblea generale dovrà pronunciarsi.
La prima è la possibilità di concedere alla Palestina uno status di “Osservatore permanente” come per la Santa Sede, che consentirebbe all’Autorità palestinese di partecipare alle decisioni – e ai fondi - delle agenzie Onu e di poter ricorrere alla Corte Internazionale dell’Aja per denunciare crimini e soprusi perpetrati da Israele. Per questa ipotesi si sono chiaramente schierati tra gli altri, la Francia e l’Italia.
La seconda consiste nella ferma e risoluta applicazione della Risoluzione Onu del 1967 che prevedeva la costituzione di due Stati sovrani definendone anche i confini territoriali, da allora ripetutamente violati dai coloni israeliani. Governi come Svezia, Portogallo, Belgio e Spagna non fanno mistero della loro predilezione di questa ipotesi.
Infine, sostenuta dagli Usa e dallo stesso Ban KiMoon, resta la terza via che prevede il ritorno al tavolo dei negoziati per trovare un “compromesso” tra le richieste di Israele e quelle dei palestinesi. A questa ultima ipotesi ha aderito David Cameron, premier inglese dando così l’ennesima dimostrazione della scarsa credibilità politica della Unione Europea.
Per la prima volta, e non era scontato, Abu Mazen ha avuto il coraggio di dire tutto in faccia al mondo. Non ha eluso, come ha sempre fatto, le questioni fondamentali: il diritto al ritorno dei rifugiati, la colonizzazione razzista, selvaggia e violenta della Cisgiordania, il destino di Gerusalemme est e l’occupazione militare dei territori palestinesi. Ha dichiarato che
“l’occupazione è in corsa contro il tempo per ridisegnare i confini del nostro territorio e imporre un fatto compiuto sul terreno che mina il potenziale realistico per l’esistenza dello stato di Palestina”. Ha denunciato con forza la violenza dei coloni in Cisgiordania, le incursioni, le limitazioni, gli arresti e gli assassinii che l’esercito compie anche nelle aree formalmente sotto il controllo dell’Autorità palestinese, oltre che in quelle che Israele gestisce direttamente (nei Territori
occupati). Non si torna al tavolo dei negoziati sino a quando il Governo di Tel Aviv non avrà messo fine all’occupazione “colonialista e militare” perpetrata dai coloni; non eliminerà il muro costruito sui confini dei due Stati; non rilascerà i prigionieri politici detenuti nelle sue carceri; non riconoscerà i pieni diritti dei rifugiati palestinesi dentro lo Stato israeliano;
non accetterà la sovranità dello Stato palestinese con capitale Gerusalemme Est.
L’unica strada percorribile penso sia quella di tener duro sulla linea del riconoscimento internazionale, perché ogni trattativa diretta con gli israeliani non ha prodotto né una sola strada in più, né un goccio d’acqua in più, non un prigioniero libero, nessuna libertà di movimento e nessuna sicurezza per i Palestinesi. Mahmud Abbas (Abu Mazen) si è intestardito nella ricerca di trattative dirette, ma è ormai chiaro anche a lui che gli israeliani hanno lavorato per indebolirlo sempre di più e convincendolo a fare per essi il “lavoro sporco”: spesso è la sicurezza palestinese che esegue gli arresti e le retate dei militanti (non armati!) in nome e per conto di Israele! Il tema dei rifugiati (ormai 5 milioni) è stato toccato, ma
molti Palestinesi ritengono che l’eventuale riconoscimento sui confini del 1967 cancellerebbero il diritto al ritorno e arduo sarebbe trovare un compromesso accettabile.
Mahmoud Abbas ha fatto un discorso brillante, ma ora deve costruire un accordo di riconciliazione tra le diverse fazioni politiche e creare un Consiglio Nazionale realmente rappresentativo di tutte le anime politiche. Deve promuovere senza ambiguità e riserve la resistenza nonviolenta popolare con la forza della convinzione e non con la forza della polizia.
E Israele? Il discorso di Netanyahu ha solo confermato la sua pochezza.
L’editorialista di Ha’aretz, Ari Shavit, noto per il suo incondizionato supporto al governo quando è attaccato da Paesi esteri, sembra spaventato dalla cecità di Netanyahu e del suo team: “Sotto la leadership di un premier testardo e di un ministro degli Esteri irresponsabile, la politica di sicurezza nazionale sta cadendo a pezzi.” Il governo israeliano si ostina in una doppia negazione: la negazione della “primavera araba”, che modifica e modificherà tutti i rapporti nella regione
e i rapporti internazionali, e la negazione degli effetti regionali e internazionali dell’Operazione Piombo Fuso, il massacro orchestrato dall’ esercito israeliano a Gaza tra il 2008 e il 2009. Scrive il giornalista di Ha’aretz, Gideon Levy: “Israele sta ora mangiando i frutti amari di Piombo Fuso che è stata la più importante svolta nelle relazioni con il mondo e con la
regione a causa di una politica brutale e violenta. Il risultato è che i soli due Paesi che l’hanno sempre accettata, Turchia ed Egitto, stanno ora bruciando le loro relazioni con Israele".

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