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"La coscienza del cristiano è impegnata a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo" ____________________________________________________________________________________________________________________

giovedì 27 ottobre 2011

La morte di Fernando Charrier. Il vescovo del lavoro e della pace

Da http://www.adistaonline.it/index.php

«Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno», diceva il Vangelo di domenica scorsa. Non ho potuto fare a meno di ricordare proprio sotto questo aspetto il Vescovo Fernando Charrier che ha concluso il suo itinerario terreno la mattina del 7 ottobre. Mi pare davvero una delle “cifre” di lettura del ministero e del magistero di mons. Charrier, prima e durante l’episcopato. “Addio al vescovo del lavoro Charrier, il coraggio della sfida ai potenti” titolava un giornale. Forse non era per lui importante il coraggio della “sfida”, ma il coraggio della parresia, della franchezza, il coraggio della verità, il coraggio di parlare senza sottintesi né calcoli opportunistici, con il linguaggio della profezia e non con quello della diplomazia, senza tener conto dei moti­vi di opportunità, delle convenienze, degli interessi, degli equilibri, dei giochi politici e degli interessi “ecclesiastici”. L’unico interesse di Gesù è il bene dell’uomo. E quando l’unico interesse è il bene dell’uomo si può annunziare la via di Dio secondo la verità. E chi mette il bene dell’uomo al centro del suo interesse annunzia la via del Vangelo secondo verità; perché questo era il senso del “Vangelo sociale” come lo leggeva Mons. Charrier; “prima di tutto l’uomo”, il bene dell’uomo, perché se non si parte di qui, se pure pensassimo di mettere al centro “l’interesse di Dio”, rischieremmo di annunciare quelle che sono espressioni del proprio potere religioso o politico, della propria sete di prestigio, della ricerca del proprio interesse, personale o di gruppo.
Per Charrier era indispensabile, come Vescovo, immedesimarsi nell’azione amorevole di Dio; lieto annunzio ai poveri, proclamazione di liberazione per i prigionieri, messa in libertà degli oppressi, promulgazione dell’anno di misericordia. Il servizio episcopale esigeva per lui un cuore dilatato dall’amore per tutti coloro ai quali era stato mandato, credenti, non credenti, mal credenti, cercatori comunque di Dio anche se e quando non se ne rendevano conto... Questo “primato dell’uomo” faceva sì che fosse in lui radicata la tolleranza, il rispetto di tutte le idee: proponeva la sua, ma ascoltava e onorava quelle degli altri, con deferenza, con amicizia, con una sensibilità che lo portava a non imporsi mai, a vivere le vicende degli altri con partecipata amicizia e talora con angosciata condivisione. Il rispetto dei valori creduti da altri, anche quando lo lasciavano pensoso e perplesso, ne facevano un uomo ed un pastore libero; e in questa prospettiva di libertà si radicava la sua scelta sincera di rispetto dei laici e delle loro libere opzioni in politica. Radicalmente convinto che in ordine ai problemi della politica i laici dovessero ascoltare dai pastori i principi, ma dovessero affrontare la presenza nelle istituzioni con la fatica, l’intelligenza, l’impegno della loro autonomia. Ricordo gli anni della crisi politica seguita a “mani pulite”, la crisi dei partiti, la crisi e la morte della stessa Democrazia Cristiana, il partito dei cattolici e non come qualcuno pensava e/o sogna ancora oggi “il partito cattolico”: questo sì di parte, settario, integralista e integrista, dato che “partito” e “cattolico” sono due termini inconciliabili, se è vero che “cattolico” significa “universale”, per tutti, a favore di tutti, “dalla parte dell’Uomo” ancora una volta. In quel versante ripeteva spesso: «Mi importa poco che finisca l’esperienza del “partito dei cattolici”, forse un periodo storico semplicemente si conclude. Quello che mi preoccupa e mi opprime è che vada piuttosto dispersa l’esperienza politica dei cattolici, il loro impegno nella Politica (“forma alta della Carità cristiana”, come si esprimeva Paolo VI), l’esperienza e il ricco patrimonio culturale e di vita del “cattolicesimo democratico”».
I drammi del mondo lo angosciavano; l’orrore della guerra lo segnava quasi visibilmente in una tristezza intrisa di umana sofferenza; quando quasi tutti in occasione della “guerra del Golfo” prendevano le distanze dalla posizione profetica di Giovanni Paolo II, e i più nella Chiesa usavano il cauto linguaggio della diplomazia, volle che il settimanale diocesano aprisse a tutta pagina con un titolo e un editoriale che suonava: “Noi stiamo con il Papa!”, e non fu apprezzato... Le iniziative per la pace, le marce per la pace di capodanno, volevano essere una testimonianza ecumenica, un segno di attenzione alle sofferenze degli uomini, senza discriminazione alcuna né verso credenti di altre fedi, né verso i non credenti o, come diceva, coloro che ”non ritengono di condividere la mia fede”... Come quasi nessun apprezzamento riscosse il suo chiaro e franco intervento, condiviso con Mons. Valentinetti allora Presidente di Pax Christi: «Desideriamo riaffermare, come comunità cristiana, la necessità di opporsi alla produzione e alla commercializzazione di strumenti concepiti per la guerra. Ci riferiamo, in particolare, alla problematica sorta recentemente sul nostro territorio piemontese relativa all’avvio dell’assemblaggio finale di velivoli da combattimento da effettuarsi nel sito aeronautico di Cameri (Novara)... Abbiamo, la speranza che si arrivi ad un ripensamento». Insorse allora il mondo politico, quello imprenditoriale e sindacale, e anche, purtroppo, quello ecclesiale o, meglio, “ecclesiastico”, forse affrettando il suo “pensionamento”; mentre fu evidente una certa “afasia” all’altro estensore della presa di posizione, Mons. Valentinetti...
“Vescovo sociale”, lo chiamò papa Woitiła durante un’udienza: definizione che per molti volle invece significare “Vescovo di parte”! Ma sì, era di parte! Come lo è il Vangelo, come lo era quello che lui chiamava “il mio Maestro”: nato tra gli ultimi, tra gli emarginati, straniero seppur in patria, nato “nel verso della storia”; vissuto camminando tra gli ultimi, frequentando “mele marce”, amico degli “scomunicati” del suo mondo religioso e politico; morto come l’ultimo degli ultimi, con il supplizio della “feccia dell’umanità”. Tutto per l’uomo, dalla parte dell’uomo, “prima di tutto l’Uomo” era un suo slogan, che voleva però tradurre in scelte, anche della sua Chiesa, senza farla diventare “crocerossina dell’umanità”, ma “Chiesa del grembiule”, Chiesa che “lava i piedi”, Chiesa che non ha paura di macchiarsi gli abiti di sangue soccorrendo l’uomo ferito sulla strada da Gerusalemme a Gerico rendendosi “impura” per il culto, Chiesa che sa sporcarsi camminando nel fango dell’alluvione, Chiesa che ha il coraggio di prendere posizione a favore dell’accoglienza, del rispetto di ogni fede religiosa, della pace, della giustizia... Come Gesù: dalla parte dell’uomo, pena l’insignificanza e la vacuità di una Chiesa rinchiusa nel culto, nelle devozioni o nei devozionismi, nei cerimoniali che non trovano poi “incarnazione” nei fatti e nelle scelte.
Forse molti non se ne rendono conto, ma dagli anni ’70 ad oggi pagine preziose di lettura e di annuncio del “Vangelo sociale” (ma ne può esistere uno diversamente aggettivato?) sono state scritte attraverso e da Mons. Charrier, pagine importanti per la Chiesa e per la società italiane. Spero che questa eredità non vada perduta.
don Walter Fiocchi

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