Il 29 settembre la Presidenza nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, anche in celebrazione e ricordo dei centoquarant’anni della sua fondazione, ha pubblicato un manifesto al Paese, un manifesto che si presenta come riproposta per un impegno straordinario nella Chiesa italiana ed a servizio della città dell’uomo. Dico riproposta perché un’associazione che da un secolo e mezzo vive una presenza per l’annuncio del Vangelo, deve per forza rendersi conto dei cambiamenti, deve prendere atto delle complessità in cui opera, deve individuare, con discernimento, le strade più efficaci per l’annuncio e deve avere il coraggio di lasciar cadere forme obsolete, un tempo valide, ma che oggi avrebbero solo il sapore della nostalgia cui fa fronte il coraggio della missione e della evangelizzazione.
La conseguenza è la fatica della formazione: c’è un riferimento etico e di valore, sicuramente non negoziabile che ci aiuta, ma c’è una traduzione storica dei valori che non può non porsi sul versante del massimo possibile, perseguito con sacrificio e gratuità.
Per questo la “scelta religiosa” mantiene tutta la sua forza e la sua efficacia. Va ripetuto con convinzione: si tratta di una scelta che non si sottrae al mondo, ma si pone al suo interno. Per mantenere intatta la sua forza però dev’essere appunto gratuita, deve proporsi con povertà, deve vivere l’esperienza della condivisione e della fraternità disinteressata.
L’Azione Cattolica vive in questa dimensione. Sa che il mondo è il luogo della salvezza, proclama che la storia è segnata dalla indicazione della salvezza, prende atto delle difficoltà, ma ricerca ciò che unisce sui valori condivisi, piuttosto che ciò che divide. In fondo, per vivere il Vangelo nella storia, ci sono due vie: quello della conquista e quella del cammino di condivisione per promuovere i segni positivi del mondo, segni ineliminabili per chiunque creda nell’azione della Provvidenza.
Di qui il primato dell’evangelizzazione, ma nello stesso tempo il rispetto del ruolo autonomo della politica, senza fare di essa il braccio secolare dell’etica. Inevitabile, di conseguenza (ad alcuni poco gradita) la distinzione, ma non la separazione, fra i principi etici e la loro traduzione storica. A volte, per non dire ordinariamente, questa traduzione ha bisogno di gradualità, di mediazioni culturali e politiche, di formazione lenta del consenso; l’intervento di imperio, anche istituzionale, senza questi percorsi di mediazione rischia di fare peggio, rischia il fallimento.
Un’altra questione richiama attenzione adeguata. L’Azione Cattolica rivendica costantemente la sua natura laicale: lo fa con determinazione, ma anche con specifica fedeltà ai suoi pastori. La fedeltà è, in ogni caso, un atteggiamento adulto e maturo, ha riferimenti di pensiero, di elaborazione del magistero e di pratica pastorale; la fedeltà è consapevole e orgogliosa di un ruolo che si è imposto con fatica e con impegno. Per questo si guarda ancora sul versante della responsabilità dei laici all’insegnamento conciliare; si prende atto che le questioni secolari (si veda la “Lumen gentium” al n. 31)sono di competenza dei laici, perché il carattere della loro missione riguarda l’ordine del tempo in autonomia di intervento, fatte salve le indicazioni di principio sui valori. Si prende atto che sempre il Concilio (si veda “Gaudium et Spes” al n. 43) insegna che i laici devono assumere le loro responsabilità alla luce della sapienza cristiana, senza aspettarsi dai Sacerdoti la risposta risolutiva ai problemi del mondo.
Come stiamo in fatto di responsabilità? Quale la maturazione ,quale la formazione dei laici? Quale la sensibilità e la fiducia concessa dai pastori?
L’Azione cattolica è pronta al suo contributo, anche per lo spirito di servizio conquistato non senza fatica; questo corrisponde pienamente ad un’altra straordinaria indicazione del Concilio: la Chiesa “…non pone le sue speranze nei privilegi offerti dall’autorità civile. Anzi essa rinuncia all’esercizio di certi diritti anche legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso potesse far dubitare della sincerità della sua testimonianza…” (Gaudium et Spes”, n. 76).
Agostino Pietrasanta
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