____________________________________________________________________

____________________________________________________________________
"La coscienza del cristiano è impegnata a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo" ____________________________________________________________________________________________________________________

lunedì 14 settembre 2009

I cattolici e il potere: intervista a Mino Martinazzoli

Riprendo da Famiglia Cristiana n. 37 questa interessante intervista di Francesco Anfossi a Mino Martinazzoli, in occasione dell'uscita del suo libro "Uno strano democristiano".

Nella premessa alla sua autobiografia scritta in collaborazione con Annachiara Valle, l’ex senatore, ministro e segretario del Partito popolare Mino Martinazzoli allude a un paradosso della politica dell’età berlusconiana: «Oggi noi sappiamo poco di un potere che si rivela ancora opaco e sappiamo tutto della vita privata dei personaggi, peraltro non eccelsi, che popolano il panorama politico». Il mistero si annida nelle stanze del Palazzo, più che negli uomini. «Del resto Giuliana Ferrara ha scritto pagine mirabili sul corpo di Berlusconi». Uno strano democristiano, edito da Rizzoli, da poco in libreria, è quindi una cavalcata nella politica ricca più di retroscena del potere che di "visti da vicino".

Ma allora è giusto criticare Berlusconi anche per i suoi scandali sessuali, per lo "sventolio di mutande"?
«Direi proprio di sì. Però, più che sulla iettatura del moralismo, punterei sul fatto che alcune regole devono essere rispettate. Come quella di non mentire. In America Clinton è stato messo in crisi non dalle sue attitudini sessuali, ma dal fatto che era bugiardo».

Anche Machiavelli, il primo scienziato della politica, raccomandava al Principe, nel nome della ragion di Stato, di non dire sempre la verità.
«Berlusconi mi pare più un bugiardo goldoniano che machiavellico».

Il premier come Mirandolina?
«Un minimo di rispetto per la verità è necessaria per lo svolgimento fisiologico della democrazia».

Lei apre il libro parlando della Costituzione, in particolare del lavoro dei costituenti nel costruire la parte dei diritti fondamentali della persona. Pensa che quei diritti oggi siano a rischio?
«Penso di sì. I costituenti ebbero questa grande capacità di costruire le fondamenta dell’ordinamento democratico. Qualcuno scrisse che erano malati di presbiopia, perché ebbero la straordinaria capacità di prevedere i problemi futuri».

La Corte costituzionale potrebbe fermare le recenti leggi che stravolgono questa prima parte?
«È la mia speranza. Continuo ad avere fiducia e rispetto nella Corte anche se le procedure di formazione dei giudici costituzionali e altri episodi come la cena di due giudici con Berlusconi, hanno subito una presa molto invadente della politica».

Però giuristi di vaglia hanno spiegato che non vi è nulla da eccepire.
«Mi permetto di obiettare che la giustizia è fatta anche di prassi, di galatei, qui clamorosamente violati».

Un’eventuale sentenza di incostituzionalità del lodo Alfano potrebbe riaprire per Berlusconi la via giudiziaria e portare alla sua fine politica?
«Può darsi, pero ci andrei molto cauto, perché abbiamo potuto constatare che Berlusconi è una salamandra. Anche per la ragione che la sua forza d si fonda su una sorta di egemonia in senso gramsciano, ovvero non solo la capacità di comandare i suoi, ma di imporre la sua agenda anche ai suoi avversari. Nel ’94 mi veniva facile parafrasare Gobetti, e cioè che il berlusconismo era l’autobiografia della nazione. Oggi mi verrebbe da dire che è la nazione ad essere l’autobiografia di Berlusconi. C’è un sentire comune che oggi l’asseconda. Anche da parte dei bravi borghesi democratici»

L’attacco del Giornale ad Avvenire che impressione le ha fatto?
«Il primo pensiero è alla libertà di stampa del Paese. Il 26 aprile del 1945 la mia prima sorpresa fu quella di trovare tanti giornali in edicola. Fino al giorno prima non c’erano. L’altra mattina assistevo alla rassegna stampa in Tv e mi accorgevo che le testate fuori dal coro berlusconiano sono poche, davvero poche. Però penso che questa vicenda uno slancio positivo lo possa dare».

Stefano Folli, sul "Sole 24 ore", ha scritto che stiamo vivendo un 24 luglio permanente.
«In una intervista su "Diario" ho anche esagerato rispetto a Folli, ma lo dicevo analogamente: sembra di capire che in Italia tutto finisce a Piazzale Loreto. Per fortuna in modo meno cruento perché non si usano più certi metodi e anche perché le persone sono meno nobili di quelle di allora. Però questa idea di una frana c’è».

Lo schiaffo ai vescovi italiani il giorno in cui avrebbe dovuto partecipare alla Perdonanza e incontrare il segretario di Stato Bertone, non è un’operazione politicamente miope? Avrebbe incassato un rilancio politico e di immagine. Invece è saltato tutto.
«Evidentemente ritiene di essere in grado affrontare un conflitto di questo tipo. All’epoca del fascismo vi sono molti episodi così. Il manganello di carta c’era anche allora. Il giro di direzioni recenti nei giornali filo berlusconiani sembra la replica della cacciata di Montanelli. L’idea che si debba andare di nuovo ai materassi, come nel Padrino. Ma quello che mi inquieta è nell’altro campo, tra i cattolici, nella Chiesa: che significa l’intervista del direttore dell’Osservatore Romano Vian al Corriere che si dissocia da Boffo?».

Lo dice con ironia?
«Tutt’altro, ma è come se si dicesse: da una parte ci sono i cattolici e i loro vescovi, con i loro giornali e così via. Questi si arrangino e facciano la loro battaglia. Dall’altra c’è la potenza straniera che spiega che Stato e Chiesa sono due ordinamenti sovrani e autonomi ciascuno. Ma si dà il caso che questa formula bellissima deve vivere nella realtà quotidiana, e che si tratta di due ordinamenti che governano lo stesso popolo. Nel libro ho spiegato che i cattolici italiani sono stati importanti non quando si sono sentiti rappresentanti dell’Italia cattolica ma quando si sono sentiti rappresentanti dei cattolici in Italia. Questa contraddizione è una delle ragioni della difficoltà attuale e del fatto che i cattolici, dal tempo della fine della Dc, salutata per molti, anche vescovi, come una liberazione, in realtà ha segnato il fatto che i cattolici sono politicamente insignificanti, ovunque siano dislocati. L’unità politica dei cattolici, nella Dc, era un valore, non un disvalore».

Con le dimissioni di Boffo finisce il "ruinismo", ovvero la non rappresentanza dei cattolici in un partito unico?
«Guardi che Ruini non ha masi sponsorizzato quel progetto. Ruini ha solo gestito bene l’uscita dei cattolici dalla Dc prendendo atto della situazione. Ma anche per lui l’unità politica era un valore. Per quanto mi riguarda, anche quando ero segretario del Ppi, considerato l’erede della Dc, ho sempre ricevuto aiuto e solidarietà. Ricordo una cena in Laterano con De Rita, che il cardinale auspicava potesse essere un buon candidato alle elezioni del sindaco del ’93, quelle in cui Berlusconi scaldando la discesa in campo si dichiarò a favore di Fini. Mi ricordo che la sua cuoca cucinava delle ottime fratte. De Rita si tirò indietro, col suo tipico fare romanesco disse: « È una questione di chimica e la chimica non corrisponde». Alla fine la sfida fu tra Fini e Rutelli. Ruini appoggiava il progetto del Ppi a patto che ci fosse anche Buttiglione. Ma Buttiglione entra nella direzione perché io dico di no a Franceschini. Seppi poi che era un allievo di Zaccagnini. Ma io non lo volevo perché era uomo di De Mita. Tanto è vero che per quel motivo litigai con Ciriaco. Fui io a spiegare a Ruini a un certo punto, quando perdevamo dappertutto: eminenza ci lasci perdere, siamo una palla al piede. Ma per l’oggi non sono pessimista. Qualcosa succederà. Arriverà una generazione di persone come quelle della costituente che vedevano le cose per la prima volta, come un fulgore mattutino. Come quella del 25 aprile 1945, che all’edicola trovò dei nuovi giornali».

2 commenti:

Gap ha detto...

Purtroppo non si può leggere tutto e questa intervista l'avevo persa.

Anonimo ha detto...

La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu