____________________________________________________________________

____________________________________________________________________
"La coscienza del cristiano è impegnata a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo" ____________________________________________________________________________________________________________________

mercoledì 3 ottobre 2007

CHIESA, CREDENTI E POLITICA

Chiesa e società, chiesa e politica, laicità, principi morali, rappresentanza dei cattolici, valori non negoziabili, sono i temi ricorrenti nel dibattito (non troppo esplicito ed aperto) in questo travagliato tempo; temi accompagnati dal disagio, dalla mancanza di serenità e da qualche rancore di molti, credenti e non credenti. Taluni rilevano un accentuato interventismo ecclesiastico, che sembra andare oltre il sacrosanto diritto della Comunità ecclesiale di far sentire la sua voce su questioni antropo-logicamente rilevanti. Altri rilevano che questi interventi sembrano delineare una strategia dei vertici ecclesiali che avrebbe fini secondari di tipo politico. Non voglio certamente dar credito a questa tesi. Anche la presenza di un prete e i suoi interventi in un “circolo di amici che vogliono riflettere (e assumersi impegni) sulla Politica”, data la delicatezza del contesto richiede molta prudenza, ma questa prudenza non può essere un alibi o un vincolo o un ricatto se al prete è chiesto, come credo, di essere “educatore di coscienze”, cercando (a prescindere dalle proprie personali convinzioni) di preservare l’originalità della proposta di fede e della parola di Chiesa in un momento di rischiosis-sime omologazioni e strumentalizzazioni. Credo anche che non siano permesse “deleghe”: molti, mi pare, hanno la tentazione di delegare pilatescamente questo impegno educativo ai vertici religiosi istituzionali, ai vescovi e al papa, dando talvolta l’impressione che se è vero che «la Chiesa non è una democrazia», oggi assume sovente l’aspetto – discutibile – di una «monarchia assoluta» guidata da un “leader-monade” che pronuncia parole tutte certamente da rispettare, ma non tutte sovranamente indiscutibili e, talvolta radicate nel campo dell’opinabile.
Come educare le coscienze di persone che vogliono impegnarsi per la costruzione della polis? Come educare i credenti, i fedeli, che devono assolutamente partecipare a questa costruzione? È chiaro che le figure istituzionali della Chiesa - papa, vescovi, io stesso come prete - devono restare sul pre-politico e sul pre-economico. Dobbiamo evangelizzare, ricordare le ispirazioni del Vangelo, indub-biamente esprimere anche delle condanne se viene contraddetto ciò che secondo la Scrittura è una menomazione dell'uomo e della società. Ma le modalità con cui si traducono le ispirazioni spettano ai cristiani, ai laici e ai fedeli di altre religioni nella costruzione della polis e possono essere differenti. La strada credo sia quella indicata dall’incipit del magnifico – e ancora totalmente attuale – documento conciliare Gaudium et spes: «Nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore». C’è ancora spazio perché la categoria del “genuinamente umano” abbia casa nel nostro tempo? E che cos’è “genuinamente umano”? Credo che “genuinamente umano” sia tutto ciò che non tradisce l’uomo, ciò che gli permette di essere veramente e intimamente tale, in tutte le sue di-mensioni: fisica, psicologica, morale, spirituale, religiosa. La politica non può e non deve occuparsi direttamente di tutte queste dimensioni, nonostante il pensiero dei “teocon” o degli “atei devoti”. La politica deve permettere che esse possano esprimersi e che non vengano censurate, cancellate o im-pedite.
Allora forse la prima educazione è una educazione alla politica che, essa stessa sembra non aver più una casa. Che cosa ne è oggi della politica? Che cosa ne è quando le questioni vere non sono più centrali, quando la politica è mera ricerca di un potere da esibire, quando la politica, per la sua fati-cosa complessità, viene trascurata e sostituita da una banalità semplicistica? Che ne è della politica quando essa cerca alleanze innaturali con quelle sfere dell’attività umana che dovrebbe invece ordi-nare, o quando è continua commistione di interessi di parte e interessi personali? Che fine fa la poli-tica quando non si interroga più sul futuro, quando consuma tutti i beni di cui ancora disponiamo, quando è intessuta di egoismo e individualismo? O non ricorda più che deve costruire una “città dell’uomo e per l’uomo”? Quando nelle sue priorità i poveri e i deboli non compaiono più? Come non ricordare le parole di Giovanni Paolo II nella sua Enciclica Veritatis splendor: «Di fronte alle gravi forme di ingiustizia sociale ed economica e di corruzione politica di cui sono investiti interi popoli e nazioni, cresce l’indignata reazione di moltissime persone calpestate e umiliate nei loro fondamentali diritti umani e si fa sempre più diffuso e acuto il bisogno di un radicale rinnovamento personale e sociale capace di assicurare giustizia, solidarietà, onestà, trasparenza». La “corruzione politica” non è solo quella connessa con la bramosia e l’uso illecito del denaro, non sta solo nel restare aggrappati ai privilegi della “casta”; è anche il non esercizio della politica da parte di chi do-vrebbe esercitarla perché ha un ruolo o una funzione o perché è semplicemente un “cittadino”; è l’invettiva, l’indignazione, l’insulto lasciando che il mondo vada casualmente qua e là, senza curarsi del fatto che chi è più debole venga comunque inesorabilmente stritolato; è cercare coperture nei poteri forti e privilegiare le alleanze con chi conta… Partiamo ancora da un suggerimento della Gaudium et spes: «Per instaurare una vita politica veramente umana non c’è niente di meglio che coltivare il senso interiore della giustizia, dell’amore e del servizio al bene comune e rafforzare le convinzioni fondamentali sulla vera natura della comunità politica e sul fine, sul legittimo esercizio e sui limiti di competenza dei pubblici poteri» (n. 73). Possiamo non educare le coscienze a questi principi? Non manchiamo ad un preciso dovere e ad una forte responsabilità che proprio il “primato dell’evangelizzazione” ci carica sulle spalle, sul cuore, sull’intelligenza e sulla volontà? Qui mi fermo. Anche se rilevantissimi temi educativi (tutto il dibattito sui “valori non negoziabili” e sull’impegno del laico cristiano in politica, ad esempio, restano per ora nella riflessione e non calano sulla tastiera…).
Chiudo rilevando come non ritengo lecite, soprattutto oggi, né l’astensione né una sorta di neutralità ecclesiale nel senso di indifferenza e silenzio. Credo invece che ai pastori della Chiesa, ad ogni li-vello di responsabilità, sia chiesta più proclamazione anche disturbante del Vangelo e della sua nuda radicalità. La Chiesa non deve essere “parte” sociale e politica, ma ha comunque davanti l’impegno di coltivare appassionatamente la differenza e la peculiarità della Parola cristiana rispetto alle parole correnti. La sfida che l’oggi pone alla Chiesa credo stia nel possedere dei principi senza essere ideologica, nell’essere “politica” senza essere di parte, nell’essere “civile” senza essere troppo tenera, nel coinvolgersi senza farsi strumentalizzare.
La comunità cattolica è molto diversificata, non avendo più (e, spero, avendo rinunciato per sempre) un’unità politica; i cattolici convivono con convinzioni politiche e ideologiche diverse, ma sono chiamati tutti a un comune impegno per fare in modo che la politica serva il bene comune e la persona umana. L’ap¬pello alla responsabilità politica non può essere né partigiano né settario, ma deve aiutare a rinvigorire il processo democratico come luogo del dibattito sul tipo di società che vogliamo essere, sui valori e le priorità che dovrebbero guidare il nostro Paese. dwf

Nessun commento: