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"La coscienza del cristiano è impegnata a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo" ____________________________________________________________________________________________________________________

giovedì 27 ottobre 2011

UN VESCOVO SULLA STRADA DI GERICO - L’eredità di Mons. Charrier

Ancora un ricordo di Mons. Charrier. Su www.issuu.com/appuntialessandrini.

Credo che il destino degli uomini grandi sia quello di non essere capiti e accettati; e credo che ciò valga ancor più per un grande Vescovo.
Della grandezza di Mons. Charrier dice a sufficienza la sua biografia, per quanto scarne e scevre da ogni magniloquenza siano le biografie di cui disponiamo.
Per ciò che attiene al non essere capito e accettato lo dicono tanti episodi, tante prese di posizione, tanti ossequi formali e un po’ ipocriti che spesso sono stati la costante del suo ministero e del suo magistero. Nulla hanno a che fare con la “genetica” solitudine di un Vescovo, anche di un Vescovo che pure fa della sua vita una continua comunicazione, un continuo entrare in relazione vera e profonda con le persone che incontra, il tormento del dialogo con tutti, il “farsi tutto a tutti”... Molti, anche laici, senza un particolare rapporto con la vita ecclesiale, non hanno mancato di rilevare l’impressione che Mons. Charrier sia stato capito, stimato, ascoltato e apprezzato più al di fuori del cosiddetto “mondo cattolico” che nel suo ambiente “vitale”: in altre occasioni – lo confesso - con un po’ di cattiveria ho affermato che spesso il “mondo cattolico” sa più di “sottobosco cattolico”, un sottobosco dove l’altezza massima è quella dei cespugli e delle felci, che crescono e vegetano nell’umido e nell’ombra, ma in un orizzonte assai ristretto; solo le piante di alto fusto vedono lontano, vedono il complesso del bosco e, se piante di montagna vedono un vasto panorama.
In taluni ha prevalso l’ottusità personale o la malafede o l’inconsistenza culturale: costoro l’accusavano di essere “uomo di parte”, intendendo per parte una parte politica. Lui ribatteva: «Io credo nella democrazia; in questo versante della storia credo fermamente che la democrazia sia la “miglior forma di governo”»; del resto era un principio che praticava anche nel governo della Chiesa locale. L’evento sinodo (XVI Sinodo diocesano) ne fa testimonianza: con i fatti e con le scelte ci ha fatto comprendere che se l’ultima parola era del Vescovo, le decisioni maturavano nel dibattito, nel confronto, nella raccolta delle varie opinioni, nella sollecitazione di idee e suggerimenti. Richiamava la responsabilità di tutti: aveva ben chiaro il principio che “il Vescovo non ha l’insieme di tutti i carismi, ma il carisma dell’insieme”, e al di là dell’evento straordinario del Sinodo, questa esperienza hanno potuto fare coloro che hanno con lui collaborato nei vari Consigli diocesani. E in questo modo e in questa direzione agiva anche nei confronti delle Istituzioni civili e politiche: nella chiara e rigorosa distinzione dei ruoli, nella ricerca di dialogo, nella denuncia delle carenze, nell’offerta di cordiale collaborazione senza invasioni di campo né ricerca di privilegi. Ma sì, era di parte! Come lo è il Vangelo, come lo era quello che lui chiamava “il mio Maestro”: nato tra gli ultimi, tra gli emarginati, straniero seppur in patria, nato “nel verso della storia”; vissuto camminando tra gli ultimi, frequentando “mele marce”, amico degli “scomunicati” del suo mondo religioso e politico; morto come l’ultimo degli ultimi, con il supplizio della “feccia dell’umanità”. Tutto per l’uomo, dalla parte dell’uomo, “prima di tutto l’Uomo” era un suo slogan, che voleva però tradurre in scelte, anche della sua Chiesa, senza farla diventare “crocerossina dell’umanità”, ma “Chiesa del grembiule”, Chiesa che “lava i piedi”, Chiesa che non ha paura di macchiarsi gli abiti di sangue soccorrendo l’uomo ferito sulla strada da Gerusalemme a Gerico rendendosi “impura” per il culto, Chiesa che sa sporcarsi camminando nel fango dell’alluvione, Chiesa che ha il coraggio di prendere posizione a favore dell’accoglienza, del rispetto di ogni fede religiosa, della pace, della giustizia... Come Gesù: dalla parte dell’uomo, pena l’insignificanza e la vacuità di una Chiesa rinchiusa nel culto, nelle devozioni o nei devozionismi, nei cerimoniali che non trovano poi “incarnazione” nei fatti e nelle scelte.
Ricordo gli anni della crisi politica seguita a “mani pulite, la crisi dei partiti, la crisi e la morte della stessa Democrazia Cristiana, il partito dei cattolici e non come qualcuno pensava e/o sogna ancora oggi “il partito cattolico”: questo sì di parte, settario, integralista e integrista, dato che “partito” e “cattolico” sono due termini inconciliabili, se è vero che “cattolico” significa “universale”, per tutti, a favore di tutti, “dalla parte dell’Uomo” ancora una volta. In quel versante ripeteva spesso: «Mi importa poco che finisca l’esperienza del “partito dei cattolici”, forse un periodo storico semplicemente si conclude. Quello che mi preoccupa e mi opprime è che vada piuttosto dispersa l’esperienza politica dei cattolici, il loro impegno nella Politica (“forma alta della Carità cristiana”, come si esprimeva Paolo VI), l’esperienza e il ricco patrimonio culturale e di vita del “cattolicesimo democratico”». Posizione ben diversa e, credo, ancora di piena attualità, quando nella Chiesa risuonano altre e autorevoli voci che affermano: «Il “cattolicesimo democratico”? Quella è una “cosa” che deve morire!». Pochi anche su questo versante l’hanno compreso. Ancor meno hanno raccolto il messaggio. Pochissimi l’hanno seguito...
Ma ora inizia il tempo della “distillazione”, del discernimento. Ci ha lasciato un patrimonio enorme, in gran parte ancora inesplorato. Accettiamo la sua eredità. dwf

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