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"La coscienza del cristiano è impegnata a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo" ____________________________________________________________________________________________________________________

sabato 22 agosto 2009

Nè guelfo nè ghibellino

Ripropongo per gli amici l'ottimo intervento di Agostino Pietrasanta pubblicato da http://www.cittafutura.al.it a proposito delle mai sopite e sempre irrisolte polemiche legate alla presenza dell'ora di religione nella scuola pubblica. Molte polemiche, al di là delle opinioni sul Concordato - garantito dall'art. 7 della nostra gloriosa Costituzione - nascono a mio avviso dal fatto che siamo nell'ambito del dialogo tra sordi... Come sempre l'equilibrio di Agostino Pietrasanta può fornire un punto di conprensione, di dialogo vero e anche di incontro di posizioni. E' questo in fondo l'apporto più importante alla vita politica italiana (e non solo) del "cattolicesimo democratico". E' un importante capitolo di riflessione (il "cattolicesimo democratico") anche per il cantiere del PD, pena la mancanza di un'anima e di una identità.

Non mi ritengo né guelfo, né ghibellino: a parte il significato dei termini, storicamente determinato, essi richiamano oggi categorie e posizioni, non solo fra loro incompatibili, ma incomunicabili, chiuse al dialogo, al confronto delle opzioni e dunque assolutamente sgradevoli al mio modo di intendere. Preferisco, cristiano e credente, quale mi ritengo, sostenere con forza la distinzione tra ciò che costituisce la vita di fede e la presenza attiva nella città dell’uomo: distinzione non separazione.
Ciò comporta, tra le varie e logiche conseguenze, la difesa della laicità dello Stato e delle istituzioni pubbliche, nonché l’aconfessionalità della politica. Resta inteso che, ciò posto, la laicità non può che essere un metodo corretto di intendere il ruolo dell’intervento pubblico, per cui non può essere concepita che come fatto positivo; parlare di laicità buona costituisce una semplice tautologia: la laicità non può essere se non buona, in quanto tale.
Va da sé che non si tratta solo di definire dei concetti, si tratta di realizzare una condizione: nel concreto. Prendiamo, allora, come esempio, la questione dell’insegnamento della religione cattolica (IRC), nella scuola di Stato, ritornata all’attenzione del dibattito, dopo la sentenza TAR Lazio che ha limitato la partecipazione dei docenti IRC alle attività degli scrutini.
Al riguardo, il dibattito in corso ha chiarito alcuni elementi fondamentali di riferimento, ne ha passati altri sotto silenzio. Mi limito a riprendere un giudizio da me espresso molte volte in altra sede, forse con qualche libertà in più, grazie alla disponibilità del nostro sito.
Va detto innanzitutto che se IRC volesse significare un intervento catechistico, esso non sarebbe semplicemente ammissibile nel sistema scolastico, così come previsto dalle indicazioni della carta costituzionale. Non solo: non sarebbe ammissibile qualunque tipo di insegnamento che dovesse presupporre una scelta di fede religiosa o dovesse indirizzare direttamente ad un obiettivo di natura confessionale. L’insegnamento in parola, deve caratterizzarsi per la sua connotazione culturale, in quanto la religione cattolica e l’esperienza del fatto cristiano abbiano contribuito alla formazione di alcuni essenziali elementi della civiltà di appartenenza: elementi senza dei quali non si capirebbero tratti fondanti il lungo periodo della tradizione del nostro popolo e della nostra nazione.
Scendo nel concreto. Senza adeguata competenza degli influssi religiosi sarebbe quasi impossibile capire l’evoluzione dell’assolutismo e della sua fondazione sacrale; come dire che sarebbe incomprensibile la genesi dello Stato nazionale. Senza una conoscenza adeguata della fondazione religiosa dei diritti della persona, non si capirebbero i fenomeni di frattura fra le chiese cristiane ed i totalitarismi e di conseguenza alcuni degli aspetti più controversi delle dinamiche totalitarie; e ciò, indipendentemente dai compromessi delle autorità ecclesiastiche coi fascismi.
Allo stesso modo sarebbe difficile capire il contrastato cammino della libertà religiosa senza una disamina attenta non solo delle condanne magisteriali al riguardo e poi delle indicazioni in contrario del Vaticano II, ma anche della sensibilità religiosa prevalente nei secoli dell’età moderna. Resta inteso che, anche alla luce delle questioni accennate, il metodo di IRC, come qualunque altro metodo di insegnamento non potrà essere apologetico, ma coerentemente critico, le cui conclusioni non possono essere imposte agli alunni, ma, per quanto sia possibile, vanno lasciate alla sua libertà di opzione.
Certo, c’è lo spinoso problema dell’ insegnante di religione.
Procedo con inevitabile schematismo. Resta inteso che se IRC riguarda la trasmissione di cultura e se tale trasmissione riguarda l’iniziativa dello Stato (art. 9 della Costituzione), solo lo Stato ne può nominare gli insegnanti, con criterio analogo a quello degli altri insegnanti; la Chiesa non può e non deve essere coinvolta nel procedimento di assunzione dei docenti: qui ne va sul serio della laicità delle istituzioni. Ci si chiede. Con quali competenze?
La norma, a volte può aiutare. Noi non abbiamo facoltà teologiche di Stato; lasciamo stare ogni polemica sulla loro soppressione, nel periodo del conflitto risorgimentale. Ci sono però delle facoltà pontificie i cui titoli di studio sono riconosciuti, per patti concordatari e leggi dello Stato, dalla Repubblica italiana. Delle due l’una: o quel riconoscimento viene ignorato o le lauree rilasciate dalle facoltà pontificie potrebbero essere opportunamente vagliate nei concorsi pubblici per l’idoneità all’insegnamento della religione cattolica. Sarebbe un punto di partenza per ragionare sulla soluzione di un problema che, in ogni caso, deve riguardare solo la competenza dello Stato.
Una breve aggiunta. Un IRC, come lo abbiamo inteso, non lo capisco come facoltativo, almeno nella sostanza; tuttavia siamo di fronte ad una situazione tanto complessa ed ingarbugliata dalle opposte fazioni ideologiche, che non aggiungerei problema a problema. Per una questione di realismo, lasciamo pure la libertà di scegliere; tuttavia si tratta di tollerare, in condizioni di oggettiva difficoltà a diversa e più logica soluzione.
Agostino Pietrasanta