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"La coscienza del cristiano è impegnata a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo" ____________________________________________________________________________________________________________________

venerdì 27 giugno 2008

Ancora uno sforzo, signor Presidente

Riprendo da "Notizie minime della nonviolenza in cammino" (Numero 499 del 27 giugno 2008) questa lettera aperta al Sig. Presidente del Consiglio... senza commenti!

Eccellenza illustrissima,
perché sospendere solo metà processi?
Coraggio, signor presidente, abolisca i tribunali, e la magistratura, e le leggi.
E torniamo, vivaddio, a quel delizioso stato di natura, all'igienica guerra di tutti contro tutti, e vinca il migliore, sopravviva il più forte.
Perché perseguitare solo i migranti, i nomadi, i più poveri?
Coraggio, signor presiedente, dichiari fuorilegge chiunque non possiede almeno un paio di ville, chiunque abiti da Livorno in giù.
Perché limitarsi a prendere le impronte digitali ai bambini rom?
Sarebbe più facile identificarli mozzando loro le orecchie, o ancor meglio marchiandoli a fuoco.
Perché fare solo le centrali nucleari? Le bombe atomiche puzzano forse?
Perché duplicare le uscite del pubblico erario per fare i centri di permanenza temporanea per i clandestini e i termovalorizzatori?
Facendo solo i termovalorizzatori, lei m'intende...
Infine una proposta per prendere due piccioni con una fava: legalizzare la mafia ed appaltarle la riscossione dei tributi. Finirebbero le proteste sul fisco, e cesserebbe un irragionevole conflitto mafia-antimafia che divide l'Italia da troppo tempo.

Vada avanti, presidente, che siamo tutti con lei.
Devotamente,

Aristarco Sbudelloni
e gli amici dell'accademia scientifico-letteraria "Dottor Mengele"

venerdì 20 giugno 2008

Così parlano i "Padri della Chiesa"...

Non ho saputo resistere alla tentazione... Alla tentazione di dare ulteriore spazio al card. Martini, alla sua sapienza biblica, alla sua parresia, la stessa che ha contraddistinto tutti gli anni del suo ministero pastorale del resto, anche se leggendo quanto ha detto negli anni milanesi si può avere l'impressione di un parlare "prudente". Prudente sì, ma schietto, sincero, aperto, vero, mai doppio, mai ambiguo, senza ipocrisie, senza il timore di scontentare qualcuno. Ma non è l'unico modo possibile per dire "parole di Vangelo"? Ripropongo perciò l'articolo pubblicato da Repubblica il 5 giugno scorso a firma Zita Dazzi.

Una durissima lezione per gli uomini di Chiesa, peccatori come tutti gli altri uomini. E un severo ammonimento ai preti: «Non conformatevi alla mentalità di questo secolo. Occorre un vero rinnovamento della mente». Malato e sofferente per il Parkinson, pensava di non farcela il card. Martini, a predicare gli esercizi spirituali. E invece, appena tor¬nato da Gerusalemme, è arriva¬to fino a Galloro, vicino ad Ariccia, alla casa dei gesuiti, dove si recano i sacerdoti a meditare. E con loro, interrompendo le omelie di tanto in tanto per sottoporsi ai controlli clinici, è stato molto chiaro, commentando i brani della lettera di San Paolo ai Romani, dove si parla del peccato: «Tutti questi peccati, nessuno escluso, sono stati commessi nella storia del mondo, ma non solo. Sono stati commessi anche nella storia della Chiesa. Da laici, ma anche da preti, da suore, da religiosi, da cardi¬nali, da vescovi e anche da papi. Tutti».
Una vera e propria lezione sui "vizi capitali" della Chiesa d'oggi, senza nessun timore di dire cose sgradevoli. Anzi con la certezza di offrire «una pista di riflessione», Martini ha voluto parlare dei «peccati che interessa¬no proprio noi come chierici»: anzi¬tutto i peccati "esterni", come le fornicazioni, gli omicidi e i furti, precisando «questi ci toccano meno di altri, ma comunque ci riguardano anch'essi». E poi è passato ad esaminare «le cupidigie, le malvagità, gli adulteri», Ha ammonito: «Quante bramosie segrete sono dentro di noi. Vogliamo vedere, sapere, intuire, penetrare. Questo contamina il cuore. E poi c'è l'inganno, che per me è anche fingere una religiosità che non c'è. Fare le cose come se si fosse perfettamente osservanti, ma senza interiorità».
L’arcivescovo emerito di Milano ha parlato poi dell’invidia, il vizio clericale per eccellenza: l’invidia ci fa dire: “Perché un altro ha avuto quel che spettava a me?”. Ci sono persone logorate dall’invidia che dicono: “Che cosa ho fatto di male perché il tale fosse nominato vescovo e io no?"». E ancora: «Devo dirvi anche della calunnia: beate quelle diocesi dove non esistono lettere anonime. Quando io ero arcivescovo davo mandato di distruggerle. Ma ci sono intere diocesi rovinate dalle lettere anonime, magari scritte a Roma ...».
Carlo Maria Martini, vescovo per 22 anni a Milano, sente il dovere di parlare esplicitamente ai giovani preti, auspicando un rinnovamento: «Devo farlo perché sarà l'ultimo ritiro, fa parte delle scelte che fa una persona anziana e in dirittura d'arrivo, ci sono cose che devo dire alla Chiesa». La sua lezione continua giorno dopo giorno durante la setti¬mana di ritiro spirituale. «San Paolo parla del “vanto di fare gruppo", di coloro che credono di fare molti proseliti, di portare gente perché così si conta di più. Questo difetto grave è molto presente anche nella Chiesa di oggi. Come il vizio della vanagloria, del vantarsi. Ci piace più l'applauso del fischio, l'accoglienza del¬la resistenza. E potrei aggiungere che grande è la vanità nella Chiesa. Grande! Si mostra negli abiti. Un tempo i cardinali avevano sei metri di coda di seta. Ma continuamente la Chiesa si spoglia e si riveste di ornamenti inutili. Ha questa tendenza alla vanteria».
Non fa nomi, Martini, se non quel¬lo del papa Benedetto XVI, citato tre o quattro volte, affettuosamente: "Dobbiamo ringraziare Dio di averlo, anche se poi ab-biamo qualcosa da criticare». Ma Martini è come se volesse anche mettere in guardia Ratzinger quando, riprendendo le parole del papa, mette in guardia i preti dal «vanto terribile del carrierismo»: "Anche nella Curia romana ciascuno vuole essere di più. Ne viene una certa inconscia censura nelle parole. Certe cose non si dicono perché si sa che bloccano la carriera. Questo è un male gravissimo della Chiesa, soprattutto in quella ordina¬ta secondo gerarchie perché ci impedisce di dire la verità. Si cerca di di¬re ciò che piace ai superiori, si cerca di agire secondo quello che si immagina sia il loro desiderio, facendo così un grande disservizio al Papa stesso».
Un quadro fosco, che il grande biblista, dettaglia, come può solo chi conosce dall'interno i meccanismi di potere della Chiesa: «Purtroppo ci sono preti che si pongono punto di diventare vescovi e ci riescono. Ci so¬no vescovi che non parlano perché sanno che non saranno promossi a sede maggiore. Alcuni che non parlano per non bloccare la propria candidatura al cardinalato. Dobbiamo chiedere a Dio il dono della libertà. Siamo richiamati a essere trasparenti, a dire la verità. Ci vuole grande grazia. Ma chi ne esce è libero».

giovedì 12 giugno 2008

Famiglia Cristiana e potere pagano

Puntuale è giunta - ed è stata inviata a Famiglia Cristiana - la risposta dell'amico Marco Ciani. Personalmente osservo con preoccupazione il riallineamento (la restaurazione?) di FC, che nel passato brillava per libertà, indipendenza di giudizio, coraggio di "parresia". L'elettorato cattolico - si dice - si è spostato a destra; ho l'impressione che lo si voglia inseguire per ragioni... "di mercato". Ritengo pleonastico dire che condivido in toto le riflessioni espresse da Marco. E' vero: credo che sia in atto un processo di demolizione del cosiddetto "cattolicesimo democratico". Rimando per importanti stimoli di riflessione all'intervista a Raniero La Valle sull'ultimo numero di Appunti alessandrini (per richiederlo invia un'email al sottoscritto o a appunti.alessandrini@alice.it). Del resto recentemente in una importante Diocesi del Nord Est alla domanda di un prete: "Che valutazione dare dell'esperienza del cattolicesimo democratico e come relazionarci ad esso", l'illustre Vescovo di quella Diocesi ha risposto: "Il cattolicesimo democratico? Quella è una cosa che deve morire!". dwf

Ho letto con un misto di fastidio e tristezza l’articolo «Il “peccato originale” di un partito fantasma» sull’ultimo numero di Famiglia Cristiana.
Con una certa sbrigatività, un tempo impensabile per il più diffuso settimanale cattolico italiano, si afferma nell’introduzione “Con i radicali Veltroni ha tradito il PD e le attese dei cattolici”.
Non stupiscono più ormai le continue stilettate e prese di posizione di autorevoli esponenti dell’episcopato, appoggiati in questa campagna di logoramento dai potenti mezzi di informazione a disposizione, contro il Partito Democratico.
Impossibile, nel bel mezzo di questo fuoco di sbarramento, non intravedere nel cattolicesimo democratico -che, come ricorda l’articolo stesso, è cofondatore del nuovo soggetto politico - la vera posta in gioco.
Il tutto, al riparo di una tanto dichiarata quanto assai poco percepita e distinguibile equidistanza tra soggetti politici presenti in parlamento.
Nuovamente il casus belli sarebbe rappresentato dal drappello dei 9 parlamentari radicali su 378 del PD. Questo sparuto manipolo, da cui è stato escluso per decisione di Veltroni il leader storico Marco Pannella, fa parte dei gruppi parlamentari democratici ma non del partito.
Non vale a nulla che nel PD militino invece a pieno titolo una considerevole quantità di cattolici rappresentati anche in parlamento da centinaia tra deputati e senatori, tra cui esponenti di primo piano dell’associazionismo.
Non conta che i radicali abbiano appoggiato la destra - senza che si ricordino prese di posizione contrarie altrettanto nette e tuonanti – fino alle elezioni del 2006. Viene inoltre trascurato che da poco Forza Italia abbia nominato proprio portavoce Daniele Capezzone e che continuino a militarvi esponenti di dichiarata estrazione radicale come i riformatori liberali di Dalla Vedova, l’antiproibizionista Taradash o il referendario Calderisi.
Mi rendo conto che il nome di Emma Bonino desti probabilmente più scalpore.
Ma andrebbe almeno messo sul secondo piatto della bilancia l’impegno pluriennale della deputata radicale nelle campagne a favore dei diritti umani in tutto il mondo.
Invece niente.
Si critica la presenza un "ministro-ombra" alla pagliacciata – così la definisce l’estensore - del Gay Pride di Roma.
Non si ritiene invece una pagliacciata la presenza dei leader politici del centrodestra alla manifestazione del Family Day, dove hanno potuto portare il loro edificante esempio personale di famiglia cristiana: un campionario delle situazioni più svariate, dalla convivenza more uxorio al matrimonio plurimo.
Un caro amico tempo fa, ironizzando sulla situazione, mi disse: io non mi posso permettere di andare al Family Day; purtroppo ho avuto una sola famiglia e sempre la stessa moglie.
Né si traggono le conseguenze dal fatto che Berlusconi meni vanto dell’anarchia dei valori – richiamata dall’articolo di FC – nel suo partito.
L’esteriorità però va bene. Infatti un presidente del consiglio rassicurante e pieno di buone parole per la Chiesa è stato ricevuto recentemente in visita ufficiale dal Papa. In quella sede egli non ha potuto fare a meno di baciare, per ben due volte e con una certa platealità, l’anello del sommo Pontefice. Poco importa se in quel momento egli non rappresentava il privato cittadino Silvio Berlusconi, ma il governo di una nazione laica, indipendente e sovrana. Governo nel quale, a differenza di quello precedente, non si scorge un solo nome di spicco che possa rappresentare a buon titolo movimenti e associazioni del cattolicesimo italiano.
Viene così il dubbio che, in nome della difesa delle leggi esistenti su alcuni temi legati alla vita e al matrimonio, dei finanziamenti alle scuole cattoliche e di qualche altra norma favorevole alla Chiesa, si sia nei fatti operata una chiara scelta a favore della destra e dei suoi epigoni paganeggianti.
Anche quando si lascia scappare qualche timida critica nei confronti della destra, sembrano poco più che buffetti in confronto alle potenti censure riservate invece alla parte sinistra dello schieramento.
La sproporzione di trattamento è evidente.
Se, come tutto lascia supporre, questa è nei fatti prima ancora che nelle parole, l’opzione dei vertici ecclesiali del nostro paese, è ragionevole supporre che il lungo ciclo del cattolicesimo democratico sia destinato a terminare nel volgere di un tempo non lungo.
Risulta infatti difficile immaginare che una componente che si richiama – in quanto tradizione politica – ai valori insegnati dalla Chiesa possa sopravvivere alle sue continue e sempre più marcate prese di distanza.
Potranno rimanere singoli cattolici nel PD, magari anche con una presenza significativa. Ma la loro sarà una adesione a titolo personale che li collocherà, in qualche modo, in una posizione simile a quella che fu un tempo degli indipendenti di sinistra.
Una prospettiva più che dignitosa dunque, ma che poco avrebbe in comune con la tradizione che vide in Dossetti, Lazzati, La Pira, Moro e tanti altri personaggi autorevoli i suoi più illustri rappresentanti.
Si tratta di esponenti politici che hanno contribuito ad edificare sulla base della loro ispirazione cristiana, pur nell’ambito di una rigorosa aconfessionalità, la storia del nostro paese.
Forse resteranno nel PD coloro che si riconoscono ancora nelle parole seguenti:
“La proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario. In una parola, «il diritto di proprietà non deve mai esercitarsi a detrimento dell'utilità comune»”.
Sono frasi di Papa Paolo VI e sono tratte dall’enciclica Populorum Progressio.
Sembrano passati secoli da quando la Chiesa promuoveva la giustizia sociale come un valore non meno intangibile della difesa dell’embrione.
I tempi però cambiano.
Certamente il PD non è e non potrà mai essere un partito di soli cattolici.
Non è quindi concepibile di poter imporre una visione fedele agli insegnamenti della Chiesa anche a tutta la componente laica che vi milita.
Sarebbe invece possibile ricercare con successo delle soluzioni condivise per tutto il partito, anche su temi difficili e complessi, come quelli eticamente sensibili.
Temi sui quali solo la ricerca costante del dialogo e di un confronto sereno possono cambiare le coscienze e magari portarle a maturare posizioni più convergenti rispetto al magistero.
Invece si è scelta la strada più facile. Quella di agire direttamente sulla legge. In altri termini si è preferito intervenire sugli effetti più che sulle cause che conducono un paese composto in maggioranza – con buona pace delle manifestazioni oceaniche - da atei pratici ben lontani dalle indicazioni della Chiesa.
Un paese in cui la pratica religiosa si riduce costantemente, calano i matrimoni religiosi e aumentano le convivenze e dove l’ignoranza sui fondamenti della fede si fa di giorno in giorno più disarmante.
Insomma, piazze piene e chiese vuote.
Tornando alla politica. E’ chiaro che le uniche sintesi possibili oggi nel PD sui temi di confronto tra laici e cattolici sono posizioni di mediazione. Mediazione tra visioni differenti, ma ispirata alla ricerca del massimo bene possibile, o del male minore, in un’ottica di equilibrio tra diversi diritti che non sempre risultano completamente conciliabili.
Mi pare che su questo si possa dare atto anche ai non credenti del PD – in particolare all’area ex-diessina - di avere prodotto sforzi significativi e pagato dei prezzi salati. Tant’è che esponenti dell’ala più marcatamente in dissenso con la Chiesa, come il presidente dell’Arcigay Grillini o il matematico Odifreddi hanno abbandonato il PD in quanto non sufficientemente laico.
Se però, per quanto detto, ciò non è ancora bastevole (e neanche lo sarà mai) allora è meglio trarre direttamente le conclusioni e sostenere chiaramente che per i vertici del clero italiano il cattolicesimo democratico è finito. Concluso. Morto.
Si affermi che ogni composizione di posizioni diverse è ritenuta insufficiente in quanto ciò che si chiede è la pura e semplice adesione ai valori cattolici da parte di tutto il PD. Ma sapendo, mentre lo si afferma, che è una aspettativa impraticabile.
Le solite gerarchie – uniche voci udibili dell’episcopato, pur con le lodevolissime eccezioni di alcuni autorevoli vescovi a riposo – faranno bene però a riflettere su un punto.
Proviamo a ragionare in termini di prospettiva.
Se si obbliga il PD a fare a meno dell’apporto dei cattolici democratici, auspicando o blandendo ipotetiche scissioni, quasi inevitabilmente lo si spingerà, per reazione, verso posizioni non più semplicemente laiche, ma robustamente connotate in senso laicista.
Qualcosa di simile alla tanto contrastata linea di Zapatero in Spagna.
E forse sarà anche più naturale per un partito di sinistra abbracciare, come accade nel resto del vecchio continente, tesi di questo tipo piuttosto che di faticosa mediazione con le istanze cristiane.
A quel punto sarà solo questione di tempo, ma prima o poi l’alternanza democratica porterà nuovamente la sinistra al potere.
E la Chiesa ritroverà al di là del Tevere, una controparte ostile che, non più frenata da esigenze di conciliazione tra diverse visioni, imporrà con la forza dei numeri leggi poco gradite ai vertici ecclesiali, che potrebbero allora dover rimpiangere di non essere state a tempo debito un poco più prudenti e forse, anche lungimiranti. Marco Ciani
marcociani@hotmail.com

Il "peccato originale" di un partito fantasma

Riprendo da Famiglia Cristiana n. 24 del 15-6-2008 l'articolo che segue.

La questione cattolica torna alla ribalta nel Partito democratico che si appresta a celebrare l'Assemblea costituente in un clima di tensioni e malumori.
Berlusconi governa come gran timoniere non solo la barca di palazzo Chigi, ma tutto il vascello della politica italiana. Ha ormeggiato Fini alla presidenza della Camera, così il nostromo non suggerirà rotte fastidiose. Con la Lega c’è qualche difficoltà, ma Bossi e Maroni verranno messi sotto coperta, non scalpiteranno più di tanto. Ma il vero capolavoro il Cavaliere l’ha fatto con Veltroni: l’ha abbracciato fino a stritolarlo. Non basta la patetica missione napoletana a riportarlo tra i viventi. Troppo tardi: i fuochi erano già spenti e l’abbraccio Berlusconi-Bassolino era già stato consumato. Ora l’Italia è lui: il Cavaliere.
Veltroni ha avuto il merito di tirar fuori il Paese dalla palude della miriade di partiti, avviandolo al bipartitismo, salvo che ora non si capisce quale sia il secondo partito. L’opposizione fatica, il Governo ombra, più mediatico che reale, serve a distogliere l’attenzione dal vero problema del Pd: la sua identità.
È vero, Veltroni non ha ancora digerito la sconfitta, ma questa estenuante elaborazione del lutto non fa bene al Pd (e neppure alla politica italiana). Così come non giova l’omertà sugli schieramenti, camuffata da fondazioni e correnti d’ogni tipo. Se la "pax veltroniana" smorza tensioni e conflitti, non può essere un alibi per evitare un confronto interno, visti i tanti malumori. Oggi l’unico risultato evidente è che l’anarchia dei valori, teorizzata da Berlusconi, è trasmigrata e ha infettato anche il Pd: vale per la sicurezza, la vita, il testamento biologico, la pace, l’aumento delle spese militari. A eccezione dei cattolici, chi ha sollevato un’obiezione seria contro il reato di immigrazione clandestina?

Il voto dei cattolici conta, e molto. L’ha capito bene il Cavaliere che, prima d’incontrare il Papa, ha disinnescato qualche mina. Certo, la "questione cattolica" non si pone più nella forma del partito dei cattolici, ipotesi mai decollata, ma non per questo finita. Basta analizzare il voto delle recenti elezioni, ove risulta che l’80 per cento dei voti dei cattolici praticanti e impegnati è andato a Berlusconi.
Però, Veltroni fatica ancora a capirlo. Non ha neppure balbettato una critica alla Bonino che ha dato del "patetico" al Papa, ma al tempo stesso, si fa rappresentare da un suo "ministro-ombra" alla pagliacciata del Gay Pride di Roma, dove gli insulti alla Chiesa e al Vaticano si sprecano.
Ma i cattolici democratici non erano co-fondatori del Pd? Denunciando il "pasticcio veltroniano in salsa pannelliana" avevamo visto lontano e anticipato l’attuale disagio. Era così difficile capire che con l’ingresso dei radicali nel Pd si tradiva lo spirito originario che aveva portato Ds e l’ex Margherita a fondersi? Non è tempo di sciogliere questa ambiguità e pregare Pannella e soci di accomodarsi fuori? A nostro avviso, ciò sanerebbe il "peccato originale" di Veltroni e rilancerebbe il Pd. Una parte consistente dei deputati dell’ex Margherita si sta interrogando sul perché della loro permanenza nel Pd, col rischio che possano prendere la stessa decisione degli elettori. Perché dovrebbero fare la "riserva indiana" nel Pd? Oltre che minoranza, sarebbero minoritari e insignificanti. Chi ha più sentito Bobba o la Binetti?
All’Assemblea costituente del Pd (20 e 21 giugno), forse, sarà bene interrogarsi sulla leader-ship e una gestione poco collegiale. Altrimenti, avrebbe ragione padre Sorge: Veltroni ha così semplificato la politica italiana da far sparire anche il partito dell’opposizione.

mercoledì 11 giugno 2008

Time for Palestine

Ieri sera, 10 giugno, un piccolo gruppo di persone si è ritrovato nella Cripta del Suffragio per accogliere l'invito del Consiglio Ecumenico delle Chiese e dei leader delle Chiese cristiane di Gerusalemme ad un momento di mobilitazione, sensibilizzazione e (per i credenti) preghiera per la Terrasanta. Ripropongo la meditazione che ho proposto ai presenti.

Si può cadere nell’errore etimologico di tradurre questo nome con “la città della pace” (Jeru = città , shalaim = dalla radice ebraica shalom-pace), ma in realtà il nome ha proprio il significato opposto non di derivazione ebraica, ma addirittura indeuropea: Jeru = città , shallu = dio della guerra. Allora se Gerusalemme è “la città del dio della guerra” non c’è proprio speranza per il suo destino? No, l’uomo e l’umanità intera sono chiamati a conformare la Gerusalemme terrena sul modello della Gerusalemme celeste, vera città della pace e della giustizia, così come l’Apocalisse ci descrive nelle sue pagine.
Gerusalemme, città cara a tutte e tre le tradizioni religiose abramitiche e mo-noteiste, città verso la quale secondo le profezie convergeranno tutti i popoli per farla diventare la città della pace, in cui tutte le nazioni si riuniranno, ma al tempo stesso città nella storia, lacerata, distrutta, simbolo più di odio che di amore. Città sulla quale già Gesù ha pianto e questo a causa della sua incredulità, per non aver capito il momento in cui veniva “visitata” dall'inviato dal Padre, dal Figlio eterno “impronta della Sua Sostanza”. E tuttavia anche questo è il mistero di Gerusalemme, che rivela il profondo rapporto che c'è tra la fede e la pace (come a dire che senza fede non può esservi pace). È la Città delle tre radici:
• il popolo ebraico è eletto per santificare la città e Gerusalemme diventa così la città delle sue radici, è chiamato da Dio per preparare la venuta del Messia Salvatore del mondo.
• Gesù Cristo, Verbo di Dio incarnato, vi è morto e risuscitato, e Gerusalem-me diventa la città delle radici del popolo cristiano.
• l'islam è venuto, ha riconosciuto la santità della città, l'ha chiamata la «santa» e vi è rimasto dal secolo settimo fino a oggi.
Ed oggi, e già da secoli, tutti i tre monoteismi insieme a Gerusalemme. E per tutti noi, Gerusalemme è la città santa, e così deve rimanere.

"Una città dove la Parola di Dio e la dignità umana si collegano strettamente"
Per gli Ebrei era sempre un momento di grande intensità emotiva il pellegri-naggio verso Gerusalemme, “città del sommo Dio”. Quando arrivavano certe date, un fremito di commozione prendeva l'animo di tutti. E mentre salivano verso il colle di Sion, cantavano i salmi detti delle “ascensioni”. Uno dei più belli è il salmo 122: “Quale gioia, quando mi dissero: andremo alla casa del Signore. E ora i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme! ... Domandate pace per Gerusalemme: sia pace a coloro che ti amano; sia pace sulle tue mura, sicurezza nei tuoi baluardi. Per i miei fratelli e i miei amici io dirò: su di te sia pace”: l'icona degli ebrei che salgono verso Gerusalemme, città della pace, deve essere paradigmatica per noi, pellegrini che faticosamente saliamo le alture alla ricerca della pace.
Dovremmo avere antenne più sensibili a captare le modulazioni di violenza emesse da tutte le direzioni.
Hanno ancora valore le parole che Solgenitsin scriveva nel 1972: “I tipi di co-ercizione più pericolosi per la pace sono quelli che agiscono senza missili nu-cleari, senza flotte e senza aviazione, e sono tanto larvati che si potrebbe quasi scambiarli per tradizioni e usanze abituali... Per ottenere pace autentica, è necessario che la lotta contro le forme invisibili, larvate, di violenza sia condotta con la stessa decisione con cui se ne combattono le forme clamorose... L'impegno è quello di cancellare dagli uomini l'idea che qualcuno possa avere il diritto di usare violenza contro il diritto e la giustizia. Non si serve la causa della pace se ci si abbandona alla benignità di coloro che usano la violenza: la pace è favorita da colui che integralmente, decisamente e instancabilmente difende il diritto dei perseguitati, degli oppressi, degli assassinati”.
Ma dovremmo avere anche antenne sensibili a captare le modulazioni di pace, e a ritrasmetterle per dare speranza alla gente.
La pace è il più grande bene umano, perché è la somma di tutti i beni messia-nici. Pace non è solo assenza di conflitto, cessazione delle ostilità, armistizio. Non è neppure soltanto la rimozione di parole e gesti offensivi (Mt 5,21-24), neppure solo perdono e rinuncia alla vendetta, o saper cedere pur di non en-trare in lite (cfr Mt 5,38-47). Pace è frutto di alleanze durature e sincere, (en-during covenants e non solo enduring freedom). In virtù di questa unità e di questa alleanza ciascuno può dire al fratello: tu sei sommamente importante per me, ciò che è mio è tuo. Ti amo più di me stesso, le tue cose mi importano più delle mie. E poiché mi importa sommamente il bene tuo, mi importa il bene di tutti, il bene dell'umanità nuova: non più solo il bene della famiglia, del clan, della tribù, della razza, dell'etnia, del movimento, del partito, della nazione, ma il bene dell'umanità intera: questa è la pace. Ogni azione contro questo “bene comune”, questo “interesse generale” affonda le radici nella paura, nell'invidia e nella diffidenza. Genera i conflitti e nutre gli odi che causano le guerre. Ci vorrà una intera storia e superstoria di grazia per compiere tale cammino. Ma è questa la pace che è mèta della vicenda umana.
Lo Shalom non nasce dal regolamento internazionale dei conflitti. Non viene fuori dai trattati e dalle pattuizioni delle cancellerie. Non è semplice frutto di operazioni diplomatiche. Non è il puro risultato che si ottiene da sforzi di buona volontà. Questi elementi sono pure necessari, ma come predisposizione all'accoglimento del dono di Dio. Da soli, otterranno al massimo il disarmo, non la pace. Produrranno la coesistenza pacifica, non l'esistenza della pace. La pace è “oriens ex alto”, come la Chiesa. E come ci stiamo abituando a pensare alla “Ecclesia de Trinitate”, così dobbiamo abituarci a pensare alla “pax de Trinitate”. Di qui, dovrebbero scaturire molteplici iniziative tutte da inventare, e che vanno dalla stimolazione nei confronti delle nostre comunità ecclesiali, al coinvolgimento dei pastori, alla pressione sui vescovi perché siano più audaci in certe denunce e impegnino il loro magistero anche sul terreno difficile della pace, a una maggiore “parresia” delle nostre Chiese locali.
Stare in mezzo agli ultimi. Perché, partendo da essi, va riformulata la strategia di ogni movimento che si impegna per la pace. È mettendosi in corpo l'occhio del povero che potremo ridisegnare la cartina geografica dei luoghi dove oggi Cristo è crocifisso. Se sapremo compiere questo pellegrinaggio verso la gente (scegliendo la dimensione popolare del nostro impegno), verso le comunità ecclesiali (portando al loro interno il soffio della universalità e della speranza) e verso gli oscuri domicili degli ultimi (rendendoli protagonisti del loro riscatto), allora si sprigionerà davvero, dai sotterranei della storia più che dai palazzi dei potenti, una incontenibile dossologia trinitaria.
L'icona biblica che ci richiama la dimensione politica della pace e che traduce la coscienza in progetto, è quella del buon samaritano in viaggio sulla Gerusa-lemme-Gerico.
E' su quest'asse che si giocano i sogni delle nostre utopie. È l'asse che parte dalla Città Santa (Gerusalemme è la città del tempio; è il luogo dove si celebra l'ultima cena, dove si consuma la morte di Gesù e si realizza la sua risurrezione; è l'epicentro della pentecoste...) e conduce verso Gerico (verso l'ecumene, la storia, anzi la cronaca: cronaca nera, per giunta, che ha come protagonisti dei briganti, i quali spogliarono, percossero, lasciarono mezzo morto un uomo, simbolo di tutti gli oppressi della terra). È l'asse su cui la fede interseca la storia, la speranza incrocia la disperazione della terra, la carità s'imbatte con i frutti della violenza. Tra i verbi che traducono i comportamenti concreti del samaritano (“lo vide, n'ebbe compassione, gli si fece vicino, gli fasciò te ferite, gli versò olio e vino, lo caricò sul suo giumento, lo portò ad una locanda, si prese cura di lui”), quello che mi sembra più espressivo è questo: “Gli si fece vicino”. Il samaritano non lasciò il malcapitato sulla strada, per andare in città a denunciare l'accaduto alle forze dell'ordine. Non si recò agli sportelli della polizia per sporgere querela contro ignoti. Non andò a protestare contro le omissioni del Ministero degli Interni. Non lasciò boccheggiante sul sentiero verso Gerico quell'uomo mezzo morto per convocare una conferenza-stampa sul degrado etico della città, o sulle violenze del sistema, o sull'inadempienza dei poteri costituiti. Il gesto fondamentale che ritenne di compiere fu quello di “farsi vicino”, e passare dal piano della denuncia a quello della costruzione diretta. La testimonianza, la solidarietà, la partecipazione, il coinvolgimento del popolo si pongono al servizio di un unico grande progetto storico da realizzare. Divengono i nuovi strumenti della politica. dwf

lunedì 2 giugno 2008

2 giugno: buona festa!

Oggi sento che bisogna festeggiare per una svolta che i nostri “vecchi” hanno dato tanti anni fa …
anche se sono italiano sulla carta d’identità, sul passaporto, nel mio essere più profondo io mi sento, come sosteneva il caro Balducci, UOMO PLANETARIO …
non mi piacciono le divisioni, gli odi reciproci, le fazioni, le disuguaglianze che la società di oggi crea …

mi piace invece pensare un’Italia e soprattutto un mondo più giusto, dove regna la lealtà, dove tutti sono più umili nell’accettare l’altro come essere umano e non come fardello da non sapere dove mettere, dove non esistono confini tracciati da uomini come solchi indelebili marcati con la matita su un foglio di carta spesso intrisa di sangue, dove la libertà non deve essere difesa ma deve crescere e rinvigorire.
Quindi oggi festeggio soprattutto la FESTA DELLA LIBERTA’, la festa in cui milioni di uomini e donne hanno deciso che bisognava voltare pagina.
Queste persone hanno toccato con mano cosa ha significato perdere tutti i diritti,
speriamo che il clima che si è creato negli ultimi tempi non ci porti a scontri ma a confronti …
Buona festa!!!
Luca