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"La coscienza del cristiano è impegnata a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo" ____________________________________________________________________________________________________________________

sabato 12 gennaio 2008

Concilio abrogato?

Pubblicato su Appunti alessandrini, ANNO 2 N. 1 GENNAIO 2008 ● Newsletter mensile di politica e attualità ●  appunti.alessandrini@alice.it

L’enciclica Spe salvi ha suscitato diffuso interesse. Documento di rara complessità, è stato visto soprattutto e non senza giudizi riduttivi, per i toni di condanna radicale di aspetti rilevanti della cultura moderna e dei conseguenti esiti nella prassi e nei comportamenti morali del mondo contemporaneo. Sulle conseguenze che potrebbero derivare da tale orientamento di condanna, una pubblicazione come Appunti dovrà riprendere un ragionamento e lo farà quanto prima. Ora ci basti constatare il fatto e richiamare il contesto del documento, un contesto in cui la ricezione del Concilio Ecumenico Vaticano II appare sempre più problematica. Si tratta, di per sé, di una difficoltà assolutamente comprensibile. Un passo tanto coraggioso, nei più diversi campi, come quello conciliare, pone al governo ordinario della Chiesa non pochi problemi, non ultima la resistenza a molte riforme dello stesso popolo cristiano o di una parte dello stesso. Se lo spazio ce lo concedesse potremmo richiamare fenomeni assolutamente analoghi per la ricezione di un altro grande Concilio: il Concilio di Trento. Rimane che viviamo, nel presente, non poche ambivalenze: ci limitiamo, per spiegarci, a tre questioni.

La prima attiene il motu proprio Summorum pontificum, circa la ripresa dell’uso della lingua latina nelle celebrazioni eucaristiche.
Non ho titolo, né pretesa di entrare nel merito di un documento breve, ma molto articolato e sicuramente non accessibile alle mie competenze. Eppure la sensazione e la sensibilità che lo interpretano, nella generalità del popolo di Dio e dunque della Chiesa suggeriscono l’impressione di una tappa di restaurazione. Non c’entra tanto la lingua usata in sé, quanto il fatto che si offusca il senso di un’idea di Chiesa in cui il popolo si sente parte della celebrazione e che non si sente più tale se si percorre la strada di una restaurazione della vecchia, sia pur gloriosa, liturgia. Si ha un bel dire che la ripresa del latino sarà riservata a chi lo richiede, ma l’atmosfera di restaurazione permane, in virtù di una scelta che attraverso la celebrazione ripropone un’ idea di Chiesa posta in discussione dal Concilio. In ultima istanza: la celebrazione deve assicurare la presenza attiva del popolo di Dio nel suo complesso o la “soddisfazione”, magari culturalmente dignitosa di una parte di esso?
La seconda attiene il ruolo del fedele laico in conseguenza del suo battesimo.
Il Concilio insiste sulla dignità responsabile ed autonoma del laico, grazie ai sacramenti ricevuti e non per mandato della gerarchia (il mandato potrà riguardare indicazioni di principio e aspetti organizzativi dell’associazionismo ecclesiale), nelle scelte che attengono la costruzione della città dell’uomo. Afferma che per la sua “indole secolare” tocca al laico “ordinare le realtà temporali” al disegno di Dio. Specifica infine che lo stesso fedele laico non può chiedere ai suoi pastori, quando si tratti dei concreti problemi della società e della politica, se non un orientamento di principio, mentre rimane sua la responsabilità delle singole scelte e dei metodi per la realizzazione del principio stesso. Gli eventi o gli interventi degli ultimi mesi e degli ultimi anni, hanno sicuramente reso problematica questa complessa ed interessante norma conciliare. Ciò è tanto più vero per una cultura ed una presenza politica come quella che si richiama alla tradizione del cattolicesimo democratico. Il dubbio, molto semplice, si esprime con due interrogativi diretti: su questo punto si ritiene superato (abrogato) il Concilio? E ancora: si vuole colpire la tradizione cattolico/democratica?
La terza mi occuperà poche righe. Da qualche tempo si trascina una polemica circa alcune esenzioni fiscali concesse alla Chiesa.
Dal punto di vista normativo credo si tratti di esenzioni del tutto legittime e gli organi di informazione ed ufficiali della stessa Chiesa lo hanno chiarito con encomiabile lucidità. Pongo il problema su di un piano diverso. Leggo nella Gaudium et Spes (Costituzione pastorale del Concilio) al n. 76: La Chiesa “…rinuncia all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso potesse far dubitare della sincerità della sua testimonianza”. Forse che anche questa disposizione conciliare sta creando problemi? Anche su questo si percorre la strada di un’abrogazione?
Agostino Pietrasanta

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