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"La coscienza del cristiano è impegnata a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo" ____________________________________________________________________________________________________________________

sabato 11 dicembre 2010

Forte presa di posizione del Vescovo di Novara contro la costruzione e l'assemblaggio degli aerei da combattimento F35

Mons. Renato Corti ha presieduto sabato 27 novembre in Cattedrale la Veglia di Preghiera per la vita nascente che Benedetto XVI aveva proposto a tutta la Chiesa al fine di mettere in evidenza quanto sia fondamentale per i credenti in Cristo avere uno sguardo nuovo sull’uomo, uno sguardo di fiducia e di speranza che si trasformi in un atteggiamento che fin dal concepimento della vita sia decisamente a favore della creatura umana insidiata dalla piaga dell’aborto. Se la Veglia d’inizio Avvento e l’intervento di Mons. Corti in Cattedrale ricalcavano così uno dei temi più cari alla sensibilità cattolica come la difesa della vita dal suo concepimento, una vera sorpresa è stata l’omelia che lo stesso Mons. Corti ha svolto nel Seminario di Novara il lunedì seguente durante il conferimento dei Ministeri del Lettorato e dell’Accolitato a otto giovani chierici. Prendendo lo spunto dal celebre brano di Isaia in cui si legge: “Forgeranno le loro spade in vomeri e le loro lance in falci, un popolo non alzerà più la spada su un altro popolo e non si eserciteranno più nell’arte della guerra” ha espressamente rivolto un invito ad essere costruttori di pace proprio per realizzare il “Sogno di Isaia” ai giorni nostri. Entrando nel vivo di quello che in terra novarese è un nervo scoperto che lacera anche il tessuto diocesano, ovvero il problema dell’assemblaggio degli F35: aerei da combattimento predisposti al trasporto di ogive nucleari, Mons. Corti ha ribadito la contrarietà già espressa in precedenza da Mons. Fernando Charrier a questo progetto. Ricordiamo che la Commissione Diocesana Giustizia e Pace di Novara il 1° gennaio del 2007 aveva stilato una nota in cui partendo dalle affermazioni del Magistero esprimeva la propria contrarietà al progetto della costruzione degli F35, di cui l’Italia si era impegnata ad acquistarne 131 esemplari al costo di oltre cento milioni di euro l’uno! Con un’enorme sperpero di soldi pubblici, soldi sottratti alle spese sociali, alla sanità e all’istruzione, settori certamente più bisognosi di finanziamenti. Mons. Charrier allora presidente della Commissione Regionale della Pastorale del lavoro, aveva fatto proprio quel documento trasformandolo in una presa di posizione della Commissione regionale del Piemonte. Il vescovo di Novara riprendendo quella nota ha sottolineato la propria posizione riaffermando come pastore della comunità novarese: “la necessità di opporsi alla produzione e alla commercializzazione degli strumenti concepiti per la guerra, in particolare alla problematica sorta recentemente sul territorio novarese relativa alla costruzione degli F35”. Ha poi proseguito dicendo che: “Abbiamo la speranza che si arrivi ad un ripensamento, che fin’ora non è avvenuto, che permetta una riflessione più allargata e approfondita capace di incidere nella mentalità delle persone e delle Istituzioni”. Su un argomento così delicato, Mons. Corti in questi anni non ha mai fatto mancare il proprio sostegno alla Commissione Giustizia e Pace di Novara che dovendo esprimersi sull’argomento, si è trovata il più delle volte sola in queste prese di posizione. Il fatto che, pur nella pacatezza dei termini, Mons. Corti si sia espresso con molta chiarezza in una celebrazione pubblica contro il progetto degli F35, parificando l’impegno in difesa della vita all’impegno per la promozione della giustizia e della pace, lascia intravedere prospettive pastorali nuove tutte da percorrere, ma tutte significativamente degne di essere assunte e promosse dai credenti e dagli uomini di buona volontà.
Don Mario Bandera
Responsabile Commissione Giustizia e Pace della diocesi di Novara

mercoledì 1 dicembre 2010

Scuola e democrazia

A proposito di riforma Gelmini...

Non riesco a capire che cosa succeda alla scuola; meglio, non riesco a comprendere che cosa vogliano fare del sistema scolastico. Il governo, ogni tanto, dice che serve una riforma. Siamo dello stesso parere, lo hanno affermato tanti altri governi, non esclusi quelli della cosiddetta “Prima Repubblica” e non si contano i fallimenti. Ora però non capisco proprio che cosa abbiano in testa; non mi raccapezzo perché non posso credere che intendano per riforma il taglio degli organici, la banalizzazione degli insegnamenti, il “dirottamento” nella formazione professionale di alunni, ritenuti non interessati alla scuola, per farli completare l’obbligo scolastico. Questi, quand’anche fossero condivisibili, e non lo sono affatto, sarebbero da considerarsi interventi scoordinati, certamente non funzionali ai fini di una riforma. Ed invece si tratta di atti assolutamente peggiorativi del già traballante sistema scolastico, incapace, allo stato, di dare a tutti i cittadini la formazione indispensabile per essere tali; ed ovviamente mi limito a pensare al settore scuola, non entro nel merito degli interventi sull’Università.
Ribadisco non c’è neppure l’idea di un progetto, ma mi viene il dubbio che un’intenzione implicita a tutti gli interventi ci sia. In fondo distruggendo il sistema formativo si rende possibile lo scardinamento della democrazia concreta o, se si vuole la democrazia semplicemente. Da una parte si afferma, in nome della sovranità popolare che le regole sono di intralcio all’azione di governo, dall’altra si rende la volontà popolare omogenea agli interessi, non già della classe dirigente che non esiste, ma solamente delle “famiglie” dominanti.
Si arriva così ad una ferita mortale alla democrazia, vuoi delle regole, vuoi della concreta capacità del cittadino di usarne; non si tratta più di limitare la democrazia alla sua concezione liberale (magari!), ma di scardinare del tutto l’impianto democratico, la cui fondazione trova nella scuola un presupposto costitutivo. In fondo se la democrazia (troppe volte lo abbiamo richiamato) necessita prima del consenso popolare, della dialettica dei progetti e dei programmi e se di tale dialettica i protagonisti sono tutti i cittadini, costoro devono essere in grado di confrontarsi con consapevolezza nella costruzione della città dell’uomo, devono essere posti nella condizioni di partecipare al confronto delle varie opzioni possibili alla formazione (successiva!) del consenso.
Di qui il contributo essenziale della scuola, costitutivo dell’impianto democratico: la dialettica consapevole, contro la dittatura dell’omologazione. Si tratta, sia detto di sfuggita, dell’unico totalitarismo oggi temibile: la dittatura che crea ossequio, al posto del consapevole confronto. Altro che dittatura del relativismo!
Ed allora: o scuola organica ad una formazione funzionale al confronto dialettico (relativismo o libertà concretamente realizzata?) o fine dell’impianto democratico dello Stato.
Ci sono in ogni caso dei problemi. Non c’è dubbio che anche i governi della “Prima Repubblica” hanno, in gran parte, eluso il problema di un sistema scolastico fondativo della democrazia. Tuttavia, mi pare, lo hanno avuto presente e qualcosa sembrano aver tentato. Intanto, sia pur tra molte difficoltà, hanno realizzato la scuola media unica, tra altre difficoltà hanno pensato alla formazione dei diversamente abili, tra le contraddizioni dell’ideologia hanno creato alcune (poche in verità) condizioni favorevoli ai capaci e meritevoli; penso al famoso, sia pure inadeguato presalario. Resta il fatto che alcune riserve vanno poste, perché alcune contraddizioni mi sembrano cariche di effetti negativi sul lungo periodo.
Mi spiego con un esempio, fra i tanti possibili. Certamente si ricorda le tesi sostenuta da molti movimenti ed associazioni scolastiche, di diversa estrazione culturale, della pari dignità degli insegnamenti e delle discipline. Su questo roboante assioma si è caricata la scuola di ogni possibile impegno. Ora, per farla breve, io non credo che la scuola sia l’unica responsabile dell’educazione stradale, penso invece che la scuola sia l’unica garante dell’insegnamento del leggere e dello scrivere. Sarà anche bello che a scuola si impari a cantare (magari “la vispa Teresa”), ma penso più formativo l’insegnamento della matematica. Sarà sicuramente importante dare spazio all’osservazione dei fenomeni, ma è compito imprescindibile della scuola far ragionare su quanto osservato. Insomma giratela come volete: c’è disciplina che deve essere affrontata, c’è insegnamento che sarebbe opportuno affrontare; c’è una graduatoria. Di conseguenza, quando si è alle strette, magari sul piano finanziario bisogna privilegiare le discipline indispensabili alla formazione e rimandare a tempi migliori quelle opportune. Una riforma non può non tenere conto di questo presupposto perché ne derivi un impianto disciplinare conseguente.
C’è di più. Ho parlato delle contraddizioni che hanno ritardato la promozione del merito; ribadisco ciò che tante volte mi è capitato di affermare: l’ideologia ha confuso l’egualitarismo con la pari opportunità data a tutti i cittadini di pervenire ai gradi più alti degli studi. Ora mi preme chiarire con qualche osservazione più puntuale e ricorro al metodo contrastivo.
Mi spiego. La classe dirigente risorgimentale e poi lo stesso fascismo avevano affidato alla scuola un duplice compito: formare la classe dirigente e in parallelo socializzare le masse per un adeguato controllo e, in funzione di questo secondo fine, la formazione doveva puntare al minimo indispensabile di indottrinamento, anche attraverso l’insegnamento del leggere e dello scrivere. In ogni caso classe dirigente e masse popolari dovevano essere ben distinte, già nei primi passi della formazione. Il fascismo, rispetto alle elite liberal/risorgimentali, con la riforma Gentile, seppe dare al progetto una realizzazione organica. Nel sistema repubblicano (qui c’è il vero contrasto) il sistema formativo non può limitarsi al minimo indispensabile, per di più in funzione dei piani della classe dirigente, ma deve puntare al massimo possibile di formazione, in considerazione delle capacità di tutti e di ciascuno. Ne deriva che tutti hanno diritto, costituzionalmente garantito, al massimo possibile, in ragione delle proprie capacità personali. E non solo per un principio personalistico, ma per una ragione di natura costitutiva della convivenza civile in cui le migliori risorse umane, adeguatamente promosse, vanno poste al servizio della comunità.
Da queste premesse la promozione del merito, a qualsiasi costo, perché ne va di mezzo lo stesso fisiologico processo della democrazia realizzata.
Ci sono state delle contraddizioni sempre, ma ora, non so fino a che punto ci sia reale capacità di capire ciò che si sta facendo (lo sa Maria Stella?), si vuole scardinare lo stesso impianto culturale di una scuola a servizio di tutti. La consapevole partecipazione alla vita della nazione, con le capacità personali promosse al massimo possibile, è precisamente il contrario all’omologazione dei comportamenti, indotta dalla tirannide mediatica, dalla dittatura del conformismo; altro che dittatura del relativismo!
Un’ultima osservazione, proprio per concludere. La promozione del merito, attraverso il sistema formativo, è possibile solo se la didattica viene aggiornata ai risultati della ricerca; in caso contrario l’insegnamento, obsoleto e manualistico, non promuove né il merito, né le capacità più sofisticate.
Per questo (e so di ripetermi, ma lo esige la completezza del ragionamento) l’aggiornamento degli insegnanti va posto come elemento costitutivo della professione, ma va realizzato in stretto rapporto coi risultati della ricerca. L’alternativa è la ripetizione manualistica, e magari per l’intera vicenda personale di ogni docente, di ciò che si è appreso all’Università; al massimo con l’aggiunta (ma, oggi mi pare senza più quello) di qualche trovata da metodologismo didattico, sempre caro ai burocrati dell’Istituzione.
Ora non mi angoscio più di tanto, ma un tempo, quando sentivo parlare di didattica delle discipline, ero quanto mai interessato, ma stavo attento al possibile trucco.
Agostino Pietrasanta