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"La coscienza del cristiano è impegnata a proiettare nella sfera civile i valori del Vangelo" ____________________________________________________________________________________________________________________

mercoledì 28 aprile 2010

Chiesa e società civile-politica oggi in Italia

Ringrazio gli Amici Luciano e Paola per la segnalazione!

Ho sempre avuto disagio per il modo con cui normalmente si svolge il rapporto tra chiesa e società civile sul piano sia teorico che pratico.
Ultimamente il disagio è diventato acuto.
Ci sono tre aspetti intimamente connessi, relativi a questo tema, che mi piacerebbe discutere con amici:
1. il rapporto chiesa e società civile-politica oggi in Italia
2. la distinzione o meno tra legge personale e legge civile
3. il dialogo tra vertice e base ecclesiale
Le note di questo intervento sono piuttosto dense per evitare una estensione inopportuna. Ne risulta un certo impegno di lettura di cui i lettori mi scuseranno.

1. In pratica la Gerarchia (italiana, vaticana) sostiene l'attuale destra politica al potere.
Profluvi di leggi ad personam, attentati alla democrazia e alla tripartizione dei poteri su cui si fonda, ragnatele di comando che fanno impallidire quelle dell'antica DC, settarismo della comunicazione per lo strapotere mediatico, salottini sconci a spese dello stato, modi triviali di propaganda, bugie e voltafaccia sistematici, ostilità pregiudiziale verso gli immigrati...questi ed altri fatti della destra al potere sembrano non pesare gran che nel globale pronunciamento del Magistero. Eppure trascinano con sé tra l’altro un risvolto educativo preoccupante, perché sembrano comportamenti progressivamente acquisiti dal popolo come norma del governare.
Quali i motivi allora di tale sbilanciato sostegno del Magistero? Accediamo al secondo punto per una risposta plausibile.

2. Non entro in merito a possibili recondite seconde intenzioni.
Mi attengo alla motivazione circolante: la difesa dei valori primari umani nella legislazione civile.
La destra italiana attuale appare alleata in questa difesa.
Ripropongo un quesito tanto antico e ripetuto, quanto non debitamente affrontato: ho sempre il diritto e il dovere di imporre con legge civile i valori della mia coscienza personale anche a chi non li condivide?
Per qualcuno, sì; la coscienza personale e il trasferimento in legge civile andrebbero di pari passo.
Ho fatto attenzione, ma non ho finora trovato una fondazione accettabile di questa tesi.
Per altri, tra cui il sottoscritto, le due cose invece non vanno necessariamente di pari passo. Essi argomentano:
a. il bene comune talvolta richiede o almeno permette una legge civile diversa dall’obbligo personale. Così nello stato pontificio per lungo tempo il papa ha permesso le case di tolleranza perché riteneva che fossero un male minore rispetto alla libera prostituzione, pericolosa alla salute pubblica e praticamente sfuggente ogni proibizione legale; certo, la coscienza del Papa non approvava il commercio dei corpi!
b. la libertà dell'altro è un tesoro immenso da difendere strenuamente! Tesi non da dimostrare, è originaria della convivenza.
Il senso comune aggiunge però una limitativa: da difendere, sì; ma finché è possibile. E spesso non è possibile. Questa limitativa s'impone: ci sono casi in cui si può o si deve limitare la libertà altrui quando questa a sua volta fosse dannosa della libertà di altri.
Ma per i singoli casi la limitazione deve essere argomentata. E questo è il punto dolens.
Negli ultimi tempi, e recentemente prima delle elezioni regionali, ho rincorso invano tale argomentazione nei pronunciamenti del Magistero relativi alle cosiddette "materie eticamente sensibili" (aborto, fecondazione artificiale, testamento biologico…). Essi si rivolgono alla coscienza del cristiano legiferante esattamente come se si rivolgessero al cristiano nel suo comportamento personale.
Dovremmo forse concludere che il Magistero non condivide la distinzione tra legge personale e legge civile? cioè non condivide che la libertà dell’altro e certe condizioni di bene comune permettano nella legge civile un comportamento non consentito alla coscienza personale? Ritengo e spero non sia così.
Potremmo invece supporre in maniera più verosimile che il Magistero condivide la distinzione in linea di principio e però non la considera applicabile in alcuni casi come sarebbero le suddette materie eticamente sensibili. Allora dovrebbe precisare perché in questi casi il valore umano in gioco è tale da essere "non negoziabile", cioè deve essere trasferito perentoriamente in legge civile.
Il Papa al n. 83 del "Sacramentum caritatis" dice non negoziabili le "leggi naturali". Quali sono?
Oggi l'idea di "legge naturale" non è di facile e comune condivisione, almeno quanto alla sua conoscibilità. Ma poi anche quando una certa legge o una certa proibizione rispecchia il bene naturale universale, devo considerare e rispettare, finché è possibile, la libertà altrui. Che diritto ho d'imporre all'altro il compimento del suo bene?

3. Tra vertice e base ecclesiale quale dialogo intercorre oggi su quel novero delicato di questioni? E nella base stessa quale dialogo sugli interventi del Magistero? Silente obbedienza o silente disinteresse. E paura.
Non è certo così una comunità cristiana. Dobbiamo cambiare rotta. Facciamolo almeno prima che si amplifichi in maniera preoccupante l'apostasia silenziosa di quei cattolici che non si limitano a dire che il Magistero deve essere più cauto nell'imporre ai fedeli un comportamento civile-politico, deve discuterlo con la base ecclesiale, deve motivarlo. Eh! no. Essi non credono, o non credono più, "di principio", che il Magistero abbia il diritto di dettare alcunché alla coscienza del credente in ambito civile. Questo per me, credente-sacerdote, è grave. E dilagante!
Che ne pensano gli amici?

don Enrico De Capitani, parroco di S. M. Incoronata - Mi

giovedì 8 aprile 2010

Una voce fuori dal coro... finalmente!

Riporto di seguito l’intervista che Mons. Albert Rouet, uno dei vescovi francesi più aperti, ha rilasciato a Le Monde il 4 aprile. (da http://gruppogalilei.wordpress.com)
Arcivescovo di Poitiers, Mons. Albert Rouet è una delle figure più libere dell’episcopato francese. La sua opera J’aimerais vous dire(Bayard, 2009) è un best-seller nella sua categoria. Più di trentamila copie vendute e vincitore del premio 2010 dei lettori di La Procure, questo librointervista getta uno sguardo molto critico sulla Chiesa cattolica. In occasione della Pasqua, Mons. Rouet offre le proprie riflessioni sull’attualità e la sua diagnosi sulla Chiesa.

La chiesa cattolica è scossa da molti mesi per la rivelazione di scandali di pedofilia in parecchi paesi europei. Tutto questo l’ha sorpresa?
Vorrei anzitutto precisare una cosa: perché ci sia pedofilia sono necessarie due condizioni, una profonda perversione e un potere. Questo vuol dire che ogni sistema chiuso, idealizzato, sacralizzato è un pericolo. Quando una istituzione, compresa la Chiesa, si erge in posizione di diritto privato, si ritiene in posizione di forza, le derive finanziarie e sessuali diventano possibili. E’ quanto rivela l’attuale crisi e tutto questo ci obbliga a tornare all’Evangelo; la debolezza del Cristo è costitutiva del modo di essere Chiesa. In Francia, la Chiesa non ha più questo tipo di potere; questo spiega perché si sia di fronte a devianze individuali, gravi e detestabili, ma non si riscontra una sistematizzazione di questi casi.

- Queste rivelazioni sopraggiungono dopo parecchie crisi, che hanno segnato il pontificato di Benedetto XVI. Chi maltratta la Chiesa?
Da qualche tempo, la Chiesa è flagellata da tempeste, esterne ed interne. C’è un papa che è più un teorico che uno storico. E’ rimasto il professore che pensa che un problema, una volta impostato bene, è per metà risolto. Ma nella vita non succede così. Ci si imbatte nella complessità, nella resistenza della realtà. Lo si vede bene nelle nostre diocesi, si fa quello che si può! La Chiesa fa fatica a situarsi nel mondo tumultuoso nel quale si trova oggi. E’ il cuore del problema.
Oltre a questo, due cose mi colpiscono nella situazione attuale della Chiesa. Oggi, si constata un certo gelo della parola. Oramai, il minimo interrogativo sull’esegesi o sulla morale viene giudicato blasfemo. Interrogarsi non è più ritenuto una cosa ovvia, ed è un peccato. Parallelamente regna nella Chiesa un clima di sospetto malsano. L’istituzione si trova ad affrontare un centralismo romano, che si basa su di una rete di denunce. Certi gruppi passano il loro tempo a denunciare le posizioni di questo o quel vescovo, a fare dei dossier contro qualcuno, a tenere delle informazioni contro qualcun altro. E questi comportamenti si sono intensificati con internet.
Inoltre, noto una evoluzione della Chiesa parallela a quella della società. Questa vuole più sicurezza, più leggi, quella più identità, più decreti, più regolamenti. Ci si protegge, ci si rinchiude, è proprio il segno di un mondo chiuso, è catastrofico!
In generale, la Chiesa è uno specchio fedele della società. Ma, oggi, nella Chiesa, le pressioni identitarie sono particolarmente forti. C’è tutta una corrente, che riflette poco, che ha sposato un’identità rivendicativa. Dopo la pubblicazione di alcune caricature sulla stampa riguardanti la pedofilia nella Chiesa, ci sono state delle reazioni degne degli integralisti islamici sulle caricature di Maometto! A voler apparire offensivi, ci si squalifica.

- Il presidente della Conferenza episcopale (francese), Mons. André Vingt-Trois lo ha ripetuto a Lourdes il 26 marzo: la Chiesa francese è colpita dalla crisi delle vocazioni, dalla difficoltà della trasmissione della fede, dalla diluizione della presenza cristiana nella società. Come vive questa situazione?
Cerco di prendere atto che ci troviamo alla fine di un’epoca. Si è passati da un cristianesimo di abitudine, ad un cristianesimo di convinzione. Il cristianesimo è perdurato grazie al fatto di essersi riservato il monopolio della gestione del sacro e delle celebrazioni. Di fronte alle nuove religioni, alla secolarizzazione, le persone non fanno più riferimento a questo sacro. Pur tuttavia, possiamo dire che la farfalla è “più” o “meno” della crisalide? E’ un’altra cosa. Allora, non ragiono in termini di degenerazione o di abbandono: stiamo mutando. Bisogna misurare l’ampiezza di questa mutazione. Si prenda la mia diocesi: Settantanni fa contava ottocento preti. Oggi ne ha duecento, ma conta anche 45 diaconi e 10mila persone impegnate nelle 320 comunità locali che abbiamo creato quindici anni fa. E’ meglio. Bisogna arrestare la pastorale della SNCF (ndr.: ferrovie dello stato francesi). Bisogna chiudere delle linee e aprirne delle altre. Quando ci si adatta alle persone, al loro modo di vivere, ai loro orari, la frequenza aumenta, anche al catechismo! La Chiesa ha questa capacità di adattamento.

- In quale modo?
Non abbiamo più un personale per mantenere una suddivisione di 36000 parrocchie. O si considera che si tratta di una miseria da cui bisogna uscire ad ogni costo e allora si torna a sacralizzare il prete; oppure si inventa qualcosa d’altro. La povertà della Chiesa costituisce una provocazione per aprire nuove porte. La Chiesa deve appoggiarsi sul clero o sui battezzati? Per mio conto, penso che occorra dare fiducia ai laici e smetterla di funzionare sulla base di una organizzazione medievale. E’ un cambiamento fondamentale. E’ una sfida.

- La sfida presuppone l’apertura del sacerdozio agli uomini sposati?Sì e no! No, perché immaginate che domani io possa ordinare dieci uomini sposati, ne conosco, non è quello che manca. Ma non potrei pagarli. Quindi dovrebbero svolgere un altro lavoro e sarebbero disponibili solo nei fine settimana per i sacramenti. Allora si tornerebbe ad un’immagine cultuale del prete. Sarebbe una falsa modernità.
Invece, se si cambia il modo di esercitare il ministero, se la sua posizione nella comunità è diversa, allora sì che si può immaginare l’ordinazione di uomini sposati. Il prete non deve più essere il capo della sua parrocchia; deve sostenere i battezzati perché diventino degli adulti nella fede, formarli, impedire loro di ripiegarsi su se stessi.
Tocca a lui ricordare che si è cristiani per gli altri, non per sé; allora presiederà l’eucarestia come un gesto di fraternità. Se i laici resteranno dei minorenni, la Chiesa non sarà credibile. Deve parlare da adulto ad adulto.

- Lei ritiene che la parola della Chiesa non sia più adatta al mondo. Perché?Con la secolarizzazione, si sviluppa una “bolla spirituale” nella quale le parole fluttuano; a cominciare dalla parola “spirituale” che si può riferire più o meno a qualsiasi merce. Quindi è importante dare ai cristiani i mezzi per identificare e per esprimere gli elementi della loro fede. Non si tratta di ripetere una dottrina ufficiale ma di permettere loro di esprimere liberamente la propria adesione. È spesso il nostro modo di parlare che non funziona. Bisogna scendere dalla montagna, scendere in pianura, umilmente. Per far questo occorre un enorme lavoro di formazione. Perché la fede era diventata un qualcosa di cui non si parlava tra cristiani.

- Qual è la sua maggiore preoccupazione per la Chiesa?
Il pericolo è reale. La minaccia per la Chiesa è di diventare una sottocultura. La mia generazione teneva particolarmente all’inculturazione, all’immersione nella società. Oggi, il rischio è che i cristiani si rinchiudano tra di loro, semplicemente perché hanno l’impressione di essere di fronte a un mondo di incomprensione. Ma non è accusando la società di tutti i mali che si diventa luce per l’umanità. Al contrario, occorre un’immensa misericordia per questo mondo in cui milioni di persone muoiono di fame. Tocca a noi aprirci al mondo e tocca a noi renderci amabili.

martedì 6 aprile 2010

di Giorgio Bernardelli : Guardare in alto in cerca di pace

Una riflessione molto bella sul rapporto tra la Pasqua e la situazione di oggi. L'ha scritta Bradley Burston nella rubrica che tiene sul sito di Haaretz. È una riflessione sulla Gerusalemme di oggi alla luce del racconto dell'Esodo che ogni ebreo osservante rilegge nel Seder. da http://frammentivocalimo.blogspot.com/

«Abbiamo costruito questa città - scrive Burston -. L'abbiamo costruita nella libertà. Abbiamo costruito questa Gerusalemme, questa fede, questo popolo, sull'idea che Dio non può essere visto o toccato, che Dio non può essere costruito con le pietre, né distrutto dal fuoco, né proclamato da un popolo solo, né tradotto nel linguaggio delle mappe, né usato come una bomba per distruggere gli altri popoli, malignare le altre fedi o negare agli altri questa città.Abbiamo costruito questa città con coraggio. L'abbiamo costruita con quella fede che ci ha permesso di lasciare dietro le spalle la schiavitù, di lasciarci dietro tutto ciò che conoscevamo, per addentrarci in un mare in cui solo un miracolo poteva far sì che il muro d'acqua non cadesse su di noi facendoci annegare. E noi crediamo ancora in questa città, nonostante tutto il sangue e le tenebre e il tragico sacrificio dei figli, di fronte alle parole e ai gesti bestiali di coloro che pretendono di avere la licenza sul nome di Dio. Abbiamo costruito questa città, e dopo di noi i cristiani l'anno costruita, e dopo di loro i musulmani l'hanno costruita. Ma proprio questa fatica durata ormai tremila anni e quanto questoSeder ci insegna: alla fine sei Tu o Dio che hai costruito questa città. Non è nostra, come non è loro e nemmeno di quegli altri. È la città dell'Unico Dio che è tutto per noi. (...)».«Quest'anno a Gerusalemme, mentre riempiamo la quarta coppa, leggiamo in maniera diversa le parole del Seder. Sh'foch hamatcha - lasciamoci dietro alle spalle il nostro astio». «La persona liberata che è in noi è giustamente spaventata dal cammino verso una Gerusalemme condivisa. Quando questo nuovo mare si apre davanti a noi lasciando appena intravedere il cammino, vediamo anche le mura d'acqua da entrambe le parti che minacciano di cadere su di noi e di far affogare quanti non moriranno già schiacciati. E la spiaggia che vediamo sulla riva opposta non è la Città di Dio ma un luogo selvaggio». «Ma è solo la persona liberata dentro di noi che può compiere il primo passo in questo cammino incerto. E e avremo il coraggio di farlo, per la prima volta capiremo che cosa vuol dire essere liberi». «L'shana haba'ah B'Yerushalayim Ha'Bnuyah. L'anno prossimo in una Gerusalemme ricostruita». Credo che non esistano parole migliori per un augurio in questa Pasqua 2010/Pesach 5770.